Welfare

Tossicodipendenti, l’esercito degli invisibili

Lamberto Iannucci, presidente del Cipa-Centro di informazione prevenzione e accoglienza di Ortona, in Abruzzo, ha 68 anni e ha visto cambiare il mondo della tossicodipendenza. «Prima c'era solo l'eroina», racconta. «Le persone avevano paura di chi ne faceva uso e i tossicodipendenti rimanevano ai margini della società. Ora c'è un sommerso incredibile e sono cambiati i luoghi del consumo, i giovani soprattutto non chiedono aiuto, perciò dobbiamo andare a cercarli noi»

di Anna Spena

Erano gli anni Ottanta, gli anni del boom dell’eroina in Italia, che riempiva le grandi città e i piccoli comuni di periferia. Era la droga che disegnava geografie nuove dei luoghi e in qualche modo li divideva: «Qui ci vanno i drogati, e qui no». Lamberto Iannucci oggi ha 68 anni e lo ricorda bene quel periodo. È il presidente del Cipa-Centro di informazione prevenzione e accoglienza di Ortona, in provincia di Chieti, un’associazione che era nata dalla rete di “Salesiani per il Sociale” anche se oggi non ne fa più parte. «Era il 1985», racconta, «e i salesiani ricevettero in donazione un terreno che comprendeva una struttura disabitata. La donazione era stata fatta con un’indicazione precisa: lì doveva nascere una comunità terapeutica residenziale per tossicodipendenti». Ortona è un piccolo comune di poco più di 20mila abitanti, dove si conoscevano e si conoscono tutti. «Negli anni Ottanta l’eroina era la sostanza più diffusa, le persone se la iniettavano in vena. E chi ne faceva uso veniva completamente tagliato fuori dalla società, letteralmente scansato da tutti. I tossicodipendenti vivevano per strada e li andavano a recuperare i preti, preti di strada appunto. In quel momento sono nate le comunità come quella di don Ciotti con il gruppo Abele, quella di don Antonio Mazzi con Fondazione Exodus, o la comunità di San Martino al campo di Trieste».

Il tossicodipendente lo riconoscevi negli anni Ottanta. E di lui avevi paura perché sull’uso di sostanze non si sapeva molto. Erano ragazzi e ragazze che spesso sono stati marginalizzati, molto volte anche all’interno delle loro stesse famiglie.

La paura

«Il tossicodipendente lo riconoscevi», racconta Iannucci. «E di lui avevi paura perché sull’uso di sostanze non si sapeva molto. Erano ragazzi e ragazze che spesso sono stati marginalizzati, molto volte anche all’interno delle loro stesse famiglie. Poi è arrivato l’Aids, che tra i tossicodipendeti ha fatto centinaia e centinaia di vittime, e così sono stati ancora di più circoscritti in uno spazio "fuori dalla spazio sociale". La maggior parte dei tossicodipendenti per procurarsi i soldi che servivano a comprare la droga iniziava a delinquere. Il bisogno della droga era cosi forte che rubavano nelle loro stesse case. Per loro le comunità diventavano famiglie, e lo diventavano ancora di più quando le famiglie d’origine li rinnegavano come li rinnegava la società». I primi anni in comunità si entrava senza filtri: «Magari poche ore prima avevi assunto sostanze. Qualcuno la droga provava a portarsela dentro. C’era già un supporto farmacologico, ma non il supporto che esiste oggi. E le crisi di astinenza sono difficili da spiegare: ho visto persone sbattere letteralmente la testa contro il muro».

Prima il tossicodipendente si riconosceva e veniva riconosciuto. Adesso molte persone, soprattutto i giovani, non si riconoscono come tossicodipendenti e quindi non chiedono aiuto. Non si rivolgono ai centri d'ascolto, perché non pensano di avere un problema. La droga si consuma a casa o nei luoghi di aggregazione. È come se la società avesse normalizzato il problema e ignora di fatto queste persone. Persone che invece, soprattutto i giovani, vanno cercati. Oggi l'unica soluzione è la prevenzione, dovremmo iniziare fin dalle scuole elementari

Lamberto Iannucci

Gli invisibili

Dopo la metà degli anni Novanta il mercato della droga si è riempito: dalla cocaina alle droghe sintetiche fino agli acidi. Ed è cambiata anche la percezione che la società ha dei tossicodipendenti. «Se prima venivano esclusi, marginalizzati, scansati», racconta Iannucci, «oggi proprio non vengono nemmeno visti, sono gli invisibili». I dati della Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze sono drammatici: «Nel 2021 si sono rivolti ai circa 600 Servizi per le tossicodipendenze su tutto il territori nazionale 300mila persone e solo il 10% tra loro è under25. La media delle richieste d'aiuto è di 40 anni. Capite che c’è un sommerso incredibile, perchè i principali consumatori oggi sono i giovani, alcuni iniziano anche alle scuole medie. Quindi se da quei 300mila volessimo arrivare ad un dato più o meno verosimile dovremmo moltiplicarlo per otto: parliamo di due milioni e 400mila persone che fanno uso di sostanze». Perché?

Ieri e oggi

«La prima differenza tra ieri e oggi», continua Iannucci, «è che se prima il tossicodipendente si riconosceva e veniva riconosciuto, adesso molte persone, soprattutto i giovani, non si riconoscono come tossicodipendenti e quindi non chiedono aiuto, non si rivolgono ai centri d'ascolto, perché non pensano di avere un problema. Le modalità d’uso oggi sono diverse, non c’è più solo “il buco in vena”, per fare uso di sostanze non esistono più, o almeno non solo, i parchi pubblici o luoghi frequentati solo da tossicodipendenti. Ma si consuma a casa o anche nei luoghi di aggregazione. È come se la società avesse normalizzato il problema e ignora di fatto queste persone. Persone che invece, soprattutto i giovani, vanno cercati. Oggi l'unica soluzione è la prevenzione, dovremmo iniziare fin dalle scuole elementari».


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