Non profit

Domande di Vita a palazzo

Non poteva fare di più per il Terzo settore? E perché adesso il governo è in crisi? Queste alcune delle domande a cui Livia Turco risponde, senza giri di parole, in queste pagine.

di Riccardo Bagnato

Cinque anni di Vita, della vita di tutti coloro che hanno partecipato in diversissima misura alle azioni di quello che oggi chiamiamo Terzo settore. Allora, cinque anni fa, si cominciava ad intravederne il ruolo politico e sociale, eppure mancava ancora un Forum, un Patto sociale con il Governo, un decreto Onlus, la piena coscienza dei propri diritti e doveri, e mancava un punto di riferimento nel mondo dei media per molti volontari e operatori del non profit, come Vita. Lei, onorevole Ministro, cinque anni fa cosa faceva? Cinque anni fa ero parlamentare nella Commissione Lavoro, stavo lavorando ad una legge che il Parlamento ha approvato proprio in queste settimane, cioè la legge sui tempi di vita, del lavoro e della famiglia. Un tema che mi ha sempre appassionato. Altrettanto tosta mi sembra sia stata per lei anche l’esperienza di volontariato… Certo, ma non era cinque anni fa. Fin da ragazza ho lavorato in parrocchia come volontaria, poi quando ho maturato la scelta del Pci, della sinistra, era il periodo del compromesso storico, di Berlinguer, e mi trasferii da Cuneo a Torino. La cosa buffa è che quando arrivai alla stazione di Torino alla ricerca della mia strada trovai una grande tenda del gruppo Abele con su scritto “Contro l’emarginazione”: stavano volantinando contro la droga, la povertà. Era il ‘73. Ero andata a Torino per conoscere il Pci, e la prima realtà che incontrai fu il gruppo Abele… un incontro simbolico che segnò. Così prima di andare in sezione andai alla messa di don Ciotti. Credo di non averlo mai detto, neanche a lui. Allora il Pci era radicato in fabbrica e nel quartiere, stavano nascendo le prime esperienze di comitati spontanei, c’erano gruppi di volontariato, era come ritrovarsi in parrocchia. Lì è iniziata la mia esperienza di militanza intensissima e bellissima, anche nei gruppi del femminismo e delle donne. Più tardi mi iscrissi alle Acli. Insomma, il volontariato è sempre stato presente nella mia vita. Come quando – ero ormai consigliere regionale – giustificai al capogruppo il mio voto contro la Centrale nucleare del Cimelio dicendo che non potevo votare contro le associazioni di volontariato ecologista che manifestavano fuori del Consiglio. Un percorso che l’ha portata ad essere un ministro della solidarietà sociale molto attento, partecipe. Eppure, la sua storia da ministro non è stata priva di sofferenze. Per esempio la caduta del Governo Prodi. Il governo Prodi con il Terzo settore ha fatto un patto serio a Padova. Prodi ha sempre avuto un’autentica passione per la dimensione sociale. Una passione con forti radici solidaristiche che però faceva i conti con un’altra cultura molto forte in lui, quella dell’economista. Quindi era partecipe, ma senza civetteria: se aveva qualcosa da dire, la diceva. Il lavoro che abbiamo fatto insieme è stato far riconoscere il Terzo settore come interlocutore, legittimandone la soggettività politica. E l’abbiamo fatto sia attraverso la pratica, il metodo, cioè con una serie di confronti e di appuntamenti, sia attraverso i contenuti, cioè l’attenzione al welfare, l’aiuto agli ultimi e la valorizzazione del Terzo settore. Poi venne il decreto sulle Onlus… Sì, ma si andò anche oltre. Nella finanziaria dell’anno scorso erano previsti i finanziamenti per l’authority del volontariato, il trasferimento alle Onlus degli incentivi alla piccola e media impresa, e – cosa molto importante – i finanziamenti per la legge sull’associazionismo. Con il Governo D’Alema come è proceduto il dialogo con il Terzo settore? Dopo la dolorosa caduta del governo Prodi (che io ho sofferto molto) con D’Alema si è lavorato in continuità sia sul piano programmatico che su quello dei contenuti. Tra i punti di questa continuità c’è anche il rapporto con il Forum del Terzo Settore, di cui il presidente del Consiglio è molto convinto, tant’è che con il patto sociale, il patto di Natale, è stato deciso che finalmente