Sostenibilità
Perché l’economia circolare è l’antidoto al populismo
«Le tensioni populiste che prevalgono nei Paesi anglosassoni sono forti, ma lo sono anche quelle che nell’innovazione tecnologica e sociale cercano soluzioni alle mega sfide della contemporaneità. Ecco perché molti stanno battendo la strada della convergenza tra la convenienza privata e la convenienza pubblica, in un’ottica di lungo periodo». L'analisi di De Biase pubblicata sul mensile di ottobre contenuta nella sua rubrica Infosfera
Nell’economia circolare il sistema produttivo italiano è più avanti degli altri. «Tra i grandi Paesi europei, siamo quello con la quota maggiore di materia prima seconda impiegata dal sistema produttivo», ha spiegato Domenico Sturabotti, direttore di Fondazione Symbola, il punto di riferimento centrale in Italia per le imprese impegnate nella transizione verso un sistema produttivo circolare ed efficiente. In base ai dati di Eurostat, è materia prima seconda quasi un quinto (18,5%) del materiale utilizzato dal sistema produttivo italiano, ben davanti alla Germania (10,7%). Ne ha riferito Elena Comelli su Nòva-Il Sole 24ore del 20 settembre.
Eric Ezechieli di Nativa invece mostra come il movimento delle b-corp, le benefit corporation, le aziende che si danno una prospettiva di sviluppo orientata al raggiungimento di obiettivi positivi — numericamente misurabili — non soltanto per gli azionisti ma anche per i lavoratori, i clienti, la comunità, l’ambiente e in generale l’insieme degli stakeholder, sia particolarmente forte in Italia. L’Italia è uno dei primi Paesi ad aver legiferato in materia di b-corp e oggi ha un numero di aziende che si organizzano in questo modo maggiore di quello degli altri Paesi dell’Europa continentale.
Non è perché l’Italia sia particolarmente sensibile. Per esempio, l’Italia occupa una posizione media nelle classifiche del volontariato. Ma probabilmente perché l’economia circolare, la sostenibilità, le soluzioni manageriali che servono a far riconoscere la propria azienda come una b-corp, sono scelte che convengono oltre a far fare “bella figura”. «Le medie imprese manifatturiere che hanno investito in eco-innovazione nel triennio 2014-2016 hanno registrato performance superiori a quelle non investitrici», in base all’ultima indagine di Symbola in collaborazione con Unioncamere. Ai migliori risultati aziendali vanno ad affiancarsi quelli sull’occupazione: il 41% delle imprese impegnate nell’eco-innovazione hanno registrato una crescita degli occupati contro il 31% delle altre. Non solo: le imprese eco-investitrici hanno segnato una crescita dell’export nel 49% dei casi, contro il 33% delle altre.
Si direbbe che le scelte private riescano in qualche caso a sostituire le policy pubbliche nel perseguimento dell’interesse generale.
Non sappiamo se le istituzioni in Italia manchino di funzionare perché la popolazione è fondamentalmente anarchica oppure se valga il contrario, sicché la popolazione è costretta a essere anarchica dato che le istituzioni non funzionano. Quello che è chiaro è che l’Italia è una nazione poco sovrana e molto poco indipendente. E si arrangia di fronte alle mancanze del suo ceto politico e alla mancanza di una classe dirigente credibile e impegnata nelle istituzioni con un insieme di soluzioni socialmente avvertite inventate e realizzate dalle sue aziende, associazioni, fondazioni e altre organizzazioni. In generale, comunque, la presa di coscienza sull’importanza del rapporto tra valori e valore nel nuovo paradigma economico sta diventando un movimento globale di pari importanza — e meno clamore — di quello opposto che riguarda le istanze poco lungimiranti del nazionalismo di ritorno.
La lettera di Larry Fink, ceo di BlackRock, la più grande società di investimento nel mondo, ne è stata una straordinaria dimostrazione. Nei Paesi anglosassoni, molti stanno battendo la strada della convergenza tra la convenienza privata e la convenienza pubblica, in un’ottica di lungo periodo. Le tensioni populiste che prevalgono in quei Paesi sono forti, ma lo sono anche quelle che nell’innovazione tecnologica e sociale cercano soluzioni alle mega sfide della contemporaneità. L’Italia sembra molto propensa a lasciarsi ispirare dal populismo — dopo averlo a sua volta inventato in epoca telecratica — ma non è priva di chance nella prospettiva più saggia della lungimiranza economica e sociale.
L’economia della felicità che rivaluta la connessione inestricabile tra il “valore” e i “valori” serve a definire una prospettiva che porti verso una qualità ambientale, sociale e culturale più accettabile di quella che rancorosamente soffriamo di questi tempi.
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