Welfare

Sanità in Sardegna, la protesta si sposta sotto l’assessorato regionale

Si susseguono le manifestazioni per richiamare la politica alle sue responsabilità. Personale insufficiente e spesso sotto stress, stipendi bassi, liste d'attesa che si allungano sempre di più anche per i malati gravi, riforma monca e da correggere. Le critiche e le richieste di sindacati e familiari dei pazienti

di Luigi Alfonso

Proseguono le manifestazioni di protesta del settore sanità in Sardegna. Dopo il sit-in organizzato ieri dall’Usb Sardegna di fronte all’ospedale oncologico “Businco” di Cagliari, oggi è stata la volta di sei sigle sindacali che rappresentano circa il 90 per cento del personale medico e paramedico dell’Isola, sia nel pubblico che nel privato: Fp Cgil, Uil Fpl, Fials, Nursind, Nursing Up e Fsi Usae. Medici, veterinari, infermieri, Oss e amministrativi hanno manifestato sotto la sede dell’assessorato regionale della Sanità, a Cagliari. «Il tempo stringe per l’utilizzo delle risorse del Pnrr, la Regione è chiamata a contemperare il nuovo assetto entro il 2026», hanno sottolineato i segretari regionali dei sindacati. «Se non ci sarà un’inversione di marcia, non resisteranno neanche i servizi minimi. In alcuni territori non sono già garantiti i livelli essenziali di assistenza. Le liste d’attesa per gli esami sono sempre più lunghe, non si gioca sulla pelle della gente. I lavoratori della sanità sono soli, in perenne carenza d’organico, in condizioni di lavoro inaccettabili con turni massacranti e gli stipendi più bassi d’Italia che li spingono alle dimissioni. In più, la gravissima crisi dei Pronto soccorso e dell’emergenza-urgenza è ormai insostenibile. Molti, troppi cittadini rinunciano alle cure, salvo che non siano benestanti e possano ricorrere alla sanità privata».

Tra le richieste avanzate all’assessore Carlo Doria, alla Giunta e al Consiglio regionale, un progetto sistemico di promozione per la salute mentale, con il potenziamento delle strutture territoriale di prevenzione, dei Csm e delle Unità di neuropsichiatria infantile e per l’adolescenza. Un aspetto, questo, che sta a cuore a migliaia di famiglie sarde, come confermano alcune testimonianze che abbiamo raccolto. Patrizia F. è la sorella di Stefano, ospite da diversi anni alla comunità “Casamatta” di Cagliari. «È in trattamento farmacologico continuativo da oltre 30 anni, con somministrazione di farmaci pesanti. I servizi del Centro di salute mentale che lo ha in carico sono dunque indispensabili, ma quando ci sono non riescono a soddisfare tutte le nostre esigenze. C’è pochissimo personale, soprattutto medico, e quel poco che c’è è sovraccarico di lavoro. Quando c’è l’estrema necessità dell’intervento di un medico, viene chiamato il medico di turno del Csm per i farmaci, ma al momento non c’è altro supporto, soprattutto sotto il profilo psicologico. Mio fratello è distrutto dalle terapie. Non so che cosa aspettarmi dal futuro prossimo, dopo la chiusura del centro di Cagliari che era affidato da anni all’Asarp, e ora è chiuso. Sono angosciata, non so come faremo».

Carlo Loi è un pensionato malato di sclerosi multipla. Mentre parla con noi, si ferma più volte perché gli scorrono le lacrime e un groppo alla gola non gli consente di proseguire: «Abbiamo adottato mio figlio Michael 32 anni fa, aveva appena quattro mesi. Ai 7 anni gli hanno diagnosticato la Adhd, un disturbo del neurosviluppo che mostra difficoltà nell’attenzione e nel mantenere la concentrazione, comportamenti impulsivi, irrequietezza fisica. Successivamente hanno riscontrato anche la schizofrenia. Lo hanno imbottito di litio e altri farmaci ed è stato seguito in alcuni reparti psichiatrici della nostra isola, purtroppo senza successo perché manca un progetto costruito sull’individuo, sui bisogni reali della singola persona. Michael ha tentato più volte di scappare per tornare a casa, e qualche volta ha danneggiato le strutture in cui si trovava. Infine è stato trasferito vicino ad Asti, in piena campagna. La comunità è molto bella, ha tanti laboratori, ma i risultati per lui anche lì sono risultati limitati. Il primo anno ho tenuto i rapporti con la psicologa, almeno per sapere come stava: non volevo fargli sentire la pressione familiare e men che meno spingerlo a cercare di nuovo la fuga per tornare da noi. Quando però ho visto che le cure non servivano a nulla e le crisi erano sempre frequenti, ho pensato di riportarlo a Cagliari perché al momento riesco ad andare a trovarlo soltanto una volta l’anno. Spero che si riesca a trovare un buon istituto in Sardegna dove gli venga impedito di scappare, e dove io possa andare a trovarlo qualche volta. Non si riesce a individuare una struttura adeguata che si possa occupare di lui in tutta la nostra regione, è incredibile. La gente mette sempre la testa nella sabbia su questo argomento, “occhio non vede, cuore non duole”. A meno che non ci entri dentro».

