Welfare

Sussidiarietà ecco la leva del welfare .

Allo sviluppo delle attività di volontariato e del non profit va destinata una parte delle risorse che verranno risparmiate dal settore pubblico.

di Antonio Fazio

La forza del principio di sussidiarietà nella riforma del welfare: ne ha parlato il governatore della Banca d’Italia al convegno nazionale delle Acli sull’opera del cardinale Pietro Pavan . Pubblichiamo integralmente la parte del discorso dedicata a questo tema. La sussidiarietà. È un concetto che si trova già nella scolastica medievale e che attiene al rapporto tra sfera pubblica e attività privata. I poteri pubblici, lo Stato non devono esercitare attività che possono essere di fatto meglio svolte dai privati, cioè l’attività di impresa e di produzione in una moderna e ben funzionante economia. Lo Stato e i poteri pubblici devono darsi carico di offrire al sistema economico i cosiddetti beni pubblici, quelli cioè che il mercato non è in grado di produrre sulla base delle sue proprie forze e delle sue leggi. Il carattere pubblico di un bene attiene alla sua natura e alla sua destinazione. Non implica che sia necessariamente lo Stato a fornirlo. La quantità di beni pubblici tende a crescere con la complessità dell’economia; tuttavia troppo spesso si vorrebbero pubblici beni che meglio possono essere prodotti dall’iniziativa privata. Secondo la Mater et Magistra, lo Stato e altri Enti di diritto pubblico non devono estendere la loro proprietà se non quando lo esigono motivi di evidente e vera necessità. Un particolare settore è quello della previdenza e, più in generale, dello Stato sociale. La previdenza pubblica risponde al principio di solidarietà fra generazioni; più fondamentalmente, a un criterio di giustizia distributiva tra le generazioni in attività e quelle in quiescenza. Coloro che ora lavorano e producono lo fanno anche sulla base di un capitale di conoscenze e di beni materiali accumulati da coloro che hanno lavorato in passato (…) Ogni generazione eredita in questo campo ciò che è stato predisposto, creato da una generazione che, appunto, lo trasmette alla successiva. È giusto che coloro che hanno lavorato in passato continuino a godere di una parte dei frutti delle conoscenze da loro accumulate. Ma la previdenza pubblica non può estendersi per vincoli di bilancio oltre certi limiti; al di là di questi limiti può e deve subentrare l’iniziativa privata. Qui ben può trovare applicazione la categoria della sussidiarietà. Accanto a una previdenza pubblica, che garantisce a tutti i lavoratori in quiescenza un certo ammontare di reddito per condizioni di vita dignitose e correlato con la quantità di reddito prodotto e accantonato, può esistere una previdenza integrativa complementare, che ogni individuo può costituire per sé e per la propria famiglia attraverso il ricorso a forme assicurative (…). Accanto alle antiche e sempre presenti esigenze di una società complessa, in continuo movimento, si presentano ora nuove povertà: sovvenire ad esse è funzione pubblica. Ma perché non coinvolgere in questa attività, in modo più sistematico e razionale di quanto oggi non avvenga, il cosiddetto Terzo settore, il comparto non profit, il volontariato? A ben vedere è stato così nella storia. In genere, è stata soprattutto la Chiesa che, nei secoli, ha fondato gli ospedali, gli ospizi per i poveri, le mense per i bisognosi e continua a farlo. È un’antica aspirazione che accomuna ideali diversi, dal riformismo operaio al solidarismo cattolico, quella di introdurre nel lavoro e nella produzione forme di autogoverno. A esigenze di utilità sociale e collettiva spesso lo Stato non è in grado di far fronte, per le difficoltà che incontra nel riconoscerle tempestivamente e affrontarle in maniera e misura appropriate. Il Terzo settore, il volontariato, coloro che operano nel sociale conoscono meglio i nuovi bisogni e a essi sono in grado di rispondere con tempestività e con il minimo indispensabile di mezzi: usando un termine economico, in maniera efficiente. In Italia lo sviluppo del Terzo settore è rilevante, ma, se si confronta la situazione con quella dei Paesi più avanzati, si riscontra che esso è in questi Paesi ancora più sviluppato e, in alcuni casi, meglio organizzato. Lo Stato non può intervenire per far fronte a tutti i nuovi bisogni e a tutte le nuove forme di povertà; deve rispettare le compatibilità di bilancio. Abbiamo avuto modo di ricordare che la costruzione del sistema di previdenza pubblica è una conquista di civiltà. Le modifiche che in esso oggi si impongono e che vanno realizzate in un’ottica di medio termine sono necessarie per preservarne la sostanza, assicurarne la durevolezza, per consentire alle future generazioni di beneficiare di questa acquisizione storica. Nel riesame dello Stato sociale e, in particolare, della previdenza pubblica, un ruolo non secondario può spettare alla sollecitazione e alla incentivazione di attività non profit. Una minima parte delle risorse risparmiate dallo Stato può essere destinata a fornire le necessarie strutture di base perché il terzo settore e il volontariato possano svolgere in maniera sistematica ed efficiente la propria opera. Essa deve rimanere un’opera volontaria. Lo Stato, i poteri pubblici non devono intervenire sui contenuti, sull’azione del volontariato; devono, invece, assicurare solo alcune condizioni normative e fiscali, nonché fornire le infrastrutture di base, perché il compito di questi nuovi soggetti possa svilupparsi ordinatamente, e apprestare alcune garanzie per coloro che tale attività svolgono. Sono, questi, stimoli alla riflessione nella linea di un pensiero sociale forte, attualissimo.


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