Politica

Niente accordo sui migranti, Ungheria e Polonia dicono no

Il consiglio europeo si è chiuso senza conclusioni sulla questione immigrazione. Rimesso in discussione l'accordo che era stato raggiunto, lo scorso 8 giugno, durante l'incontro dei ministri degli interni degli Stati membri, che prevedeva un numero minimo annuale di ricollocamenti negli Stati dell'Ue o il pagamento di 20mila euro per ogni migrante non accolto

di Anna Spena

Il consiglio europeo si è chiuso senza conclusioni sulla questione immigrazione. Rimesso in discussione l’accordo che era stato raggiunto, lo scorso 8 giugno, durante l’incontro dei ministri degli interni degli Stati membri che prevedeva un numero minimo annuale di ricollocamenti negli Stati dell’Ue o il pagamento di 20mila euro per ogni migrante non accolto. Già lo scorso otto giugno l’Ungheria e la Polonia si erano dette contrarie. Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria si erano astenute. Il resto dei Paesi, compresa l’Italia, si era espressa in maniera favorevole.

Cosa prevedeva l’accordo?

Fissare una procedura comune in tutta l’Unione Europea per concedere o revocare la protezione internazionale e per stabilire rapidamente alle frontiere chi può avere l’asilo e chi no; domande di asilo esaminate entro le 12 settimane; un numero minimo annuale di ricollocamenti dagli Stati membri in cui la maggior parte delle persone entra nell’Ue verso Stati membri meno esposti a tali arrivi. Questo numero era stato fissato a 30mila, mentre il numero minimo annuale di contributi finanziari era stato fissato a 20mila euro per ricollocamento. Nel patto erano previsti anche accordi e infrastrutture per la gestione dei migranti e dei richiedenti asilo nei Paesi di origine o transito, per lo più in Africa e Asia, anziché sul territorio dei Paesi europei.

La reazione di Giorgia Meloni

La premier Giorgia Meloni si è detta comunque soddisfatta perché «la svolta totale è sulla dimensione esterna, non interna, del problema migratorio. Quello che è accaduto con Polonia e Ungheria già lo sapevamo perché era già accaduto sul patto migrazione e asilo. Io comprendo la loro posizione, in questo caso è diversa dalla nostra, perché tutti difendiamo i nostri interessi nazionali e abbiamo esigenze diverse».

Ma il continuo uso del termine “difesa” è sbagliato, perché indica che c’è un attacco, un nemico che ti sta invadendo per conquistarti e dominarti, lo ha spiegato bene Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e policy advisor di Link 2007, in questo articolo: “Le sei dichiarazioni lacunose di Giorgia Meloni per il Consiglio europeo“.

«Quello su cui stiamo lavorando noi, la dimensione esterna, coinvolge tutti i Paesi del Consiglio», ha continuato la premier Meloni. «Su questo c’è un consenso unanime. Il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia può diventare un modello per il Nord Africa». E infatti, nelle conclusione pubblicate sul sito del consiglio europeo si legge: «Il Consiglio europeo ha tenuto una discussione strategica sulle relazioni dell’Unione europea con i partner del vicinato meridionale. In tale contesto, il Consiglio europeo accoglie con favore il lavoro svolto su un pacchetto di partenariato globale reciprocamente vantaggioso con la Tunisia, basato sui pilastri dello sviluppo economico, degli investimenti e del commercio, della transizione energetica verde, della migrazione e dei contatti interpersonali, e sostiene la ripresa del dialogo politico nel contesto dell’accordo di associazione Ue-Tunisia. Sottolinea l’importanza di rafforzare e sviluppare partenariati strategici simili tra l’Unione europea e i partner della regione». Ma di fatto continuare a provare a bloccare le partenze non è la soluzione, lo avevamo raccontato qui: “Tunisia: un Paese da aiutare, non da comprare”.

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