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Iran, da Roma a Teheran: 5 artiste contro il regime

La danza, la pittura, la musica e la poesia per smuovere le coscienze sulla dittatura degli ayatollah. Queste le armi di un gruppo di iraniane che vivono a Roma, che non hanno smesso di lottare insieme ai loro connazionali e che sono diventate protagoniste di un documentario

di Redazione

Ma veramente l’arte può scendere in piazza e inceppare i meccanismi repressivi di un regime come quello iraniano? È possibile poi che i 4.652 chilometri in linea d’aria che separano Roma da Teheran siano coperti dal desiderio degli attivisti costretti a fuggire in Italia di lottare accanto ai loro connazionali? E poi, quanto è vero che l’alleato più performante di ogni dittatura è il silenzio? E poi ancora, ma gli attivisti iraniani in Italia sono al sicuro del tutto o la macchina della repressione degli ayatollah si fa sentire? Eccome se si fanno sentire dall’ambasciata di via Nomentana. Quando i dignitari di Ali Khamenei vedono che c’è troppo che non va, scatta la telefonata intimidatoria. In casa. Veramente? Un altro sì. Di sogni, di di democrazia e di arte che smuove i diritti è pieno il cuore di cinque donne.

Armi bellissime

Sono iraniane, da tempo cittadine italiane, ma non hanno dimenticato che vengono da là e che a Teheran c’è gente che combatte in strada per la democrazia e per ricacciare indietro una dittatura oramai quarantennale. Per colpire utilizzano degli strumenti bellissimi: il corpo nel caso della danzatrice Andishe Garmehi, la poesia in quello di Parisa Nazari, Ghazal Ansarirad ha scelto la voce, le sorelle Sara e Laila Shirvani il piano e il violoncello, mentre Fariba Karimi ha deciso che è la pittura il suo piccone contro l’oscurantismo. Poi è successo anche che una documentarista, Sabrina Varani, ha messo il cuore e le mani di queste donne uno accanto all’altro, ha unito i puntini e ha messo in piedi, anzi sta mettendo in piedi un filmato che racconta proprio chi sono e che fanno: titolo provvisorio “Poesia di guerra”.

Donne libere

«Il filo rosso che unisce queste donne – spiega Varani – è la loro decisione di lasciare l’Iran spinte dalle loro vocazioni artistiche, per seguirle liberamente senza subire più le restrizioni a cui erano soggette a causa delle regole e delle leggi che impediscono loro, in quanto donne, di praticarle»

Sono donne diverse tra loro per estrazione, regioni di provenienza, età, visione politica, ma le loro vite si intrecciano a Roma, unite dal comune desiderio di fare qualcosa per contribuire alla rivoluzione che sperano sia finalmente quella giu-ta per cacciare l’odioso regime oppressivo che attanaglia il paese da 44 anni.

Sabrina Varani, documentarista

La rabbia sulla tela

«Ma ti sei mai chiesto perché i regimi non tollerano gli artisti?» mi chiede Fariba, 42 anni, pittrice. Ma è solo la parte conclusiva del suo discorso. Il punto di partenza? L’arte va oltre le nostre barriere, arriva direttamente al cuore, o alla coscienza se si vuole. Si disinteressa di limiti e perimetri e per questo a Teheran gli artisti non li possono vedere. A Roma dal 2006, Fariba ci ha messo del tempo per entrare a far parte del gruppo “Donne, vita, libertà”, ma dopo l’uccisione di Mahsa Amini non ha più avuto dubbi. Non solo dipinge e passa su tela le sue emozioni a tinte forti, ma si occupa anche di dare sostegno agli iraniani in fuga che sbarcano a Roma. «È un obbligo morale».

L’arte ha un rapporto diretto con le persone e può sensibilizzare la gente. Io? Adesso lavoro anche con le foto. Cerco di esprimere dolore e rabbia.

Fariba Karimi, pittrice

Una voce per combattere

Ghazal Ansarirad ha 35 anni ed è Roma da appena 9 mesi. Ha deciso di lasciare l’Iran per studiare ma soprattutto per cantare, vietato nel paese. Il suo repertorio è un esercizio di ricerca della complessità, quello del territorio in cui è nata. L’opposto della narrazione monolitica diffusa dal governo centrale.


Penso che l’arte sia cruciale per cambiare le cose in Iran. Io sono una cantante e ho deciso di esprimere me stessa in questo modo e la mia contrarietà al regime.

Ghazal Ansarirad, cantante

Violoncello da combattimento

Sul palco dei Giardini della Filarmonica Romana in una giornata speciale dedicata all’Iran c’erano anche le sorelle Leila e Sara Shirvani, rispettivamente violoncellista e pianista. Loro in Iran non ci sono mai state, sono nate e vissute a Roma, ma tengono vivo il sentimento che li lega alla patria dei loro genitori, grazie ai racconti e alla musica. Leila in particolare racconta che non ha avuto timore di suonare il suo violoncello (protetto da un rivestimento con su disegnata la bandiera dell’Iran). «L’arte è una delle forme più efficaci di protesta – dice – io lo faccio tramite il mio strumento. Dopo la morte di Mahsa Amini l’ho suonato davanti all’ambasciata. Il motivo per cui ho tanta rabbia dentro? I miei genitori sono stati costretti all’esilio e noi non abbiamo mai potuto conoscere i nostri parenti».

Il potere della danza

Andishe Garmehi ha 25 anni. «Studio danza a Roma. Fare l’attivista per i diritti umani qui è molto più facile che in Iran. La danza è uno dei motivi per cui sono fuggita».

La poesia di Parisa

Parisa Nazari, 49 anni, vive in Italia dal 1996. Innamorata del suo paese, cerca di diffonderne la cultura millenaria, l’arte, la poesia e la musica attraverso iniziative interculturali. Da tempo ha sposato a questa missione culturale l’attivismo a favore dei diritti umani. Dal 2019 ha deciso di esporsi apertamente contro il regime iraniano sostenendo le proteste dei suoi connazionali in patria. Finché è stato possibile Parisa si è recata ogni anno in Iran per poi tornare a Roma, descrivendo cosa succede oggi nel suo paese d’origine. «Fino a pochi anni fa – spiega Parisa – il nostro attivismo era di tipo prevalentemente culturale. Da novembre 2019 c’è stata più denuncia nelle nostre attività. L’arte, pensiamo, deve essere impegnata e deve denunciare le continue violazioni dei diritti umani e sono 44 anni».

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