Welfare
Francesco ha cambiato lo sguardo della Chiesa sulla povertà
«Da individuale l'ha fatta diventare questione sociale. Nei suoi discorsi non si trova niente di meno che l’indicazione al dovere di modificare i meccanismi che producono emarginazione». Uno stralcio dell'intervento della sociologa pubblicato sul numero di VITA magazine di marzo, dedicato ai dieci anni di papato di Bergoglio
Lo sguardo di papa Francesco sui poveri e la povertà è duplice. È lo sguardo di chi si fa carico dei loro bisogni più urgenti anche dal punto di vista del mantenimento della dignità personale. Quindi, lungi dal far sgombrare gli accattoni e i senza dimora che frequentano piazza San Pietro, come hanno da qualche anno iniziato a fare non solo molti sindaci nelle vie e piazze dei centri urbani in nome del decoro, ma anche alcuni parroci sui sagrati delle chiese, fa installare docce per loro nel loggiato. Consente al suo elemosiniere di riallacciare la luce in un edificio romano abbandonato e occupato da persone che non hanno altro tetto sotto cui ripararsi. Sollecita tutte le parrocchie ad essere accoglienti con azioni pratiche verso i poveri e i migranti.
Tutto sommato queste azioni, anche se erano diventate inusuali per un papa, rientrano, dovrebbero rientrare, nella normale attività e pedagogia del capo della Chiesa. Papa Francesco tuttavia rovescia lo sguardo sulla povertà proprio tradizionalmente della Chiesa, formulandolo come problema eminentemente politico, esito di decisioni che avvengono entro rapporti di potere asimmetrici— tra gruppi e classi sociali, anche se non usa questi termini — e tra Paesi. Per Francesco, infatti, la povertà e la condizione dei poveri vanno letti e affrontati innanzitutto nella prospettiva della, mancata, imperfetta, giustizia sociale e delle disuguaglianze, non della sfortuna o debolezza dei singoli.
Nei suoi discorsi sulla povertà si trova niente di meno che l’indicazione al dovere di modificare i meccanismi che producono povertà ed emarginazione. «Solidarietà con i poveri è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro e di una casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. La solidarietà è un modo di fare la storia con i poveri, rifuggendo da presunte opere altruistiche che riducono l’altro alla passività». Un’indicazione che riguarda anche la povertà e disuguaglianza come dimensione strutturale di relazioni internazionali asimmetriche nel mondo globalizzato, di cui occorre assumersi la responsabilità per cambiarle: «Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in un’opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei beni della terra». C’è nell’analisi di papa Francesco sulla povertà e nella pedagogia che ne scaturisce anche una critica PER CONTINUARE A LEGGERE ABBONATI A VITA O ACQUISTA IL SINGOLO NUMERO CLICCANDO QUI
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