Economia
Silicon Valley Bank, una crisi made in Usa
Dialogo con l'economista Leonardo Becchetti dopo il default della banca americana: «In Italia e in Europa un caso del genere non potrebbe accadere: da noi ci sono regole più severe». La differenza con le crisi delle banche di credito cooperativo? «Che in quel caso i costi dei salvataggi sono stati sempre assorbiti del sistema delle Bcc, senza pesare sui contribuenti»
di Redazione
Cosa ci insegna il crac californiano della Silicon Valley Bank? Abbiamo girato la domanda al professor Leonardo Becchetti, econonista, professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Roma Tor Vergata. Ma anche uno degli animatori del Festival nazionale dell'economia civile e promotore della rete Next-Nuova economia per tutti.
Professor Becchetti, partiamo dall'analisi: perché è fallita la Silicon Valley Bank ?
Perché non aveva valutato correttamente alcuni gravi fattori di rischio né il regolatore americano si era accorto del suo comportamento intervenendo tempestivamente. In sostanza investiva quasi tutto in un unico settore ed area geografica (già questo è un fattore di esposizione a rischi sistemici elevati) e aveva attivi investiti in titoli di stato americani a lungo termine. Con l’aumento dei tassi d’interesse della Fed è successo che tutti e due i fattori di rischio gli si sono rivolti contro. Le aziende high-tech della Silicon Valley che hanno bisogno di finanza per gli investimenti hanno usato meno credito bancario più costoso ritirando i propri depositi presso la banca. La Svb per far fronte alle uscite ha dovuto vendere i titoli di stato americani che nel frattempo avevano perso valore per l’aumento dei tassi registrando quindi perdite importanti in conto capitale (quasi 2 miliardi). L’aumento di capitale fatto per fronteggiare la perdita è stato visto come ulteriore segno di debolezza facendo partire la corsa agli sportelli
Il presidente Usa JoeBiden dice che i depositi degli americani sono al sicuro. Ha ragione?
Sono già protetti fino a 250mila dollari. Biden dopo l’accaduto ha esteso la protezione anche per le somme eccedenti quella soglia. Questo può ridurre il contagio anche se un intervento ex post non è certo servito ad evitare lo scoppio della crisi.
Un caso del genere sarebbe potuto accadere anche in Europa e in Italia?
No. In Europa la Bce impone regole molto più severe (Basilea 3) sui coefficienti di liquidità (i soldi propri che le banche devono avere per coprire le perdite) e sui rapporti tra attivo e passivo. E in genere le banche sono più diversificate per impieghi nei diversi settori economici ed attività in diverse aree del paese. E sanno cogliere e coprirsi da situazioni di rischio come quella degli effetti del calo dei tassi sul patrimonio di obbligazioni e del disallineamento tra scadenze delle passività (i depositi immediatamente esigibili dai clienti) ed attività (con scadenze molto più lunghe)
La mancata ratifica del Mes da parte del nostro Governo è un fattore di rischio per il nostro Paese?
Quando c’è una crisi finanziaria in caso di contagio si verifica una “fuga verso la qualità” con investitori che cedono titoli più rischiosi per acquistare titoli più sicuri…I nostri titoli di Stato possono patire la “fuga verso la qualità” e lo spread può allargarsi. Ma questa crisi è molto circoscritta e non dovrebbe arrivare in Europa a meno di nuovi fatti gravi. Abbiamo inoltre un ombrello di protezione della Bce (che farebbe esattamente il contrario della "fuga verso la qualità" per ridurre lo spread con la sua forza d’urto) che non è stato ancora testato ma credo funzionerebbe. La ratifica del Mes in tutto questo incide poco e anzi potrebbe essere vista come un fattore di debolezza dei mercati.
I giornali di area-centrodestra fanno titoli del tipo: "La banca green fa crollare le borse", riferendosi al fatto che la Svb investiva in start up impegnate sul fronte green e della sostenibilità. Ha un fondamento questa tesi?
Non c’entra un fico secco. Il problema come spiegato sopra riguarda i rischi di concentrazione in un unico settore (l’alta tecnologia) e unica area del Paese, la mancata copertura da rischi finanziari e il disallineamento tra attività e passività. La banca poteva essere e chiamarsi banca del Petrolio del Texas (o banca agricola del Tennessee), ovvero essere troppo concentrata settorialmente e geograficamente, e con queste caratteristiche e gli altri rischi di natura finanziaria di cui abbiamo parlato sarebbe fallita ugualmente.
Le banche di credito cooperativo e le banche etiche, che in Italia hanno un radicamento importante, sono più sicure rispetto alle banche tradizionali rispetto a fallimenti di questa natura?
Tutte le banche di ogni genere e tipo fanno un lavoro rischioso e difficile e dunque sarebbe errato dire che esistono banche al sicuro da qualunque rischio. Però la storia del mondo del credito cooperativo ci dice che le crisi di banche locali ci sono state ma sono state tutte risolte attraverso acquisizioni da parte di altre Bcc senza un euro speso dai contribuenti. Mentre abbiamo pagato e molto le crisi bancarie di banche non cooperative. Le banche etiche nel mondo (penso agli studi sugli istituti membri della Global Alliance for Banking and Values) sono più concentrate sulle attività tradizionali di depositi e prestiti e hanno in genere Roe e Roi meno volatili. Non hanno l’obiettivo di stressare valore per l’azionista e questo le spinge a maggiore prudenza. La probabilità di crisi finanziarie però non dipende solo dalla natura delle banche ma anche dai comportamenti del regolatore. Il mondo europeo molto più regolamentato ha un motore meno scattante ma è più sicuro…gli Stati Uniti hanno scelto di deregolamentare il settore e dunque sono più esposti a crisi come quelle della Silicon Valley Bank.
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