Cultura

Rai, la politica non si occupi solo di conduttori

Da due mesi a questa parte i riflettori sono puntati sulle dimissioni dalla televisione pubblica di storici conduttori e giornalisti come Fabio Fazio, Lucia Annunziata e Bianca Berlinguer. Tra smentite, conferme e dichiarazioni ufficiali è partito il carosello dei nomi di chi potrebbe sostituirli. Quasi come se la scelta del “volto” fosse più importante di quella del contenuto da offrire al pubblico. Ne parliamo con Alberto Fontana, presidente centri clinici NeMO e consigliere di amministrazione Fondazione Telethon

di Rossana Certini

È uno che quando c'è stato da rivendicare gli spazi per la società civile e l'associazionismo nella tv pubblica non s'è mai tirato indietro, Alberto Fontana. Milanese, classe 1971, sposato e padre di tre figli, oggi presiede i centri clinici NeMO ed è consigliere di amministrazione Fondazione Telethon ma nel suo cv ci sono tanti e qualificati incarichi nel Terzo settore nazionale, dalla presidenza della Uildm alla segreteria della Lega per i diritti dei disabili – Ledha, alla presidenza di AriSla.

La persona giusta per ragionare intorno a un fatto, sotto gli occhi di di tutti in questi giorni: nell'accanito dibattito sulla Rai, per le decisioni che seguono il classico avvicendamento post-elettorale, si parla di tutto – di libertà politiche, di rappresentanza, di diritti delle minoranze (politiche) – ma mai, mai si discute dello spazio che l'Italia dell'impegno civico e dell'associazionismo dovrebbe avere (e non ha) e del perché di certi temi, pur presenti nei contratti di servizio, si fatichi a trovare traccia poi nei palinsesti.

Fontana, crede che in Rai si dovrebbe ripensare al compito divulgativo della televisione pubblica dando spazio nei palinsesti, anche al mondo del sociale?

La percezione è che quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è un film già visto. Credo che per prima cosa sia necessario capire che idea di televisione stiamo costruendo. Pubblica o privata che sia. In questo senso lo spostamento di un conduttore incide poco. È indispensabile che i temi del sociale abbiano un ruolo nella comunicazione televisiva. Ma ancor più urgente è che il piccolo schermo sappia raccontare l’importanza della partecipazione civica dei cittadini. Perché oggi stiamo vivendo la più grande crisi dell’impegno dei giovani alle attività del Terzo settore. I ragazzi sono distanti, per esempio, dall’idea di fare volontariato. Tutte le nostre associazioni soffrono questa mancanza e continuano a vivere grazie alla dedizione delle persone che da anni offrono il loro servizio nel mondo del volontariato.

La Rai annuncia la definizione di un nuovo Contratto di servizio, per il 2023-2028, che garantirà ai cittadini un’offerta complessiva di servizio pubblico rilevante, inclusiva, sostenibile, responsabile e credibile. Cosa ne pensa?

Mi piace pensare che si maturi la consapevolezza che, tutti i soggetti candidati a svolgere il ruolo fondamentale della comunicazione, sappiano rivolgersi soprattutto ai giovani trasmettendo loro l’importanza che ha sentirsi protagonisti di idee giuste e il valore del volontariato. I ragazzi non hanno “colpe” se sono distanti dal mondo dell’associazionismo. Siamo noi adulti che abbiamo sbagliato la narrazione. Non siamo più riusciti a trasmettere i valori sociali. Abbiamo dato più rilevanza alla ricerca dell’individualismo anche attreverso i programmi televisivi che gli proponiamo. Questo modo di raccontare la vita in cui bisogna essere per forza performanti per valere qualcosa nel mondo non aiuta a maturare l’idea che possono esistere delle fragilità. In questo modo non stiamo aiutando i ragazzi a viversi anche attraverso gli altri diversi da loro.

Di quale politica avremmo bisogno per costruire la tv di domani?

Basterebbe avere consapevolezza del fatto che una delle priorità nella nostra società è la coesione. Credo che le immagini di quanto sta accadendo in questi giorni in Francia, ma è accaduto anche in Belgio e in Svizzera, debbano far riflettere la politica sul fatto che se non pensiamo alla comunità come a un luogo in cui praticare la giustizia le conseguenze sono devastanti. Inoltre, proprio tornando a pensare ai giovani, è importante ricordare che oggi non riescono più a percepire la possibilità di un ascensore sociale. E questo è un grosso problema. È però necessario pensare alla politica come a un luogo di riflessione non come a una controparte. Dobbiamo anche noi coinvolgerla sui temi del terzo settore che deve, esso stesso, farsi portatore dei propri progetti sui tavoli istituzionali.

La sua speranza …

Che si scrivano dei programmi televisivi che riescano a essere empatici con chi ha ancora a cuore il prossimo. Inolte, come ho detto, mi piacerebbe molto che la televisione pubblica facesse investimenti per parlare ai giovani perché così facendo si assumerebbe la responsabilità della loro motivazione, del loro coinvolgimento e della loro responsabilizzazione.

La foto in apertura è di Mari/Agenzia Sintesi


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