Volontariato

James Tobin, il bastardo keynesiano

Una riflessione di Stefano Zamagni su Tobin grande economista appena scomparso

di Stefano Zamagni

James Tobin apparteneva alla scuola dei cosiddetti keynesiani d?America, a quella pattuglia di economisti, cioè, che nell?immediato secondo dopoguerra si riuniscono attorno alle figure di Modigliani, Samuelson, Solow e, appunto, Tobin per tentare una mediazione tra la teoria keynesiana e la teoria neoclassica tradizionale, la teoria dell?equilibrio economico generale. Questi keynesiani d’America, Joan Robinson, allieva diretta di Keynes, li definira? poi bastard keynesian, keynesiani bastardi, per marcare una differenza di posizione rispetto alla scuola inglese di Cambridge. Al di là, comunque di una questione meramente definitoria, è un fatto che i keynesiani d?America rappresentano la punta più avanzata del riformismo negli Stati Uniti e non è un mistero che molti di loro abbiano servito in un modo o nell?altro, come consulenti o consiglieri, i governi Usa di stampo democratico. Quali sono i contributi specifici di Tobin in questo contesto? Direi che sono principalmente due. Il primo è un articolo del 1958 intitolato Liquidity preference as behaviour toward risk (la preferenza per la liquidità come comportamento verso il rischio) nel quale Tobin cerca di dare una fondazione microeconomica della teoria monetaria. La teoria monetaria di Keynes è una teoria macroeconomica. Tobin cerca di ricondurla all?area micro mostrando come ci sia domanda di moneta per far fronte alle situazioni di rischio. In altre parole, la domanda per scopi speculativi risulta essere una funzione decrescente del saggio di interesse. Ma è soprattutto nell?articolo del 1969 A generally equilibrium approach to monetary theory (un approccio di equilibrio generale alla teoria monetaria) che Tobin introduce la variabile economica Q, da allora citata in tutti i libri di economia come la Q di Tobin, dove Q non è altro che il rapporto tra la valutazione di mercato e il costo di rimpiazzo dei beni capitali di una certa impresa. Quando cresce Q, aumenta la convenienza all?investimento reale (in impianti, attrezzature, ecc.) perché con Q crescente le imprese non hanno difficoltà di finanziamento esterno in quanto lo troveranno abbondante e a basso costo e, quindi, aumenteranno gli investimenti reali. Questi due contributi che ho citato hanno fatto sì che Tobin venisse sempre considerato, in questo contesto, l?autore per eccellenza della teoria monetaria, anche se per completezza di riferimento non si può dissociare Tobin da John Hicks, altro grande economista di Oxford. Su questi temi monetari i due sono sempre andati di pari passo. Per parlare della cosiddetta Tobin tax bisogna aspettare il 1972 ma numerose delle incomprensioni odierne su di essa sono dovute proprio alla circostanza che la si vede come un fatto a sé e non, invece, come la prosecuzione di un percorso come quello appena ricordato. Nel 1972 Tobin propone la sua tassa in ottemperanza a una intuizione che già aveva avuto Keynes. Keynes, nella Teoria generale del 1936, scrive: L’introduzione di una forte imposta di trasferimento per tutte le negoziazioni potrebbe rivelarsi la riforma piu? utile allo scopo di mitigare il predominio della speculazione sulla intraprendenza. La prima cosa da chiarire subito, quindi, è che l?idea della Tobin tax nasce con Keynes nel 1936. Quello che fa Tobin nel 1972 è il tentativo di enuclearla e specificarla. Secondo punto: l?idea della Tobin tax venne anticipata alla fine degli anni 50 da John Hicks quando usò la metafora del granello di sabbia. Egli infatti sosteneva fosse necessario mettere «granelli di sabbia nella speculazione internazionale». Ricordati tali illustri precedenti, vediamo quali sono gli obiettivi che in quell?articolo del 1972 Tobin attribuisce alla ?sua? tassa. Questi sono sostanzialmente tre: disincentivare l?attività speculativa sulle valute allo scopo di ridurre l?instabilità dei mercati dei cambi; accrescere il grado di influenza delle banche centrali nazionali nella determinazione dei tassi di interesse; prelevare dei fondi da destinare a obiettivi di sviluppo a favore dei Paesi poveri. Tre, quindi, sono gli obiettivi della Tobin tax e non uno solo. Perché la precisazione? Non sono in pochi coloro i quali, nel sostenere l?impraticabilità della tassa, ricordano che di