Mondo
Bruxelles, il day after
Il risveglio della capitale belga raccontato da una giornalista della redazione di Vita International. «Mentre i media di tutto il mondo parlano di un Paese allo sbando, Bruxelles insegna a tutti che per battere il terrorismo più che di armi abbiamo bisogno di una normalità libera»
Prima lo shock. Il pensiero di essere stata in aereoporto solo la sera prima. La redazione a solo pochi passi da Maelbeek. Il pensiero egoista: «meno male». Poi le lacrime, i messaggi a tutti gli amici e conoscenti in città, il panico quando non rispondeva qualcuno e gli occhi di tutti, per strada, incollati agli smartphone
Inizia a squillare il telefono, e non smette piu per il resto della giornata. Alla fine, esaurito, non ce la fa piu, e si spegne. Allora si inizia a parlare con gli amici, cercando di capire. «Perchè. Come è successo? Adesso che cosa succederà? Non mi sembra vero. Il prossimo attentato dove sarà?». Si guarda la città vuota di notte dal balcone, ed il silenzio è profondo, triste, ed inquietante.
Questo era ieri.
Oggi Bruxelles ha già ricominciato a vivere. Si cammina, si lavora, si va al bar, e si fa attenzione a non farsi tirare sotto dalle macchine che riempiono le strade: le stesse che ieri invece echeggiavano di silenzio. La vita è tornata alla sua quotidianità, ma è una quotidianità che ancora per un po' avrà come orizzonte il passato, ieri, gli attentati.
C’è chi vuole parlare di politica, altri di religione, altri ancora delle forze dell’ordine e della sicurezza, o dei fallimenti dello stato Belga a livello sociale e di integrazione. C’è chi racconta storie personali, «ero nella metro quando è esplosa. Ho sentito il botto, ho respirato il fumo, ho visto il sangue ed i morti».
Tutti vogliono capire, perchè questo è l’istinto umano, che diventa irresistibile in quei rari e terribili casi in cui ci si confronta con la morte. I media analizzano tutto, ma non riescono a soddisfare fino in fondo questo bisogno di comprendere e quindi razionalizzare. Si continua a parlarne, senza arrivare mai al fondo, alla verità, ad una risposta soddisfacente.
La città sembra ormai assuefatta. Dopo gli attacchi di Parigi a Novembre, ed il lockdown nei giorni seguenti, sirene, raid e militari per strada sono diventati per mesi una costante. Vederne oggi qualcuno in più non fa differenza. È una cosa terribile, e dobbiamo stare attenti a non diventare insensibili. E ad evitare di cedere libertà in cambio di sicurezza.
Questa assuefazione però è anche il motivo per cui non abbiamo ceduto al panico. È ciò che ci salva dall’angoscia, dalla paura paralizzante e da gesti impulsivi. Proprio come per la legge dei rendimenti decrescenti: le immagini di morti per strada, gli spari, le bombe, la morte violenta ed improvvisa, avendole già viste e già vissute risultano inefficaci nella loro funzione paralizzante. È insieme una tragedia e una salvezza.
Però il risultato è che la paura non regna sovrana. Vincono solo la tristezza – tanta – il rispetto per i morti, ed una forza ferrea che fa guardare avanti con sguardo duro e risoluto.
La rappresentazione dei media europei però racconta una storia diversa. Parla di città in ginocchio e paese allo sbando. Si sa che il terrorismo non è un fenomeno recente: tutti noi abbiamo parenti o amici che hanno vissuto gli anni delle Brigate Rosse, dell’IRA, e di Al-Qaeda. Il numero di vittime di attacchi terroristici in Europa negli ultimi anni sono nettamente più bassi di 30 anni fa. Adesso però sembra che il mondo viva con la sensazione di essere in guerra. Il linguaggio dei media che parla ormai solo in termini di “sicurezza”, “difesa”, e “conflitto” alimenta questa sensazione. Grazie ai social media poi siamo tutti connessi e la sensazione diventa virale.
Bruxelles invece in queste ore sta dimostrando una cosa importante: non è la forza che vince sul terrore. Non sono le armi né la guerra. Non è l'intelligence e non sono i droni. È bere un caffé al bar, chiaccherare per strada con un amico, andare al cinema o alla stadio. Il terrore si batte con la semplicità della normalità. La normalità libera.
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