Welfare

San Vittore fa il miracolo

Decine di contratti stipulati, aziende in lista di attesa per assumere i detenuti.Sergio Cusani fa il bilancio di una “pazza idea” nata in cella e su cui nessuno era dispostoa scommettere...

di Cristina Giudici

Un?idea controcorrente: coniugare solidarietà ed efficienza. Una scommessa ardua: far sposare disperazione e mercato, detenuti e imprese. Ebbene, l?Agenzia di solidarietà per il lavoro ce l?ha fatta. Ad un anno dalla sua nascita ci sono decine di carcerati inseriti in un?azienda., sessanta pratiche di assunzione in corso e una lista di imprese, società e cooperative, disponibili ad offrire un impiego ai detenuti, che si allunga sempre di più. Grazie a un inconsueto sodalizio fra Sergio Cusani, l?ex finanziere condannato per la maxi tangente Enimont, oggi semilibero, don Virgilio Colmegna, capo della Caritas milanese e presidente dell?Agenzia, e Licia Roselli,sindacalista della Cgil. Così, ogni giorno, nel seminterrato di via Anacreonte, a Milano, arrivano lettere dal carcere, richieste, segnalazioni, ex detenuti in cerca di un impiego che li sottragga alla vita di sempre. Qui, Licia Roselli, direttrice dell?Agenzia, lavora con una piccola task force formata da un detenuto semilibero, Pino Verniani, che elabora i dati, e due operatrici che si incaricano dei colloqui con i detenuti. Poi tanti collaboratori e ignoti benefattori: docenti, avvocati, volontari, che hanno capito il dramma del carcere e sanno che si può risolvere solo creando una prospettiva reale di lavoro. Fra loro c?è l?avvocato Alberto Spada, condannato per reati di droga e ora libero in attesa della sentenza della Cassazione, che non si è certo dimenticato dei suoi compagni di sventura. Ogni giorno va a san Vittore come uomo libero per difendere i carcerati gratuitamente, nella speranza che possano uscire e trovare un lavoro attraverso l?Agenzia. Quando due anni fa, in una cella di san Vittore, Sergio Cusani, l?ex bancarottiere Pino Larniani e l?avvocato Alberto Spada, riempivamo fiumi di carta indirizzati ai ministri, politici e assessori,nella speranza di creare una rete che mettesse in comunicazione la popolazione penitenziaria con enti locali ed imprese private, erano in molti a pensare che si trattasse della solita iniziativa destinata a perire per inerzia.
Invece, oggi l?Agenzia procede con il vento in poppa. «Certo, non è facile», ironizza Licia Roselli, «perché quando troviamo un detenuto disponibile, con qualifiche professionali, magari non c?è il posto di lavoro e quando arriva l?offerta, succede che il magistrato di sorveglianza non è d?accordo a concedere i benefici di legge. E poi, quando invece sembra andare tutto per il verso giusto, il detenuto si spacca un braccio e si deve ricominciare tutto da capo. Insomma, creare una rete di offerte e richieste di lavoro, con delle sbarre di mezzo e molta burocrazia, è un?impresa molto ardua. In ogni caso abbiamo già molte storie felici da raccontare».
Come Simona, condannata tanti anni fa per traffico di droga, che quando aveva ormai perso tutte le speranza di farcela, ha potuto coronare il suo sogno: diventare mediatrice culturale. O la signora Maria Pia, detenuta ormai anziana, che grazie all?Agenzia e alla testardaggine di Licia Roselli, ha ottenuto l?articolo 21, (lavoro esterno) e nel giro di pochi mesi è diventata manager di un consorzio di cooperative sociali. Nella lista dei benefattori che credono nella possibilità di reinserire detenuti, c?è anche l?ex presidente dell?Inter, Ernesto Pellegrini, che oggi gestisce una delle più grosse aziende italiane di ristorazione e ha messo a disposizione numerosi posti di lavoro. «Ma c?è anche Gianni il gelataio», ride Alessandra Vesi, ex educatrice del carcere minorile Beccaria e oggi operatrice dell?Agenzia, «che un giorno è arrivato qui, vestito tutto di giallo, e ci ha detto che voleva assumere delle ragazze nella sua gelateria ecologica. Purtroppo, però, ci sono anche molte aziende che, dopo la campagna estiva sulla ?tolleranza zero?, si sono tirate indietro. Certo, ogni giorno dobbiamo scontrarci con mille difficoltà, ma eravamo preparati a questo». L?Agenzia lavora con tre carceri della Lombardia: san Vittore, Opera e Monza, fra qualche settimana apriranno degli sportelli all?interno degli istituti di pena che saranno gestiti dagli stessi detenuti, in grado di filtrare le informazioni e le esigenze della popolazione penitenziaria. Ma per ora le consulenze avvengono nella sede di via Anacreonte che gli operatori hanno ribattezzato ?la Porta dei miracoli?. «Spesso, quelli che arrivano qui, sono proprio disperati», aggiunge Alessandra Vesi, «vengono perché gli è stata tolta la semilibertà o l?affidamento in prova per chiedere cosa devono fare per non tornare più in carcere, oppure spesso sono le mamme a bussare la porta, nella speranza di risolvere il proprio dramma. Ed è terribile perché noi possiamo solo cercare di far combaciare l?offerta con la richiesta di lavoro». Sembra facile, ma trovare un impiego a un detenuto non è solo un servizio: rappresenta la prospettiva di un futuro e di libertà. Per legge i carcerati che sono entrati nei termini di legge per chiedere misure alternative come la semilibertà, l?affidamento in prova o il lavoro estrerno, non possono uscire se non hanno trovato un lavoro. Perciò il compito dell?Agenzia, non è solo un servizio, ma una battaglia contro i mulini a vento. Contro i magistrati di sorveglianza che nel dubbio, preferiscono non concedere i benefici di legge, contro il muro della burocrazia e del sospetto che tende a risolvere il problemi del carcere, ignorandoli. Contro la doppia morale dei politici che a parole parlano di riforme penitenziarie ma nei fatti abbandonano i detenuti al loro destino.
«Però a volte è difficile», scuote la testa Sergio Cusani, che da semilibero collabora con l?Agenzia cercando di procacciare fondi e imprenditori pronti a mettersi una mano sul cuore e l?altra sulla coscienza. «È difficile lavorare all?interno del carcere, i magistrati sono molto cauti nel concedere benefici di legge e la burocrazia penitenziaria segue tempi diversi da quelli del mondo del lavoro. Così spesso ci sentiamo impotenti».

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