il Forum del terzo settore venga invitato nelle sedi della concertazione. Adesso siamo nella fase applicativa di questi provvedimenti. Proprio ieri [19 ottobre ndr] ho parlato con il vicepresidente Mattarella dicendo che dobbiamo chiudere il regolamento sull’authority delle Onlus e rendere attuativa la norma della finanziaria per i trasferimento di incentivi alle imprese non profit. Ci impegniamo anche a seguire in Parlamento la legge sull’associazionismo sociale per cui in finanziaria è previsto un adeguato finanziamento. Insomma mi sembra che le cose stiano procedendo, anche se non con i ritmi accelerati che servirebbero. Il Forum ha stilato alcune osservazioni sulla riforma dell’assistenza dove si apprezza il principio di sussidiarietà, ma si chiedono chiarimenti su alcuni punti: la situazione delle Ipab, la loro privatizzazione e il ricongiungimento fra sanitario e sociale. La legge sull’assistenza è molto segnata dalla cultura del non profit e del volontariato. Molto. Non soltanto per il principio di sussidiarietà, ma per l’impianto della legge, che insiste sulla rete integrata di servizi e sul ruolo delle famiglie. In un Paese che non si è mai occupato di famiglia, che sulla famiglia fa grandi scontri ideologici, è importantissimo aver scritto un articolo che parla di politiche per la famiglia che partono dal riconoscimento della funzione di essa come soggetto sociale attivo nella formazione della persona e per la coesione sociale, e non come semplice destinatario passivo di politiche. Il fatto che questo emendamento sia stato scritto da una donna di sinistra e abbia avuto anche il voto delle opposizioni è significativo, e qui devo molto alla cultura dell’associazionismo e del volontariato, che ha sottolineato questo tema. Poi nella legge si parla di lotta alla povertà, di diritti sociali, di un sistema di servizi integrati che ripropone fortemente la cultura della prevenzione del disagio, e si parla di rapporti fra pubblico e privato. Si prevede un ruolo per lo Stato che è davvero quello di “regolatore”, indicatore di standard di qualità. La legge sull’assistenza definisce un pacchetto di regole: regole per soggetti istituzionali (regione, provincia, comune); regole per il rapporto fra istituzioni e soggetti sociali, fra pubblico e privato, per il sistema dell’accreditamento. E poi l’innovazione dei buoni servizio: il cittadino può comprarsi il servizio che vuole, lo Stato gli lascia la libertà di decidere. Anche sui buoni servizio, il Forum fa alcune osservazioni… E io leggerò le osservazioni del Forum. Faccio presente solo questo: la legge sull’assistenza è arrivata a un punto cruciale, deve essere approvata. Per essere approvata ci vuole compattezza, e non c’è più tempo per molti emendamenti perché sono tre anni che questa legge è all’attenzione della commissione Affari sociali, ha già passato il vaglio di 600 emendamenti, si è avvalsa di un lavoro parlamentare straordinario, c’è stato dialogo fra maggioranza e opposizione, e credo che questo sia importante. È inoltre il frutto di un forte dialogo con il non profit, con gli enti locali, con il volontariato, con i sindacati. Adesso va approvata. Altrimenti n-o-n s-i f-a-r-à. Entro dicembre? A dicembre va chiusa. Il Forum ci può aiutare affinché questa legge trovi uno spazio nel calendario dei lavori parlamentari. Ci aiuti a ribadire che assolutamente, tassativamente, prima di Natale la Camera deve approvare il disegno di legge sull’assistenza. In questi cinque anni si sono fatte molte cose, ma perché non si è fatto di più? Cosa manca alla politica italiana? La vicenda politica italiana è molto complicata. Questo Paese ha bisogno di stabilità, perché per fare le riforme ci vuole stabilità, e tempo. Purtroppo la dinamica all’interno dei Poli e tra i Poli non è riuscita a raggiungere ancora quella omogeneità e quella definizione tale da garantire stabilità. Mi amareggia molto vedere una situazione così incerta soprattutto nel centrosinistra. La nostra coalizione ha bisogno di comunicare un progetto alla società, le tante cose che stiamo facendo devono comunicare un progetto, delle idee, non possono essere soltanto i provvedimenti