Welfare

Il Terzo settore in Sicilia fa da solo sfidando una politica che non sta al passo

Presentata a Palermo, alla presenza di numerosi attori del terzo settore e non solo, la quarta inchiesta della serie “Geografie Meridiane” di Vita che fotografa il complesso mondo del terzo settore e le sue tante connessioni, per esempio quella con gli enti pubblici.Tasto dolente che in Sicilia genera ancora più divisione, aggravando una situazione in cui la disgregazione e l'assenza di governance riguarda spesso proprio chi fa sociale

di Gilda Sciortino

Un’occasione per fare il punto sulle condizioni di salute del sociale in Sicilia, ma anche per ritrovarsi, come molto spesso ma non sempre accade grazie a momenti di questo genere, tra tanti operatori di associazioni che nel territorio siciliano sono quotidianamente impegnati sul fronte della lotta a ogni genere di fragilità. Ci si è ritrovati a Palazzo Branciforte, sede della Fondazione Sicilia, per la presentazione di “Sicilia Il sociale sprecato”, la quarta inchiesta, dopo la Sardegna, la Puglia e la Basilicata, che fa parte della serie “Geografie Meridiane”, grazie alla quale VITA punta i riflettori sullo stato del sociale nell’Isola attraverso il racconto di tutti gli attori che appartengono al mondo del terzo settore e non solo.

«Attraverso questo progetto arriviamo in realtà diverse da quelle in cui svolgiamo la nostra consueta attività» – afferma Giuseppe Ambrosio, presidente e ad di VITA – «Vita A SUD nasce proprio per raggiungere le comunità e parlare con i territori locali, creando rapporti con le fondazioni bancarie e con tutto il terzo settore, nelle cui sedi, nelle cui case organizziamo questi eventi. Certo, i dati che registriamo in Sicilia sono drammatici, ma va detto che i numeri non sono mai espressione negativa della realtà. C’è sempre qualcosa di positivo, nelle energie che si muovono nei territori che esprimono. Evidentemente bisogna trovare strade nuove affinché quei numeri possano cambiare. C’è una frase, all’interno del book, che mi ha particolarmente colpito: “spesso del sociale si occupa solo chi fa sociale”. In questo momento di grande cambiamento per Vita che si rinnova e cresce attraverso una nuova piattaforma digitale, l’idea è proprio quella di allargare sempre di più il bacino di persone interessate a sperimentare con noi percorsi. di condivisione. Una delle strade per superare queste negatività e i percorsi non sempre felici che ci raccontano i numeri».

Un’inchiesta, quella realizzata da VITA, dalla quale emerge una realtà che ancora oggi deve imparare come governare un sistema nel quale pubblico e privato non riescono a dialogare. Prova ne è la mancanza dell’assessore regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro Nuccia Albano, che ha declinato l’invito non comprendendo – ma questa è la cifra di una larga parte della politica – che sarebbe stata un’opportunità importante per ascoltare e confrontarsi sulle criticità, traendo magari esempio dalle tante positività, rappresentate dalla presenza in sala di tantissime realtà che compongono il variegato mondo del Terzo settore in Sicilia, una terra che ha certamente numerosi muri ancora da valicare e abbattere, ma in cui fortunatamente c’è chi ci regala modelli da seguire.

«Il confronto con la politica sarebbe stato auspicabile», – sottolinea Stefano Arduini, direttore di VITA – «infatti ci dispiace che l’assessore non abbia accettato di essere con noi. Sarebbe stata un’occasione unica per lei di confrontarsi anche con le sette realtà che abbiamo scelto con non poca difficoltà perché sappiamo bene che forse neanche settanta sarebbero state sufficienti. Qualcuno mi ha chiesto che terzo settore ho trovato. Sicuramente vivace, sicuramente non in assoluto, con punte di qualità che raccontano di un fermento anche culturale, forse più che in altre regioni. La Sicilia è, però, la regione in cui sempre più siciliani vanno via; 80mila trasferitisi al nord è come se scomparisse una città più grande di Cremona. Una Sicilia in cui si può parlare di resilienza e resistenza: la resistenza è reggere a qualcosa di negativo, la resilienza appartiene a chi ha perso la capacità di alzare la voce. Lo dicono con parole diverse un po’ tutti nel book. C’è una grande capacità di innovare che, però, non deve rimanere mera testimonianza culturale. L’obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in questi territori, non quello della sopravvivenza del Terzo settore».