Cristiana S. racconta un’altra storia di malasanità, di quelle che si sentono con crescente frequenza: «Mia mamma aveva sbalzi umorali, da tanto tempo assumeva farmaci antidepressivi e ansiolitici ma, tutto sommato, viveva una vita abbastanza normale. Era seguita dal Centro di salute mentale di Quartu Sant’Elena, poi è passata a un neurologo privato che gli ha cambiato la terapia. Lì sono nati i veri problemi perché mia mamma, nell’arco di dieci giorni, ha perso la cognizione spazio-temporale: non riconosceva più nessuno, usciva da sola e non sapeva più ritrovare la strada per tornare a casa. Ogni giorno aumentavano gli atteggiamenti sempre più bizzarri, di cui ovviamente non si ricordava successivamente. Hanno cambiato in continuazione i farmaci, ma la situazione è rimasta invariata. Nel 2019 ha avuto un’ischemia, il suo carattere è cambiato tantissimo: è diventata persino violenta, aggressiva. Una geriatra l’ha visitata e ha chiesto il ricovero nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Is Mirrionis, a Cagliari. Dopo una ventina di giorni, hanno deciso di trasferirla e chiedere il ricovero in una Rsa convenzionata: 2.300 euro a carico della Regione e altrettanti pagati da noi. Ho avuto soltanto una volta la possibilità di rendermi conto del trattamento che le riservavano: era sedata e legata al letto con una cinghia di contenzione. Il motivo? Non c’era sufficiente personale. Avevo poi saputo che un Oss mostrava atteggiamenti violenti nei confronti dei pazienti. Ho denunciato il fatto ai carabinieri, poi sono riuscita a far trasferire mia mamma in un’altra struttura a pochi chilometri da casa nostra. Tutta un’altra storia. Purtroppo, quando è arrivata la pandemia, non è stato più possibile accedere nella Rsa. E mia madre, nel 2021, è morta senza che potessi salutarla un’ultima volta. Mi diceva: “Mi hanno rubato l’anima”. Ecco, questo non riesco a superarlo. Mi dicono che non riesco a elaborare il lutto. In verità, la sua morte è stata una liberazione soprattutto per mia mamma, oltre che per noi. Quel che fa più male è sapere che ci sono molte strutture in cui non c’è alcun rispetto per il paziente, spesso personale con scarse competenze e comunque in numero insufficiente, a volte indolente e maleducato, sovente sotto stress. I familiari si trovano impreparati ad affrontare queste situazioni. Il problema non sono gli Oss o gli infermieri, bensì chi gestisce le strutture. Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma servirebbero controlli più serrati e una maggiore selezione. E magari qualche denuncia in più, in certi casi».

Sulla situazione dell’ospedale Businco di Cagliari, si esprime Maria Grazia Caligaris di “Socialismo diritti riforme Odv”: «Dopo l’intervento dell’assessore regionale della Sanità, che ha rideterminato un ordine nella procedura volta a rinnovare gli impianti tecnologici garantendo l’assistenza, cresce lo sconcerto e la preoccupazione tra chi si affida alle cure radiologiche del Businco, e non solo. È inaccettabile che si possa giocare con la vita delle persone, donne e uomini che effettuano un percorso terapeutico salvavita. La leggerezza con cui è stato affrontato questo percorso riorganizzativo e di adeguamento, senza un cronoprogramma dettagliato e alternative concrete, il fatto che sia stato reso esplicito con una circolare, apre la strada a contrastanti valutazioni. La storia del Businco degli ultimi anni è caratterizzata da una progressiva perdita di autorevolezza dell’ospedale a causa di scelte che hanno favorito la fuga di molti specialisti e la sanità privata, in particolare il Mater Olbia. Occorre mettere le cose in chiaro, rendendo palesi quali sono le questioni irrisolte che soggiacciono a certe scelte e che cosa impedisce al più importante nosocomio di alta specializzazione, con reparti all’avanguardia per la ricerca e la cura dei tumori femminili e del sangue, di vedere rispettati i tempi di cura e valorizzate le competenze. La radioterapia funziona a singhiozzo da anni. L’intervento dell’assessore Doria, con la convocazione dei diversi attori e responsabili, ha di certo ridimensionato il problema radioterapia ma resta una questione irrisolta. I pazienti hanno bisogno di sapere che le cure e le prestazioni, da quando la patologia si manifesta e sino alla guarigione, saranno garantite in tempi certi, in ogni reparto. Oggi non è così».