Mondo

Troppi errori, ma stiamo cambiando

Meno burocrazia e vincoli per le ong, più fondi per i progetti di sviluppo già aumentati del 30% e una nuova legge che, con qualche correzione, promette bene.

di Redazione

Vincenzo Petrone, 53 anni, foggiano entrato in diplomazia nel 1971, nell’estate dello scorso anno è nominato direttore generale per la cooperazione allo sviluppo. Abile comunicatore, attento ai rapporti con i mass-media e alla cura dell’immagine della direzione che comanda, fa dell’efficienza la sua bandiera.
Dottor Petrone, può tracciare un bilancio del lavoro svolto finora?
Abbiamo profondamente riorganizzato la Dgcs sia sul piano delle strutture sia su quello delle funzioni. Sul primo versante, sono stati ridotti drasticamente il numero degli uffici, in modo da diminuire il numero dei passaggi che i progetti di cooperazione devono fare prima di arrivare all’erogazione dei finanziamenti. Siamo passati da 19 a 14 uffici e ridotto il personale di 36 unità (la Dgcs impiega attualmente 493 persone, contro le 569 del 1994). Il risultato, che ci inorgoglisce, è che rispetto allo stesso periodo dello scorso anno nei primi nove mesi del 1999 le erogazioni hanno ricevuto un aumento del 30%. Contemporaneamente sono diminuite le spese amministrative della stessa Dgcs: il suo funzionamento oggi costa meno del 7% contro, per esempio, il 9,5% della Banca mondiale o il circa 10% dell’Undp.
La cooperazione italiana ha dunque le carte in regola per riprendersi?
Non c’è dubbio. Infatti, oltre ad aumentare di molto le erogazioni ai programmi, quest’anno il Parlamento ha stanziato per il mnistero 740 miliardi nella Finanziaria. Inoltre, solo poche settimane fa, ha approvato una legge con la quale ci vengono destinati altri 400 miliardi di lire per aiuti a dono‚ denaro sottratto al fondo rotativo dei crediti di aiuto, in eccesso di liquidità.
Qual è il suo giudizio sul testo di legge di riforma della cooperazione in discussione al Parlamento?
L’intera Dgcs è ampiamente soddisfatta della qualità del dibattito a cui abbiamo assistito al Senato. Bisogna essere fieri del lavoro svolto dai nostri parlamentari.
Va proprio tutto bene, dunque?
Qualche punto su cui stare attenti, c’è. Per esempio, bisogna fare in modo che il nuovo direttore dell’Agenzia (la struttura che gestirà i progetti) abbia meno vincoli rispetto a quelli che oggi ha il direttore della Dgcs. Dovrà essere un manager davvero libero e autonomo.
La strada è giusta e saranno ong e volontari ad avvantaggiarsi dalla nuova legge?
Sono entusiasta delle misure previste nel testo di riforma della cooperazione sull’incentivazione del volontariato. È la strada giusta. Ma bisognerà evitare le pastoie burocratiche, i bolli, le certificazioni di idoneità, quelle di conformità di contratti, tutte cose che rischiano solo di burocratizzare eccessivamente il rapporto tra Stato e mondo del volontariato di cooperazione. Non bisogna imbrigliare il volontariato ma aiutarlo con finanziamenti, sicurezza, garanzie previdenziali e coperture assicurative. Tutto il resto sono lacciuoli che vanno tranciati.
Alcune azioni di cui va fiero?
Durante la crisi del Kosovo, abbiamo fatto cose interessanti, anche sperimentali, in attività di supporto della Missione Arcobaleno. Soprattutto nella ricostruzione della identità degli sfollati attraverso il recupero dei dati anagrafici. Comunque anche sul versante emergenza siamo andati bene: nel 1998 c’erano in programmazione 45 miliardi e ne abbiamo spesi 70, quest’anno ne erano programmati 70 e già ne abbiamo spesi 112.
Progetti per l’immediato futuro?
L’effettivo passaggio di consegne fra l’attuale Dgcs e la futura Agenzia non avverrà, ritengo, prima di due anni. Nel frattempo rimangono da risolvere alcuni problemi rimasti in sospeso, soprattutto il vecchio contenzioso con le imprese, ereditato dai tempi del Fondo aiuti italiani (Fai), che si è dimostrata una delle esperienze più sciagurate della cooperazione italiana. Purtroppo i pesanti effetti negativi pesano come macigni sulle casse dello Stato, poiché il nostro arretrato ammonta ancora oggi a circa 150 miliardi di lire.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.