Un’isola nella quale il tasso di povertà assoluta delle famiglie nel 2021 era del 10%, uno dei più alti in Italia, mentre quello di povertà relativa del 18,3%. Una regione al 18° posto fra quelle italiane per efficacia e capacità di risposta del sistema di welfare (welfare index 2022) con oltre il 20% di dispersione scolastica: quasi il doppio alle media nazionale. La Sicilia risulta anche la regione in Italia per incidenza della povertà alimentare minorile, la 2a in Italia per disuguaglianza di reddito, al 2° posto per la spesa in reddito e pensione di cittadinanza con 36 euro mensili pro capite (rispetto alla media nazionale di 12,7 euro); all’ultimo posto in Italia per spesa previdenziale media sulla popolazione over 65, pari a 862 euro (era 853 euro l’anno precedente), a fronte della media nazionale di 1.115 euro, infine al 15° posto per spesa in interventi e servizi sociali (80 euro pro capite rispetto alla media nazionale di 152 euro).

Ricco di interventi e riflessioni il capitolo 1 sul welfare siciliano che, nella maggior parte dei casi, è espressione di una regione sempre uguale a sé stessa. Basta sfogliare le pagine ed ecco Luciano D’Angelo, presidente del “Consorzio Network dei Talenti” e consulente di sviluppo territoriale; Pino Toro, presidente Ail; Salvatore Cacciola, presidente della Rete delle Fattorie Sociali Sicilia; Nuccia Albano, assessore regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro; Pippo Di Natale, portavoce del Forum del Terzo Settore Sicilia; Salvatore Litrico, presidente di Confcooperative/Federsolidarietà Sicilia; Giuseppe Fiolo, coordinatore di Legacoopsociali Sicilia, Stefania Campanella, della direzione di Legacoopsociali Sicilia; Giuditta Petrillo, Santi Mondello e Salvo Raffa, rispettivamente CSV Palermo, Messina ed Etneo; infine Monsignor Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale siciliana.

C’è, però, chi resiste e ci regala modelli da seguire. Sette i change makers scelti per dimostrare che c’è una Sicilia resiliente, una Sicilia che non si arrende. Ognuno di loro ha presentato la propria realtà attraverso una parole chiave, nella quale era espresso il senso di un percorso, di una visione: “comunità” per i processi di rigenerazione urbana di Clac raccontati da Davide Leone:; “integrazione” per la modalità di accoglienza con cui opera Don Bosco 2000 con Agostino Sella; ”fucina” con le occasioni di rigenerazione umana offerti, grazie allo sport, ai ragazzi di “eCLettica”, di cui ha parlato Alessandro Ciulla; “insieme” per il mondo degli orti sociali di “Energ-etica”, realtà della Rete delle Fattorie Sociali, con Salvatore Cacciola; “prossimità” come quella del welfare di comunità di Fondazione Èbbene rappresentata da Elisa Furnari; la “complessità” di Fondazione di Comunità Messina, modello di successo per lo sviluppo comunitario, della quale abbiamo compreso sempre di più attraverso le parole di Tiziana Morina; infine, “bio- diversità”, concetto all’interno del quale c’è anche il mondo dell’integrazione, fuso, ampliato e raccontato anche attraverso il cibo dall’impresa sociale Moltivolti, presente a Palazzo Branciforte con una ricca delegazione rappresentata da Roberta Lo Bianco.