della Turco, di Bersani, di Bassanini, con una maggioranza che poi fa i distinguo e litiga. Non è possibile. Non riusciamo a far emergere un’anima. E la cosa più bella della sua esperienza da ministro? La cosa più bella è che c’è stata più sinistra nella mia esperienza da ministro che nella mia militanza politica. Vede, io non mi sono incontrata soltanto con le istituzioni, le associazioni, il volontariato, il Forum… ma con la sofferenza delle persone, con i problemi delle persone, le povertà delle persone, e ho capito che è sì importante come si risolvono i problemi, ma soprattutto è importante come ci si mette in gioco personalmente rispetto a quei problemi e a quelle persone. Per fare delle buone leggi, per essere un buon ministro bisogna condividere la povertà nelle mense, condividere i problemi delle famiglie dei tossicodipendenti, il dramma delle madri di handicappati gravi, condividere la condizione dell’immigrato. Questa è la condizione fondamentale del mio lavoro: condividere. Se ogni azione di governo come dice lei dovrebbe comunicare anche un’anima, qual è l’anima di questa crisi di governo che affatica il processo di riforma del welfare cui il Terzo settore partecipa attivamente? La caduta del governo Prodi per me è stata dolorosa perché ha voluto dire la fine di un sogno, quello di vedere tutte le anime della sinistra partecipare al governo grazie a una forte contaminazione fra le grandi culture politiche del Paese. Una crisi inutile che ha un nome e un cognome ben preciso: Rifondazione Comunista, che scelse la strada della rottura di quell’esperienza. Ora, venuto meno quell’Ulivo originario che aveva la speranza di trovare punti di contatto fra centro cattolico e la sinistra, l’esperienza di questo governo è l’esperienza faticosa di chi si è posto l’obiettivo dell’occupazione, dello sviluppo e della riforma dello Stato sociale, e che cerca di ricostruire una nuova stagione. La mia è una riflessione di un volontario lontano da questi paradossi: noto una certa autoreferenzialità in tutto questo. Sì, ma io vorrei che fosse chiaro questo paradosso: noi, governo e maggioranza, abbiamo fatto una finanziaria che parla al Paese, ai cittadini, che riduce le tasse, che prevede interventi mirati per bambini e anziani e per la famiglia, aumenta gli interventi sociali, le risorse per le politiche del lavoro. Ma i cittadini non se ne accorgono più perché la scena è occupata non da questa legge finanziaria, ma dal fatto che questo governo è in una situazione di crisi incomprensibile. Una incomprensibilità davanti alla quale molti tra noi giovani hanno preferito l’impegno sociale nel Terzo settore. Per il Terzo settore e il volontariato vedo un momento di crescita importante ma complicata al contempo. Per esempio sono rimasta colpita dall’attacco violento e gratuito che c’è stato nei confronti del volontariato sulla vicenda del Kosovo e della Caritas. Il volontariato va difeso, ma credo anche che ci sia un problema di comunicazione con la società. Mi pare che si oscilli da “son tutti bravi e buoni” alla non conoscenza di ciò che i volontari fanno. Molti pensano che sono come gli altri. Esattamente. Da questo punto di vista “Vita” è uno strumento utile e preziosissimo. Bisogna che i cittadini conoscano la normalità e la quotidianità del volontariato, sappiano quante sono le opere e gli impegni, cosa vuol dire fare volontariato negli ospedali, come sarebbe la vita di tutti i giorni senza l’Anpas. Il volontariato deve tornare ad affascinare i giovani. L’anno scorso ho partecipato alla Conferenza nazionale del volontariato a Foligno e ho avuto la sensazione che si sia insediata una classe dirigente del volontariato formata da finti giovani, che hanno sancito la fine di un percorso politico e sociale del Terzo settore a vantaggio di un ruolo politico tout-court. Anch’io sono partita da Foligno con alcuni interrogativi: primo, il problema del rapporto fra i cosiddetti gruppi dirigenti del volontariato e la base. L’altro è il rapporto fra il volontariato strutturato, che si iscrive agli albi regionali ad esempio, e la miriade di gruppi volontaristici. E ancora: il rapporto fra volontariato