Famiglia
Violenza nello sport, ecco come evitarla
Gli abusi nello sport, secondo un rapporto commissionato a Nielsen da Change the game e presentato oggi, interessano circa quattro minorenni su dieci. Il Centro sportivo italiano ha sviluppato una policy nazionale per prevenire ed evitare qualsiasi forma di maltrattamento a carico dei giovani atleti.
Gli abusi, nel mondo dello sport, sono la faccia oscura di un mondo straordinario, che dovrebbe essere un porto sicuro per bambini e ragazzi ma che a volte si trasforma in un inferno. A testimoniarlo il rapporto realizzato da Nielsen per Change the game, diffuso oggi; dei 1.446 sportivi intervistati in forma anonima, il 38,6% ha confessato di aver subito maltrattamenti e vessazioni quando era ancora minorenne. La forma di abuso più diffusa è quella psicologica (30,4%), ma sono diffuse anche le violenze fisiche (18,6%), la negligenza (14,5%), le violenze sessuali senza contatto fisico (10,3%) e quella con contatto fisico (9,6%). Nell’ambito dell’associazionismo c’è chi è corso ai ripari rispetto a quella che potremmo definire una vera e propria emergenza; il Centro sportivo italiano – Csi, infatti, ha sviluppato una «Policy per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza», che ha diramato a livello nazionale e a cui chiede di adeguarsi alle sue 12.708 società sportive, che dovranno adattare il documento alla propria disciplina. «Il Csi sta costruendo un processo di child guarantee», spiega Alessandra Pietrini, referente di questa attività, in modo da tutelare i bambini e i ragazzi all’interno dell’ambito sportivo, quindi in tutte le nostre associazioni e articolazioni territoriali».
La volontà è quella di proteggere i minori in senso ampio, difendendoli da ogni tipo di , violenza. Non solo di tipo sessuale, ma psicologico, fisico e di potere. La tutela è anche verso il bullismo e il cyberbullismo attuati dai coetanei, a cui l’adulto deve saper porre un freno. L’impegno di Csi si attua in diverse fasi; prima di tutto, attraverso la sensibilizzazione e la formazione di personale, volontari e associati, in modo che siano consapevoli delle problematiche legate a qualsiasi forma di abuso e violenza sui minori. «A volte non tutti sono a conoscenza di questa tematica», commenta la referente, «non perché non siano interessati, ma perché semplicemente fanno un altro lavoro e non hanno le informazioni giuste; anche rispetto alle dinamiche di potere, spesso si pensa di comportarsi come si è sempre fatto, ma non è detto che fosse il modo corretto: i ragazzi cambiano, le fragilità si evolvono e noi ci dobbiamo prestare attenzione». La policy di Csi prevede poi delle attività di prevenzione, in modo che i minori siano sempre inseriti in un ambiente sano, in cui i loro diritti vengano tutelati. «Il comportamento degli adulti deve essere il più possibile positivo», afferma Pietrini, «attraverso un atteggiamento di rinforzo e non di rimprovero, che valorizzi l’impegno di ogni ragazzo. Bisogna rispettare lo sviluppo psicofisico di bambini e adolescenti; non è detto che tutti arrivino al medesimo obiettivo nello stesso momento». Secondo le linee guida, volontari, operatori e personale dell’associazione devono poi avere ben chiaro quando il sospetto di un abuso va segnalato e quali siano le risposte adeguate nel momento in cui la violenza viene accertata. Elemento chiave del processo, è la conoscenza del codice di condotta da parte degli allenatori, che svolgono un ruolo fondamentale per il benessere dei piccoli sportivi. «Questa figura ha una grande influenza sui ragazzi», continua Pietrini, «Spesso diventa anche un punto di riferimento, un confidente». Soprattutto in adolescenza, i giovani atleti arrivano al campo senza genitori, vanno in trasferta, passano molto tempo con la squadra e rischiano di essere maggiormente esposti agli abusi. Ed è qui che diventa fondamentale il lavoro di tutela di chi li accompagna. «Bisogna poi cercare di adattare l’elemento della tutela alla pratica sportiva, perché ognuna ha le sue specificità», conclude la referente. «Non si può togliere del tutto la parte di autorità e, in qualche modo, di rigidità da parte dell’allenatore o del dirigente. Arrivare in orario, per esempio, è fondamentale ed è segno di rispetto per sé stessi e i propri compagni. Ci sono regole di base utili, che vanno seguite. Ovviamente, però, il coach che per farle rispettare ti urla e ti fischia nelle orecchie non si comporta in maniera corretta».
Foto in apertura da Pixabay
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