Modelli ai quali si sono affiancate tre sfide lanciate e accolte attraverso il nostro Book da altrettanti testimoni di un territorio che ha solo bisogno di trovare la strada giusta per dimostrare che tutte le potenzialità possono non andare perdute. Quella di Alessandra Sciurba, professoressa di Filosofia del Diritto dell’Università di Palermo è “Interdipendenza”. “Impatto sociale” è la sfida di Giuseppe Notarstefano, docente di statistica economica (Lumsa). La terza è “Creare valore” e la lancia Raffaele Bonsignore, presidente di “Fondazione Sicilia”.

«C’è un grande bisogno di fare rete» – dice Giuseppe Notarstefano – «ma il compito che il sociale ha istituzionalmente è quello di fare crescere il senso di comunità attraverso una capacità di interazione formale e informale. Abbiamo tante reti istituzionali che aggregano le comunità, esprimendo la loro capacità di cedere un po’ del proprio spazio e insieme agli altri arrivare più lontano. Le esperienze che abbiano fatto con i nostri progetti, con le nostre azioni, diventano più sostenibili, capaci di proiettarsi nel futuro costruendo meccanismi di partecipazione e condivisione.

Ci vuole, però, anche volontà, formazione, una tessitura che deve essere costruita culturalmente, passando anche dal lavoro con le scuole. I Pcto, per esempio, possono essere un adempimento formale, ma anche un modo per lavorare e consegnare una visione. Al sud, in Sicilia in particolare, quello che mettiamo a fuoco principalmente è il tema della nuova economia sociale. Abbiamo l’ambizione che possa nascere innovazione sociale, nuova imprenditorialità, un modello innovativo che sia reale. Siamo in un mondo globale, dove è importante trovare la simmetria di positività per andare in giro liberamente»

Un periodo storico nel quale i flussi globali soffiano molto più velocemente per costruire identità territoriali. Lo sostiene Gaetano Giunta, fondatore dalla “Fondazione di Comunità Messina”.

«Parto dalla rivoluzione digitale degli ‘70, quando l’accelerazione dei processi di cambiamento tecnologici era superiore alle capacità delle persone e delle comunità di assimilare questi mutamenti e gestire attorno a essi un’etica e una cultura. Le conseguenze sono state enormi: percorsi di precarizzazione, scomposizione del mondo del lavoro, processi di finanziarizzazione dell’economia e di accentramento dei poteri tecnologici su scala globale, mentre le democrazie rimanevano locali creando uno scompenso che poco ha a che fare con il flusso globale forte. Oggi stiamo vivendo una seconda rivoluzione digitale in cui l’intelligenza artificiale e le connessioni molto veloci porteranno a una seconda scomposizione del lavoro, questa volta in modo particolare sul lavoro di concetto, su quello che gli anglosassoni chiamano “white pollar”, forse aprendo a stili di vita di multi-località. Un altro elemento da considerare? Una dissimmetria demografica senza precedenti. Le stime dei colleghi che si occupano di modelli fisico matematici ci dicono che, nell’arco di 20 anni, il nostro paese potrebbe perdere 12 milioni di abitanti. D’altra parte, la dissimmetria climatica sta rendendo il nostro Paese sempre più piccolo con la conseguenza che le persone tenderanno a stringersi nelle poche pareti di pianeta ancora ospitali per l’uomo. La banca mondiale sostiene che nei prossimi 20 anni saranno 250 milioni circa le persone che migreranno per ragioni climatiche. Ultimo elemento: le disuguaglianze economiche e sociali di riconoscimento, su qualunque scala si osservi il pianeta, ci dicono che la ridistribuzione della ricchezza sta superando quel livello di prossimità che è necessario persino per lo sviluppo economico. Questi sono flussi generali che riguardano la Sicilia come la Lombardia. Qual è la particolarità della Sicilia? Che è una grande frontiera di questi flussi globali. Lo è climaticamente perché si stima che nei prossimi venti anni il 70% dei territori siciliani sarà desertificato e il clima sarà più simile a quello dell’attuale Libia. La Sicilia è anche frontiera per le migrazioni, un importante snodo in quanto la parte più vicina alla sponda sud e per alcuni versi alla sponda est del Mediterraneo dove ci sono i grandi flussi migratori. Ormai mi sembra palese che quell’ipotesi di sviluppo che non ha inglobato il concetto di limite e di complessità, non funziona più. Siamo davanti alla necessità di operare metamorfosi con vera umanità. Perché è interessante e perché è conosciuta la Fondazione Messina? Perché quello che sta facendo su basi teoriche solide e su basi modellistiche solide è provare a sperimentare sui territori modelli di sviluppo che, da logiche lineari e predatorie, diventano logiche circolari che connettono ricerca scientifica e innovazione tecnologica con modelli di welfare comunitari. Se replicabili le esperienze, anche se io non penso che non siano mai replicabili perché sono legate alle persone che le costruiscono, alle comunità in cui sono inserite, alle competenze e alle reti di relazioni, ci dicono che c’è la necessità di inglobare il concetto di limite e di complessità nei programmi e negli approcci teorici, uscire della logica del continuare a perseguire modelli economici che si fondano sulle ipotesi antropologiche false e riduzioniste che dicono che l’uomo è una macchina perfettamente egoista. Per fortuna non è vero».

