Welfare

La droga? La risposta di una generazione il cui disagio cresce a vista d’occhio

È a Cosenza, capitale italiana del volontariato 2023, che si farà il punto sullo stato degli interventi da mettere in campo sul fronte della lotta alle dipendenze. Un allarme lanciato da operatori e addetti ai lavori per riflettere sul fatto che sempre più giovanissimi si avvicinano al mondo delle droghe, ma il cui grido di aiuto non riesce a essere ascoltato anche per mancanza di soluzioni integrate tra pubblico e privato

di Gilda Sciortino

L’emergenza droga? Oggi sicuramente parte dall’età di chi la assume. Si parla, infatti, di ragazzi e ragazze anche di 12 o 13 anni che per 5 euro, tanto costa una dose di crack, farebbero e fanno di tutto. Una drammatica realtà che investe a tappeto tutto l’Italia, ma per fronteggiare la quale ancora si discute su quali siano le risposte in grado di impedire la crescita di un fenomeno che sta giornalmente ponendo fine alla vita di decine e decine di giovani vite.

Una riflessione che si proverà fare oggi a Cosenza, capitale italiana del volontariato 2023, in occasione della 36ma giornata mondiale di lotta alla droga, dal titolo “Includere per non escludere, percorsi comunitari e di comunità: il sistema dei Servizi alla sfida del futuro”, durante la quale pezzi del mondo del volontariato, del terzo settore, delle comunità di accoglienza, si confronteranno con le istituzioni locali e nazionali per cercare tutti insieme risposte sulle modalità di approccio e di intervento necessarie nella lotta alle dipendenze.

«Intanto c’è da dire che è sbagliato parlare di nuove droghe. Il crack per esempio è un derivato della cocaina, quindi c’è sempre stato. Il vero problema – afferma Biagio Sciortino, presidente nazionale di Intercear, che organizza la giornata insieme a Fict, Federazione italiana comunità terapeutiche, e Cnca, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza – è l’adeguamento dei servizi alle nuove frontiere e alle nuove richieste di aiuto rispetto alle nuove tipologie di consumo. Abbiamo chiesto ai diversi governi, anche a quello attuale, una linea guida nazionale chiara, con una presenza su tutto il territorio nazionale di servizi minimi strutturati. I servizi li vogliamo garantiti in tutta Italia, omogeneizzando gli interventi in tutte le regioni perché, se sei nato a Palermo o a Reggio Calabria, dove al momento non ci sono strutture a doppia diagnosi, dove non ci sono servizi per mamme con bambini, oggi nessuno ti può aiutare in quanto non ci sono i budget neanche per consentirti di andare a curarti fuori. Vogliamo che il diritto alla cura sia garantito come del resto stabilito per legge dalla Costituzione».

Ma se volessimo fornire dei dati rispetto ai consumi?

«Non possiamo più partire dai dati per analizzare la situazione perché sono in costante accelerazione. Rendiamoci conto che si tratta di un fenomeno che ha subito e continua a subire un ‘ impennata elevatissima, con l’aggravante che la maggior parte rimane nel sommerso. La sfida del futuro per me è tirare fuori questo enorme sommerso anticipando ogni azione tempestivamente, prendendo in carico in maniera precoce con interventi di cura chi ha bisogno. Questo si fa con la prevenzione, per esempio. Poi c’è un intero sistema in crisi che è quello del servizio pubblico per mancava di personale. il riciclo non sta più funzionando semplicemente e drammaticamente perché il mondo delle dipendenze non è più attrattivo».

Adeguare le strutture può essere sufficiente?

«Le strutture, i centri di servizi pubblico/privato sono le uniche risposte che possiamo dare; sono quelle che dovrebbero essere strutturate, adeguate, ripotenziate, supportate dalle norme. Questo è il concetto che dobbiamo tenere presente; non ci sono altre alternative che possano scoprire l’acqua calda. Dobbiamo, per esempio, trovare il modo di creare centri di crisi, attualmente inesistenti, per il craving, l’aspetto più devastante connesso al consumo di crack che in questo momento è una dipendenza alla quale oggi non possiamo fare fronte con nessun approccio farmacologico».

A monte di tutto questo c’è il crescente disagio dei giovani. Come intercettarlo per evitare che degeneri e cerchi risposta nelle sostanze?

«Dobbiamo intercettarlo prima di arrivare alle strutture, certo, e per questo dobbiamo intervenire nelle scuole come anche in famiglia, offrendo, come dicevo prima, una risposta integrata tra pubblico e privato. Rispetto alla scuola dobbiamo partire dalle elementari. Abbiamo, per esempio, chiesto diverse volte la ricostruzione del fondo della 309/90, cercando formule sperimentali innovative che potessero offrire risposte in tal senso. La cosa positiva è che questo governo ha rimesso in moto una macchina che si era paralizzata, per esempio costituendo tre tavoli tecnici, uno dei quali al Ministero della Salute, dove stiamo lavorando insieme alle società scientifiche e ad altri organismi a livello nazionale. Quella di oggi vuole essere una giornata che possa segnare nuovi passi da fare nella direzione che da sempre indichiamo per trovare soluzioni concrete ai problemi che ogni giorno ci troviamo a fronteggiare. Ritengo che i presupposti ci siano tutti per fare un buon lavoro».


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