e Terzo Settore. Su quest’ultimo punto penso però che esista una risposta: il volontariato deve mantenere la sua originalità, la sua dimensione di gratuità, che può essere espressa dovunque, nella parrocchia, in un ospedale o in una cooperativa sociale. E la cooperativa sociale è una realtà che produce bene comune se al suo interno ci sono volontari. Se la cooperativa vuole davvero proporsi l’inclusione degli immigrati o dare un servizio qualificato per i bambini o per i disabili, al suo interno deve per forza contemplare il volontariato. Non per far quadrare i bilanci, ma perché se ha come interesse il bene comune non funzionerebbe se non con il volontariato. Non credo ci sia contraddizione. Se invece il volontario è lì per ridurre i costi, per vincere gli appalti, avrà un’altra funzione, quella di mano d’opera gratuita, che è diverso. Quindi il problema non è astratto come vorrebbe una visione manichea. Se l’obiettivo è quello di includere l’altro e se questo obiettivo è forte non c’è contraddizione. Lei ha parlato delle motivazioni reali del volontariato. Anche l’Osservatorio nazionale sul volontariato sta ragionando sul rapporto fra gratuità e dono. Secondo me c’è stata una sorta di stanchezza del volontariato. È cresciuto, si è dato punti di riferimento, assetti, ha una dialettica interna, ma dentro questa dialettica si sono ravvisati elementi di stanchezza, di dibattito più da “ceto politico”. Credo invece che il volontariato possa vivere una nuova fase rimettendo al centro il concetto di dono e di presa in carico dell’altro. E mi auguro che questa nuova stagione veda alleate le grandi associazioni con le piccole sparse sul territorio. Una nota anche suVita, che compie cinque anni. È colpa loro se sono qui… Io a “Vita” posso solo dire parole di amicizia e di gratitudine e fare i miei migliori auguri. Sono una testimone di quanto “Vita” sia stato utile per il volontariato e per le istituzioni. Per il volontariato è stato un po’ la lobby nel rapporto con le istituzioni, per le istituzioni è stato un po’ il campanello, quello che squillava, gridava, imprecava e ci ha fatto aprire gli occhi. Quindi a “Vita” straordinari auguri. •C inque anni di Vita, della vita di tutti coloro che hanno partecipato in diversissima misura alle azioni di quello che oggi chiamiamo Terzo settore. Allora, cinque anni fa, si cominciava ad intravederne il ruolo politico e sociale, eppure mancava ancora un Forum, un Patto sociale con il Governo, un decreto Onlus, la piena coscienza dei propri diritti e doveri, e mancava un punto di riferimento nel mondo dei media per molti volontari e operatori del non profit, come Vita. Lei, onorevole Ministro, cinque anni fa cosa faceva? Cinque anni fa ero parlamentare nella Commissione Lavoro, stavo lavorando ad una legge che il Parlamento ha approvato proprio in queste settimane, cioè la legge sui tempi di vita, del lavoro e della famiglia. Un tema che mi ha sempre appassionato. Altrettanto tosta mi sembra sia stata per lei anche l’esperienza di volontariato… Certo, ma non era cinque anni fa. Fin da ragazza ho lavorato in parrocchia come volontaria, poi quando ho maturato la scelta del Pci, della sinistra, era il periodo del compromesso storico, di Berlinguer, e mi trasferii da Cuneo a Torino. La cosa buffa è che quando arrivai alla stazione di Torino alla ricerca della mia strada trovai una grande tenda del gruppo Abele con su scritto “Contro l’emarginazione”: stavano volantinando contro la droga, la povertà. Era il ‘73. Ero andata a Torino per conoscere il Pci, e la prima realtà che incontrai fu il gruppo Abele… un incontro simbolico che segnò. Così prima di andare in sezione andai alla messa di don Ciotti. Credo di non averlo mai detto, neanche a lui. Allora il Pci era radicato in fabbrica e nel quartiere, stavano nascendo le prime esperienze di comitati spontanei, c’erano gruppi di volontariato, era come ritrovarsi in parrocchia. Lì è iniziata la mia esperienza di militanza intensissima e bellissima, anche nei gruppi del femminismo e delle donne. Più tardi mi iscrissi alle Acli. Insomma, il volontariato è sempre stato presente nella mia vita. Come quando – ero