Welfare

Le sostanze sono la punta dell’iceberg

La Comunità Marco Riva, operativa dal 1987, continua la sua azione di recupero seguendo lo stile del fondatore. In quasi 40 anni è cambiato tutto, come raccontano il presidente Gianfranco Zilioli e il responsabile dell’équipe educativa, Paolo Castiglioni oggi la vera emergenza sono le polidipendenze e i problemi psichiatrici: «I nostri ospiti hanno sempre più spesso doppie diagnosi e soprattutto nei più giovani una scarsissima percezione del problema»

di Antonietta Nembri

Dal 1987 in una cascina ristrutturata in mezzo ai campi alla periferia di Busto Arsizio (seconda città della provincia di Varese) opera la Comunità Marco Riva, una realtà nata dal desiderio del suo fondatore, don Isidoro Meschi, di rispondere a quella che tra la fine degli anni Settanta e i primi anno Ottanta era una vera e propria emergenza: la tossicodipendenza da eroina che, in quegli anni, ha segnato una generazione.
La Comunità in questi decenni non ha mai smesso di lavorare per recuperare alla vita decina e decine di giovani, anche se in quasi quarant’anni è cambiato tutto «quando abbiamo cominciato c’era il classico tossico da strada, in questi ultimi anni l’utenza è completamente cambiata si assiste sempre di più a polidipendenze» spiega il presidente della Comunità Gianfranco Zilioli. Che continua «L’eroina non la fa più da padrona, il suo posto è preso dalla cocaina e da tutta una serie di sostanze chimiche più o meno complesse. Inoltre, soprattutto in questi ultimi dieci anni abbiamo sempre più componenti di carattere psichiatrico. Se prima avevamo ospiti con una mono patologia, oggi abbiamo persone con una doppia diagnosi e questo rende l’attività di recupero decisamente più complessa».
«La maggiore componente psichiatrica è il problema», gli fa eco Paolo Castiglioni, responsabile dell’équipe educativa. «Quando ci segnalano una persona ci parlano solo della dipendenza, poi dietro ci sono tutti i retroscena della psichiatria vera e propria che rende la gestione dell’ospite più complessa».


Da sx: Gianfranco Zilioli, Paolo Castiglioni, in basso la targa all'ingresso della Comunità

Un altro cambiamento è l’età media elevata delle persone oggi in Comunità «abbiamo cercato di avere utenti più giovani, tra i 30 e i 40 anni, ma non è semplice. Noi siamo una comunità ergoterapica, secondo il progetto educativo di don Isidoro che prevedeva lavoro e logoterapia, purtroppo quando c’è da lavorare i più giovani non ce la fanno, sfuggono soprattutto perché parliamo di ragazzi che non hanno mai lavorato in vita loro. Per cui anche semplicemente tagliare un prato è un problema…» continua Castiglioni. «Questi ragazzi hanno una scarsissima percezione dell’avere un problema o meglio si sentono come dei supereroi capaci di uscirne da soli. Per fare un esempio l’eroinomane di vecchio stampo, si percepiva come tossico, il cocainomane no».

Castiglioni e Zilioli sottolineano che soprattutto gli under40 anni non si sentono dei tossicodipendenti, «oggi, sembra tutto molto normale e anche i costi sono molto più bassi e alla portata di qualsiasi tasca e accessibili facilmente. Cambia anche la tipologia dei reati collegati: anni fa c'erano soprattutto furti e rapine visto che servivano centomila lire del vecchio conio al giorno. Oggi tra i reati c'è lo spaccio anche perché è una realtà che si autofinanzia» precisa il presidente Zilioli, mentre Castiglioni invita a riflettere su un fatto: «I costi sono molto bassi non perché gli spacciatori sono generosi e fanno sconti, ma perché la roba è molto tagliata con farmaci che poi danno tutti quei problemi psichiatrici. I tagli chimici sulla sostanza hanno delle conseguenze e un peso sul fisico molto pesante e concreto».

Quindi quale ruolo hanno oggi le comunità nell’aiutare persone che innanzitutto non si percepiscono come bisognose di aiuto? «Innanzitutto se uno trova in sé le motivazioni e una struttura che è in grado di aiutarlo a scoprire i suoi talenti e un altro modo di vivere, allora la persona ha una possibilità di uscirne» spiega Zilioli «Se guardi il problema da un’altra parte, il ruolo della comunità è brutto dirlo ma spesso è quello della riduzione del danno sociale…».
«Confermo l’idea della riduzione del danno» gli fa eco Castiglioni «l’altra cosa di cui spesso parliamo nel corso delle supervisioni è quella di poter dare ai nostri ospiti la possibilità di vivere un’esperienza diversa da quella che è stata loro vita, fargli assaporare che esiste un altro lato della vita. Un’esistenza senza uso di sostanze… cerchiamo di fargli apprezzare la bellezza. Ci si prova, anche se non sempre ci si riesce».

Alla Marco Riva sono accolti 14 uomini dai 28 ai 56 anni «ma abbiamo avuto anche persone di 61 anni e giovanissimi di 18», illustra il responsabile dell’équipe educativa che sottolinea anche la difficoltà di progettare un intervento con persone molto adulte «quando il Sert ci dice vi invio tizio, età anagrafica 60 anni, la prima domanda che ci facciamo è quale progetto possiamo fare con lui? A livello lavorativo è completamente diverso da una persona di 25/30 anni, sono mondi completamente diversi».
Ma questo non ha mai fermato la Comunità e uno dei risultati è un ex ospite che è oggi un collaboratore dell’officina dove il lavoro è parte della terapia. «Ci occupiamo di taglio del verde, sgomberi, traslochi e poi di carpenteria leggera e pesante con lavori alla portata dei nostri ospiti. Facciamo anche assemblaggi per una ditta di distribuzione di alimenti» continua Castiglioni che sottolinea la lungimiranza del metodo ideato oltre 40 anni fa dal fondatore e che è pubblicato nel volume “Dallo sballo all’empatia. Diagnostica e terapia della tossicodipendenza” (pubblicato postumo nel 1991): la logoterapia e l’ergoterapia.
Per il post Comunità la Marco Riva ha a disposizione anche tre appartamenti con otto posti «oggi ne sono occupati sette e ci sono persone che hanno finito il loro percorso di recupero, lavorano e stanno ricostruendo la propria vita, camminano nella realtà», conclude Zilioli.

In apertura la sede della Comunità Marco Riva a Busto Arsizio (Va)


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