Economia
Aprire le porte ai sogni: dalla cooperativa alla intrapresa sociale
Questo è il quarto intervento in risposta all'articolo di Andrea Morniroli e Marisa Parmigiani su queste colonne su quale sia oggi il ruolo della cooperazione nella lotta contro le disuguaglianze. La storia di Giancarlo Carena appartiene al mondo di Trieste e di Franco Basaglia, dove 50 anni fa è nata la prima cooperativa sociale d'Italia. Il suo mandato? Ascoltare sogni e desideri di una moltitudine di soggetti fragili diversi. Mentre oggi la cooperazione si scontra con le aspirazioni dei giovani, che sognano attività differenti dai codici Ateco
Il 15 giugno 2023 abbiamo festeggiato a Trieste il compleanno della Cooperativa Lavoratori Uniti Franco Basaglia, che ha compiuto i suoi primi 50 anni (www.clufbasaglia.it). Qui voglio evidenziare i gesti fondativi di Franco Basaglia e di Michele Zanetti, che potremmo riassumere in questo modo: Basaglia riconosce le capacità delle persone ricoverate e nella restituzione dei diritti negati ha bisogno di nuovi strumenti. Si ribaltano in un colpo solo cento anni di psichiatria, che ieri come oggi tende ad invalidare, e si inventa la prima cooperativa sociale d’Italia. Il pubblico genera un’innovazione straordinaria e innesca la creazione di valore sociale. Sarà in questa direzione che per oltre 40 anni procederà Franco Rotelli1.
Con l’introduzione della L. 180 recepita poi dalla L. 833 del ’78 e sulle spinte della società, sono avvenuti negli anni ’70 e ’80 cambiamenti radicali, rendendo possibile a tutti noi un nuovo agire con i soggetti che sono emersi sulla scena del disagio sociale: una moltitudine con bisogni differenti. Sarà con questi soggetti che la fragile e nascente cooperazione sociale si confronterà ascoltando i loro infiniti sogni e desideri. Il modello organizzativo che prenderà forma a Trieste, tenderà a promuovere tante piccole attività diverse per provare a rispondere concretamente a quelle soggettività ritrovate. Per provare a porre una domanda che chi si occupa di inserimento lavorativo quasi mai fa: “cosa ti piacerebbe fare?”.
Abbiamo imparato che dovevamo mettere enfasi sul fare cose vere in posti veri scoprendo che spesso, per oggettive difficoltà, per carenze di competenze, si correva il rischio di fare cose misere e povere, spesso separate dal mercato. Abbiamo in questi 50 anni, a Trieste, tentato di rovesciare la questione provando a fare cose belle e utili. Abbiamo perseguito la bellezza2 (ad esempio si vedano agricolamontesanpantaleone.it, listersartoriasociale.it, lacollina.org).
Questi obiettivi oggi si scontrano con i processi di crescita delle nostre cooperative, con la necessità di partecipare ai global service, con l’aumento della produttività richiesta, con la discontinuità e l’intermittenza delle attività. I nostri codici ATECO si scontrano e si infrangono sempre più sulle aspettative dei giovani che incontriamo che sognano lavori ed attività che più o meno recitano così: cooperatori/artigiani del segno, della parola, del gusto, dell’ambiente, dell’algoritmo….
A Trieste in questi 50 anni abbiamo imparato che per creare le condizioni di sostenibilità delle nostre cooperative dovevamo diventare bravi ad agire un’ingegneria sociale che sapesse mettere assieme persone diverse, provenienti dalla totalità dei servizi pubblici, professionisti, artisti e con questi condividere progettualità. Cruciale sarà la capacità di mettere assieme risorse economiche diverse che solitamente non stanno assieme.
Ci pare che oggi questo sia terreno molto fertile. Mai come ora ci sono tante risorse frammentate e separate. Mai come oggi la scena del disagio sociale si è ripopolata di nuovi soggetti che le categorie codificate della L. 381/91 non prendono in considerazione. Andrebbero ripensate, allargate, per legittimarci ad intervenire con progettualità con le persone migranti, rifugiate, over/under-qualcosa.
Il lavoro in questa direzione per noi avanza attraverso un sentiero impervio che ci piace chiamare Intrapresa Sociale. Un sentiero che parla di trovare spazi per l’incompatibile, di emancipazione e capacitazione, di rammendo degli ecosistemi lacerati, di bellezza e di rinnovate alleanze tra pubblico e privato. Con la parola privato intendiamo la cooperazione sociale, ma anche nella complessità di oggi, chi percorre il sentiero insieme ad essa: gli enti del Terzo settore, le forme di governance comunitaria ed anche quel profit che consapevolmente fa propria la responsabilità sociale di impresa, quella vera e non quella all’acqua di rose. Un sentiero faticoso, in salita, ma che ci immaginiamo possa portarci a godere di un bel panorama, insieme.
Chi è
Giancarlo Carena nel 1980 inizia a lavorare come infermiere in un Centro di salute mentale. Dal 1988 al 2019 è stato presidente della cooperativa sociale Agricola Monte San Pantaleone, tra i soci fondatori del Consorzio per l’Impresa Sociale negli anni ’90, oltre che socio fondatore del Consorzio Ausonia. Promotore di San Giovanni oltre il muro (1995, a cura della Fondazione Benetton Studi e Ricerche – Laboratorio per la salvaguardia e la valorizzazione del San Giovanni di Trieste). Coinvolto nella vita economica della città di Trieste, è stato per due mandati consigliere della Camera di Commercio e per due mandati presidente della CNA Trieste.
Note
1. Rotelli F., L’istituzione Inventata / Almanacco. Trieste 1971 – 2010. Edizioni alpha beta Verlag, Merano, 2016; Rotelli F., Quale Psichiatria? Taccuino e lezioni. Edizioni alpha beta Verlag, Merano, 2021; Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel mondo – confbasaglia.org
2. La Rosa che c’è, a cura di Rigoni P., autori vari, Edizioni Università di Trieste, 2013
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