Una fondazione quella a cui ha dato vita Giunta, che nasce in una realtà come Messina, città che in rapporto alla sua popolazione ha il più alto disagio abitativo del mondo occidentale.

«Ancora circa 2000 famiglie vivono nelle baraccopoli originarie del terremoto del 1908» – aggiunge Giunta – «e questo è uno scandalo nazionale. Il sistema di baracche sta dentro una logica di controllo clientelare che vive tra criminalità organizzata e famiglie che in maniera pianificata controllano le baraccopoli non dando modo di organizzare processi autentici di liberazione. Per darvi un numero, per dirvi come ci sono auto similarità anche sugli indicatori macro, le persone che vivono nelle baraccopoli hanno una vita media di 7 anni minore dal resto della città. Non esiste nessun altro posto al mondo in cui esci dalla baraccopoli, fai dieci metri di strada e le persone vivono 7 anni di più. La stessa media che esiste tra la sponda sud e la sponda nord del Mediterraneo. Il risultato finale? Ben 650 persone sono andate a vivere in una casa scelta, circa la metà in una casa di proprietà operando la più grande operazione di redistribuzione della ricchezza che nella mia città c’è stata dal dopoguerra a oggi. Secondo esempio che chiarisce questo approccio e che chiarisce perché abbiamo scelto la parola “complessità” per raccontare la nostra realtà: la fondazione in questi anni ha promosso oltre 200 imprese social green, workers buyout, per scongiurare ciò che solitamente accade con le imprese che vengono abbandonate perché non si intravede continuità. Stiamo aprendo un fondo per raccogliere come fondazione imprese sane di imprenditori con l’obiettivo di restituirle ai lavoratori. Abbiamo già degli esempi vincenti, il più famoso è il Birrificio Messina, ma ce ne sono altri come le Ceramiche Pattesi e Caleca, fabbrica costruita con ipotesi avanzate di sostenibilità ambientale. Questi esempi chiariscono cosa vuol dire avere bisogno di luoghi di ricomposizione dei saperi. Dobbiamo ripensare il pensiero economico, ma dobbiamo farlo su basi anche teoriche chiare. Noi abbiamo bisognio di reti di pratiche che siano anche pensate per costruire visioni. Fare metamorfosi è questo, avendo un pensiero nuovo. Questa è la grande sfida che dobbiamo affrontare da nord a sud, senza differenze».

Per Pippo di Natale, referente del Forum del Terzo Settore Sicilia, un grande riconoscimento va ai volontari, capaci di dimostrare che, nei territori in cui operano, sono costruttori di sviluppo.