ormai consigliere regionale – giustificai al capogruppo il mio voto contro la Centrale nucleare del Cimelio dicendo che non potevo votare contro le associazioni di volontariato ecologista che manifestavano fuori del Consiglio. Un percorso che l’ha portata ad essere un ministro della solidarietà sociale molto attento, partecipe. Eppure, la sua storia da ministro non è stata priva di sofferenze. Per esempio la caduta del Governo Prodi. Il governo Prodi con il Terzo settore ha fatto un patto serio a Padova. Prodi ha sempre avuto un’autentica passione per la dimensione sociale. Una passione con forti radici solidaristiche che però faceva i conti con un’altra cultura molto forte in lui, quella dell’economista. Quindi era partecipe, ma senza civetteria: se aveva qualcosa da dire, la diceva. Il lavoro che abbiamo fatto insieme è stato far riconoscere il Terzo settore come interlocutore, legittimandone la soggettività politica. E l’abbiamo fatto sia attraverso la pratica, il metodo, cioè con una serie di confronti e di appuntamenti, sia attraverso i contenuti, cioè l’attenzione al welfare, l’aiuto agli ultimi e la valorizzazione del Terzo settore. Poi venne il decreto sulle Onlus… Sì, ma si andò anche oltre. Nella finanziaria dell’anno scorso erano previsti i finanziamenti per l’authority del volontariato, il trasferimento alle Onlus degli incentivi alla piccola e media impresa, e – cosa molto importante – i finanziamenti per la legge sull’associazionismo. Con il Governo D’Alema come è proceduto il dialogo con il Terzo settore? Dopo la dolorosa caduta del governo Prodi (che io ho sofferto molto) con D’Alema si è lavorato in continuità sia sul piano programmatico che su quello dei contenuti. Tra i punti di questa continuità c’è anche il rapporto con il Forum del Terzo Settore, di cui il presidente del Consiglio è molto convinto, tant’è che con il patto sociale, il patto di Natale, è stato deciso che finalmente il Forum del terzo settore venga invitato nelle sedi della concertazione. Adesso siamo nella fase applicativa di questi provvedimenti. Proprio ieri [19 ottobre ndr] ho parlato con il vicepresidente Mattarella dicendo che dobbiamo chiudere il regolamento sull’authority delle Onlus e rendere attuativa la norma della finanziaria per i trasferimento di incentivi alle imprese non profit. Ci impegniamo anche a seguire in Parlamento la legge sull’associazionismo sociale per cui in finanziaria è previsto un adeguato finanziamento. Insomma mi sembra che le cose stiano procedendo, anche se non con i ritmi accelerati che servirebbero. Il Forum ha stilato alcune osservazioni sulla riforma dell’assistenza dove si apprezza il principio di sussidiarietà, ma si chiedono chiarimenti su alcuni punti: la situazione delle Ipab, la loro privatizzazione e il ricongiungimento fra sanitario e sociale. La legge sull’assistenza è molto segnata dalla cultura del non profit e del volontariato. Molto. Non soltanto per il principio di sussidiarietà, ma per l’impianto della legge, che insiste sulla rete integrata di servizi e sul ruolo delle famiglie. In un Paese che non si è mai occupato di famiglia, che sulla famiglia fa grandi scontri ideologici, è importantissimo aver scritto un articolo che parla di politiche per la famiglia che partono dal riconoscimento della funzione di essa come soggetto sociale attivo nella formazione della persona e per la coesione sociale, e non come semplice destinatario passivo di politiche. Il fatto che questo emendamento sia stato scritto da una donna di sinistra e abbia avuto anche il voto delle opposizioni è significativo, e qui devo molto alla cultura dell’associazionismo e del volontariato, che ha sottolineato questo tema. Poi nella legge si parla di lotta alla povertà, di diritti sociali, di un sistema di servizi integrati che ripropone fortemente la cultura della prevenzione del disagio, e si parla di rapporti fra pubblico e privato. Si prevede un ruolo per lo Stato che è davvero quello di “regolatore”, indicatore di standard di qualità. La legge sull’assistenza definisce un pacchetto di regole: regole per soggetti istituzionali (regione, provincia, comune); regole per il rapporto