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La terapia giusta? Agire sui desideri

«Ogni comportamento, quindi anche la lotta al proprio corpo, si muove dentro uno spazio mentale e ideale. Occorre intervenire qui per proporre messaggi positivi»

di Vittorino Andreoli

La paura più frequente nella prima adolescenza è quella di non piacere e, come conseguenza, di non piacersi. L’attenzione è dunque, prima di tutto, sul corpo, sulla propria effigie. Se il proprio corpo e la propria mente non piacciono, bisogna manipolarli, cambiarli. Ed ecco che, relativamente al corpo, viene subito in aiuto il modello propugnato da questa società, quello vincente: un corpo magro, nervoso, atletico. E la dieta è la prima condizione: la dieta è un sistema di lotta per il proprio corpo, visto, come uno strumento di metamorfosi, un oggetto magico. Non è un gioco, ma una vera e propria guerra. Se poi una ragazza arriverà ad ammirare nel suo corpo quello di una top model, lo sforzo sarà ancora più giustificato poiché dalla percezione di non piacersi si passa, tutto d’un tratto, a una condizione esaltata e ammirata dall’intera società. È certo comunque che spingere alla magrezza non significa ancora generare anoressia.
I modelli culturali. L’anoressia non è infatti un fenomeno culturale. Anche se non si può negare che un certo ambiente possa stimolare alcuni soggetti e quindi far precipitare un processo di tipo anoressico, deve essere in ogni modo chiaro che l’anoressia è una patologia psichiatrica e fa riferimento, pertanto, a un processo dinamico malato, senza escludere una disposizione a fondamento genetico. Mentre tipica della magrezza è la ricerca determinata, e perfino ossessiva, della riduzione del peso corporeo, con dei limiti, tuttavia, che non si intendono superare, tipica dell’anoressia è la perdita di ogni limite che giunge quasi all’annullamento del proprio corpo.
Che fare. Il corpo ha acquistato, nel tempo presente, una valenza eccessiva e a ciò ha contribuito la caduta delle ideologie e del pensiero strutturato. Un mondo che si fonda sull’immagine, sia a causa della rilevanza che l’essere assume per gli altri, sia per il fatto che sulla parola si è imposta la figura: l’immagine distribuita continuamente da cinematografi, da televisioni, da computer e da videogiochi. Un evento che ha un fortissimo significato nel cambiamento, a partire proprio dai parametri biologici. Ma il cambiamento forse più radicale è legato al gioco dei desideri. Un desiderio espropriato nel mondo giovanile, riempito di spot, di oggetti, di immagini. Così, anche il proprio corpo si fa oggetto del desiderio e lo si immagina magro fino all’idea di esserne privati: un corpo filiforme che non percepisce più nulla e quindi nemmeno il limite della propria inadeguatezza. Se scompare il corpo, scompare anche il senso di frustrazione che da esso deriva. Si tratta di un processo che trova spazio nel desiderio. Il desiderio dovrebbe essere la capacità che ciascuno ha di immaginarsi diverso nel tempo; il disegnare il proprio io ideale per poi progettare come raggiungerlo a partire dall’io attuale. Dovrebbe presupporre quindi un progetto che nel mondo delle immagini è stato completamente cancellato. È ormai stabilito che ogni comportamento, prima di essere attuato, si muove entro uno spazio mentale. E così, prima ci si vede magri e poi si soffre per non esserlo, si combatte per poter ottenere il miracolo della metamorfosi. È importante considerare il mondo della fantasia dei giovani poiché è qui che si trova la radice per impedire eventualmente comportamenti inaccettabili sul piano dell’io e della società in cui il singolo vive. Ecco perché è sempre più importante conoscere questo spazio, la frammentazione delle immagini mentali, la serie degli spot che ciascuno ha dentro la propria testa, per poterlo aiutare a sostituirli con un desiderio adattato al singolo e legato a una progettualità. In questo senso, l’analisi del desiderio, la verifica dell’agire entro lo spazio mentale diventa la terapia. Non si devono tanto cercare segnali esteriori, bensì entrare in questo spazio mentale giovanile e lavorare sui desideri e sui progetti. Tutto, naturalmente, parte dall’ascolto e da una “indagine” che dovrebbe accompagnarsi al gusto di poter essere parte del futuro che ha qui la propria traccia. Del resto, come si è detto, nella società domina un’ingegneria del desiderio guidata dall’interesse, dal bisogno d’imporre prodotti mostrati come simboli o presupposti del successo: un messaggio falso che incide sul comportamento giovanile, sul disagio e sulle espressioni che dal disagio giungono alla violenza e all’emarginazione.
Vittorino Andreoli, psichiatra

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