«Voglio fare una provocazione e dire che la parola che sceglierei io è “meno male”» – si accende Di Natale – «Meno male che in questo racconto non ci sia la politica perché, per come ha funzionato in Sicilia, se ci fosse stata queste esperienze non si sarebbero potute raccontare. Un’altra questione nella nostra regione riguarda le risorse. Per favore, non mandate più soldi in Sicilia. Un’assurdità, un paradosso? Certamente, ma lo dico perché la nostra regione, da qui al 2026, si ritroverà a ricevere qualcosa come 40 miliardi di euro che non saprà spendere. L’esperienza ci insegna che la capacità del sistema Sicilia, ovviamente non parlo solo della Regione ma anche delle amministrazioni comunali, dimostra che siamo capaci di spendere ogni anno non più di un miliardo. Un esempio su tutti? Con l’avviso 1/2022 alla Sicilia sono stati assegnati dal Ministero del Lavoro 129 milioni di euro pe i soggetti più fragili – anziani non autosufficienti, senza dimora, minori appartenenti a famiglie con difficoltà – ma, alla data del 5 giugno, i distretti socio-sanitari hanno fatto richiesta per circa 95 milioni di ero, il che significa che qualcosa come 30 milioni tornerà indietro, andando ad altre regioni che possono anche non essere del sud. Il Terzo settore, che non brilla certamente per capacità organizzative, dimostra ancora questa incapacità di fare rete, partenariato, di non riuscire a fare economia e si essere soggetto propulsivo peri il territorio in cui opera. La politica è del tutto assente, mancante di visione, e non ne faccio una questione di destra o di sinistra. Le grandi visioni le hanno avute i nostri padri costituenti. Venivano dalla guerra e immaginavano un Paese che non avevano vissuto, mai visto, immaginavano come dovesse essere l’Italia. Noi, tantissime iniziative le abbiamo potute realizzare grazie al contributo di realtà come Fondazione con il Sud che ha consentito di dare vita e continuità a percorsi di forte impatto sociale. Lo sforzo che chiediamo alla politica è un aiuto concreto e serio: diversamente è meglio che rimanga dentro i suoi palazzi a fare meno danni».

Ovviamente sono sempre le esperienze dirette e concrete che fanno la differenza.

«Mi rendo sempre più conto che tutte le istituzioni funzionano» – conclude Raffaele Bonsignore – «se ci sono persone capaci di guidarle, capaci di avere un pensiero, una visione. Abbiamo sentito sette testimonianze, che potevano essere molte di più; testimonianze da cui viene fuori che tutto va bene se c’è creatività. I Cantieri culturali con Clac sono un esempio di creatività, Don Bosco 2000 investe nei migranti in quanto valore positivo per la nostra società; Eclettica ha guardato all’educazione sportiva e lo ha fatto con lungimiranza; gli orti sociali raccontano di come trasformare i luoghi attraverso un’inclusività lavorativa; a fondazione Messina si può prendere a modello del territorio; affascinante, poi, la descrizione di Moltivolti rispetto a come dovremo guardare con altri occhi chi poi tanto diversi da noi non è. Credo che, se la presentazione di questo book dal titolo provocatorio voleva essere un momento di riflessione rispetto allo stato di salute del sociale in Sicilia, possiamo concludere con una speranza positiva, perché ci sono realtà importanti per la crescita della nostra terra che devono essere aiutate a crescere. Mi fa ovviamente piacere che sia stata scelta Fondazione Sicilia per ospitare questo evento in quanto si è data l’occasione raccontare il modello delle fondazioni di origine bancaria che sono realtà fondamentali per il nostro Paese in quanto modello virtuoso opposto a quello che accede in Italia dove si parla di autonomia differenziata nel senso che chi è più ricco vuole mantenere i suoi privilegi e non guarda certamente a chi vive in condizioni del tutto opposte alla sua. Nelle fondazioni di origine bancaria accade tutto il contrario. Ascoltando queste testimonianze sono contento che le fondazioni come Fondazione con il Sud abbiamo capito che queste sono risorse fondamentali per la Sicilia ma vorrei tanto che la nostra regione potesse impedire la fuga delle nostre più belle menti. Lo dovrebbe impedire una politica che non funziona perché non capace di fare politica nel senso più alto del termine».

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