recente sia stato lo stesso Tobin a rinnegarla. Ma le cose non stanno così. O almeno non del tutto. In un?intervista rilasciata alcuni mesi prima di morire, egli ha negato soltanto il primo dei tre obiettivi elencati. Ma non gli altri due. Tobin ammette molto onestamente che il primo obiettivo, quello della riduzione della speculazione e quindi della instabilità, non può essere ottenuto con la sua tassa, anzi addirittura potrebbe aggravarla. E si capisce agevolmente perché visto che nel 1972 non c?era la liberalizzazione dei mercati di capitali, non c?era ancora la globalizzazione. Ecco perché Tobin sostiene l?inapplicabilità della sua tassa. Ma da qui a dire che egli ha rinnegato se stesso ce ne corre dato che gli altri due obiettivi indicati restano validi anche nel Tobin pensiero del 2001. E? ovvio che ci sono critiche che possono essere fatte dal punto di vista teorico alla Tobin tax. Ma sono critiche che hanno corto respiro. Per almeno tre buone ragioni. Innanzitutto queste critiche presuppongono che si accetti una visione teorica del funzionamento dei mercati basata sostanzialmente sui precetti della scuola di Chicago. E cioè sull?idea che i mercati siano completi, che non ci siano le asimmetrie informative, che gli agenti economici siano omogenei, e così via. Se uno accetta questa visione del funzionamento dell?economia allora può dire che la Tobin tax non serve. Ma questo ragionamento, evidentemente, contiene un vizio logico perché si dà per scontato ciò che non lo è in quanto noi sappiamo che ci sono altre teorie, diverse da quelle della scuola di Chicago, per esempio quella che va sotto il nome di Nuova macroeconomia classica, che partono da altri presupposti: che i mercati sono incompleti, che gli agenti economici sono eterogenei, che ci sono forti asimmetrie informative, e via discorrendo. Chi parte da questi ultimi assunti è, per citare un nome, un personaggio come Joseph Stiglitz, premio Nobel per l?economia nell?anno appena passato. Quindi la critica alla Tobin tax si può fare ma non è risolutiva, perché è una critica che sta in piedi solo da un certo punto di vista. Se si cambia punto di vista, la critica cade. Una seconda ragione da sottolineare e? che la tassa di Tobin ha un forte valore simbolico al di la? del fatto se sia facile o difficile da applicare. Il valore simbolico è in questo momento storico probabilmente la cosa più importante. Il valore simbolico che la tassa racchiude è che non si può più andare avanti senza far finta di niente in una situazione nella quale i redditi e le ricchezze aumentano anno dopo anno e le povertà relative pure. Si tratta di una situazione di insostenibilità sociale prima ancora che economico-finanziaria. Gli economisti sbagliano quando ricordano solo la insostenibilità finanziaria. C?è anche una insostenibilità sociale e le vicende dell?11 settembre dovrebbero ricordarlo a tutti: è inutile incentrare l?attenzione solo su dettagli economico finanziari quando poi c?è gente che si organizza per fare gesti inconsulti. Quindi è inutile andare a fare delle speculazioni di tipo teoretico sulla base di modelli matematici, perché quello che è in gioco è che la casa sta bruciando e quando la casa brucia il primo imperativo è di spegnerla. Poi si penserà a come ricostruirla. Chiariti questi equivoci, vi e?, infine, una terza riflessione da fare: non basta introdurre una Tobin tax se contemporaneamente non si crea una World tax organization, una organizzazione mondiale della tassazione sul modello della Wto, l?organizzazione mondiale del commercio. Infatti, se pure fosse introdotta, come pure io auspico, una tassa sulla falsariga della Tobin tax, rimane il problema seguente: chi gestirà gli enormi fondi raccolti? Se noi li lasciamo gestire agli enti attuali, ai governi nazionali, il rischio è di peggiorare la situazione. Abbiamo bisogno di un?agenzia internazionale che metta in pratica il principio di sussidiarietà a livello transnazionale. A me dispiace che il movimento a favore della Tobin tax si limiti soltanto a sottolineare l?urgenza e l?importanza della tassa. Io credo che il modo migliore per onorare la memoria di James Tobin sia quello di portare a termine il suo progetto di operare una redistribuzione su scala internazionale, dando vita a un istituto che si faccia carico di un simile compito.


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