fra istituzioni e soggetti sociali, fra pubblico e privato, per il sistema dell’accreditamento. E poi l’innovazione dei buoni servizio: il cittadino può comprarsi il servizio che vuole, lo Stato gli lascia la libertà di decidere. Anche sui buoni servizio, il Forum fa alcune osservazioni… E io leggerò le osservazioni del Forum. Faccio presente solo questo: la legge sull’assistenza è arrivata a un punto cruciale, deve essere approvata. Per essere approvata ci vuole compattezza, e non c’è più tempo per molti emendamenti perché sono tre anni che questa legge è all’attenzione della commissione Affari sociali, ha già passato il vaglio di 600 emendamenti, si è avvalsa di un lavoro parlamentare straordinario, c’è stato dialogo fra maggioranza e opposizione, e credo che questo sia importante. È inoltre il frutto di un forte dialogo con il non profit, con gli enti locali, con il volontariato, con i sindacati. Adesso va approvata. Altrimenti n-o-n s-i f-a-r-à. Entro dicembre? A dicembre va chiusa. Il Forum ci può aiutare affinché questa legge trovi uno spazio nel calendario dei lavori parlamentari. Ci aiuti a ribadire che assolutamente, tassativamente, prima di Natale la Camera deve approvare il disegno di legge sull’assistenza. In questi cinque anni si sono fatte molte cose, ma perché non si è fatto di più? Cosa manca alla politica italiana? La vicenda politica italiana è molto complicata. Questo Paese ha bisogno di stabilità, perché per fare le riforme ci vuole stabilità, e tempo. Purtroppo la dinamica all’interno dei Poli e tra i Poli non è riuscita a raggiungere ancora quella omogeneità e quella definizione tale da garantire stabilità. Mi amareggia molto vedere una situazione così incerta soprattutto nel centrosinistra. La nostra coalizione ha bisogno di comunicare un progetto alla società, le tante cose che stiamo facendo devono comunicare un progetto, delle idee, non possono essere soltanto i provvedimenti della Turco, di Bersani, di Bassanini, con una maggioranza che poi fa i distinguo e litiga. Non è possibile. Non riusciamo a far emergere un’anima. E la cosa più bella della sua esperienza da ministro? La cosa più bella è che c’è stata più sinistra nella mia esperienza da ministro che nella mia militanza politica. Vede, io non mi sono incontrata soltanto con le istituzioni, le associazioni, il volontariato, il Forum… ma con la sofferenza delle persone, con i problemi delle persone, le povertà delle persone, e ho capito che è sì importante come si risolvono i problemi, ma soprattutto è importante come ci si mette in gioco personalmente rispetto a quei problemi e a quelle persone. Per fare delle buone leggi, per essere un buon ministro bisogna condividere la povertà nelle mense, condividere i problemi delle famiglie dei tossicodipendenti, il dramma delle madri di handicappati gravi, condividere la condizione dell’immigrato. Questa è la condizione fondamentale del mio lavoro: condividere. Se ogni azione di governo come dice lei dovrebbe comunicare anche un’anima, qual è l’anima di questa crisi di governo che affatica il processo di riforma del welfare cui il Terzo settore partecipa attivamente? La caduta del governo Prodi per me è stata dolorosa perché ha voluto dire la fine di un sogno, quello di vedere tutte le anime della sinistra partecipare al governo grazie a una forte contaminazione fra le grandi culture politiche del Paese. Una crisi inutile che ha un nome e un cognome ben preciso: Rifondazione Comunista, che scelse la strada della rottura di quell’esperienza. Ora, venuto meno quell’Ulivo originario che aveva la speranza di trovare punti di contatto fra centro cattolico e la sinistra, l’esperienza di questo governo è l’esperienza faticosa di chi si è posto l’obiettivo dell’occupazione, dello sviluppo e della riforma dello Stato sociale, e che cerca di ricostruire una nuova stagione. La mia è una riflessione di un volontario lontano da questi paradossi: noto una certa autoreferenzialità in tutto questo. Sì, ma io vorrei che fosse chiaro questo paradosso: noi, governo e maggioranza, abbiamo fatto una finanziaria che parla al Paese, ai cittadini, che riduce le tasse, che prevede interventi mirati per bambini e anziani e per la famiglia, aumenta gli interventi sociali, le risorse per le politiche del lavoro. Ma i cittadini non se ne accorgono più perché la scena è occupata non da questa legge finanziaria, ma dal fatto che questo governo è in una situazione di crisi incomprensibile. Una incomprensibilità davanti alla quale molti tra noi giovani hanno preferito l’impegno sociale nel Terzo settore. Per il Terzo settore e il volontariato vedo un momento di crescita importante ma complicata al contempo. Per esempio sono rimasta colpita dall’attacco violento e gratuito che c’è stato nei confronti del volontariato sulla vicenda del Kosovo e della Caritas. Il volontariato va difeso, ma credo anche che ci sia un problema di comunicazione con la società. Mi pare che si oscilli da “son tutti bravi e buoni” alla non conoscenza di ciò che i volontari fanno. Molti pensano che sono come gli altri. Esattamente. Da questo punto di vista “Vita” è uno strumento utile e preziosissimo. Bisogna che i cittadini conoscano la normalità e la quotidianità del volontariato, sappiano quante sono le opere e gli impegni, cosa vuol dire fare volontariato negli ospedali, come sarebbe la vita di tutti i giorni senza l’Anpas. Il volontariato deve tornare ad affascinare i giovani. L’anno scorso ho partecipato alla Conferenza nazionale del volontariato a Foligno e ho avuto la sensazione che si sia insediata una classe dirigente del volontariato formata da finti giovani, che hanno sancito la fine di un percorso politico e sociale del Terzo settore a vantaggio di un ruolo politico tout-court. Anch’io sono partita da Foligno con alcuni interrogativi: primo, il problema del rapporto fra i cosiddetti gruppi dirigenti del volontariato e la base. L’altro è il rapporto fra il volontariato strutturato, che si iscrive agli albi regionali ad esempio, e la miriade di gruppi volontaristici. E ancora: il rapporto fra volontariato e Terzo Settore. Su quest’ultimo punto penso però che esista una risposta: il volontariato deve mantenere la sua originalità, la sua dimensione di gratuità, che può essere espressa dovunque, nella parrocchia, in un ospedale o in una cooperativa sociale. E la cooperativa sociale è una realtà che produce bene comune se al suo interno ci sono volontari. Se la cooperativa vuole davvero proporsi l’inclusione degli immigrati o dare un servizio qualificato per i bambini o per i disabili, al suo interno deve per forza contemplare il volontariato. Non per far quadrare i bilanci, ma perché se ha come interesse il bene comune non funzionerebbe se non con il volontariato. Non credo ci sia contraddizione. Se invece il volontario è lì per ridurre i costi, per vincere gli appalti, avrà un’altra funzione, quella di mano d’opera gratuita, che è diverso. Quindi il problema non è astratto come vorrebbe una visione manichea. Se l’obiettivo è quello di includere l’altro e se questo obiettivo è forte non c’è contraddizione. Lei ha parlato delle motivazioni reali del volontariato. Anche l’Osservatorio nazionale sul volontariato sta ragionando sul rapporto fra gratuità e dono. Secondo me c’è stata una sorta di stanchezza del volontariato. È cresciuto, si è dato punti di riferimento, assetti, ha una dialettica interna, ma dentro questa dialettica si sono ravvisati elementi di stanchezza, di dibattito più da “ceto politico”. Credo invece che il volontariato possa vivere una nuova fase rimettendo al centro il concetto di dono e di presa in carico dell’altro. E mi auguro che questa nuova stagione veda alleate le grandi associazioni con le piccole sparse sul territorio. Una nota anche suVita, che compie cinque anni. È colpa loro se sono qui… Io a “Vita” posso solo dire parole di amicizia e di gratitudine e fare i miei migliori auguri. Sono una testimone di quanto “Vita” sia stato utile per il volontariato e per le istituzioni. Per il volontariato è stato un po’ la lobby nel rapporto con le istituzioni, per le istituzioni è stato un po’ il campanello, quello che squillava, gridava, imprecava e ci ha fatto aprire gli occhi. Quindi a “Vita” straordinari auguri.


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