Famiglia
Parità di genere, per molte aziende è ancora teoria
Lo studio “Future of work” di Inaz e Fiera Milano evidenzia che l’84% delle imprese riconosce il valore etico dell’inclusione, ma meno della metà attua piani concreti. Si lavora sullo sviluppo delle donne manager, ma non si affronta a dovere il tema della disparità retributiva. «Ma la diversità delle persone è un valore prezioso» afferma la presidente Linda Gilli
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Tante buone intenzioni, molte buone pratiche, ma poca capacità di essere sistema. In tema di inclusione ed equità nel mondo del lavoro più di 8 imprese su dieci riconoscono l’alto valore di curare e valorizzare ogni persona presente in azienda, ma non riescono a concretizzare questo auspicio – certamente sincero – in azioni incisive, anche a breve termine. È quanto afferma Future of Work, la ricerca curata da Inaz e Fiera Milano. Nella sua quinta edizione, curata da Fabrizio Lepri, docente presso l’Università degli studi di Roma tre si è concentrata su questi temi con un sondaggio fra circa 100 direttori delle risorse umane di aziende italiane.
«Abbiamo scelto un tema stimolante, complesso, che mette a confronto le generazioni e rientra nell’ambito più ampio della sostenibilità», commenta Linda Gilli, cavaliere del lavoro, presidente e amministratore delegato di Inaz, «Tema che, soprattutto, comporta un forte commitment da parte dei vertici aziendali. La diversità, infatti, spaventa. Nel tempo si sono accumulati molti strati di pregiudizio. E sul pregiudizio sono stati costruiti muri di diffidenza. Senza ricorrere a giri di parole, vanno abbattuti. Perché la diversità delle persone è un valore prezioso, che arricchisce le imprese e chi nelle imprese lavora».
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Sembra dunque esserci ancora molto da fare per portare l’Italia su posizioni competitive per quanto riguarda l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. La ricerca conferma quanto da anni viene indicato dalle classifiche internazionali investigando per prima cosa le ragioni che spingono i vertici aziendali italiani a occuparsi di “diversity and inclusion”: spicca la grande importanza che al tema viene attribuita sul piano etico (84% delle risposte), ma sono poco compresi i suoi risvolti in termini pratici, cioè di business (50% delle risposte) e fiducia della comunità finanziaria (42%).
D’altra parte, una percentuale interessante di risposte viene però raccolta dalla voce “Engagement, attraction e retention” (64%): questo significa che sta crescendo nelle aziende l’attenzione alle generazioni più giovani, che sono più sensibili a queste tematiche. Per quanto riguarda poi le differenti aree, emerge che la maggiore attenzione viene posta su disabilità (78% delle risposte) e genere (76%), seguite dalle differenze generazionali (62%) e poi, a maggiore distanza, da orientamento sessuale, origine geografica e religione.
Si arriva poi alla domanda sul livello di strutturazione dei piani e delle azioni messe in atto. Meno della metà delle aziende intervistate (46%) risponde di avere una pianificazione già presente; di quelle che hanno risposto di no, il 63% prevede però di elaborarne una nel prossimo futuro.
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Fra le azioni messe in campo dalle aziende spiccano quelle dedicate a contrastare la disparità di genere (76% delle preferenze), disparità che si manifesta principalmente nello sbilanciamento di responsabilità e retribuzioni fra uomini e donne. In questo ambito salta all’occhio però che solo il 44% delle aziende intervistate monitora in modo sistematico la disparità nelle retribuzioni e solo il 38% fa effettivamente qualcosa per ridurlo; per contro, le aziende dichiarano di concentrarsi di più nell’incrementare il numero di donne in ruoli manageriali (il 60% ha azioni in corso in questo senso).
«Complessivamente i dati che emergono dalla survey sembrano indicare un importante ritardo nei risultati sulla parità di genere nelle aziende, in linea con i dati pubblicati in un report del 2022 dal World economic forum, in cui l’Italia figura al 63° posto nella graduatoria basata sul ranking conseguito nel parametro di valutazione denominato Global gender gap index. Al tempo stesso, però è abbastanza o molto diffusa la consapevolezza sulla necessità di mettere in campo azioni specifiche finalizzate ad attenuare gradualmente il gap riscontrato», riassume Fabrizio Lepri.
La ricerca di Inaz e Business International – Fiera Milano prosegue approfondendo anche tematiche come l’inclusione delle persone con disabilità, il valore dei processi HR come leve per la D&I, l’utilità degli HR Data Analytics e l’utilizzo del welfare aziendale come strumento di inclusione e miglioramento del work-life balance.
La conclusione, per il professor Lepri, è abbastanza netta: «L’indagine restituisce nell’insieme un’immagine di vivacità delle aziende italiane sui temi diversity & inclusion ma, al tempo stesso, mostra che siamo ancora lontani da una condizione generalizzata di maturità sul piano dell’ampiezza e della profondità delle azioni messe in atto. Se volgiamo lo sguardo anche fuori dal mondo del lavoro, si può intuire che in uno scenario sociale, politico e geostrategico come quello attuale, in cui i temi della diversità e dell’inclusione sono interpretati in modo altalenante, controverso e talvolta regressivo, la spinta di cui le imprese hanno ancora bisogno, per una più completa assunzione di responsabilità e chiarezza di prospettive, sembra poter venire nei prossimi anni dalla graduale crescita di protagonismo delle nuove generazioni».
In apertura: l'immagine della ricerca Inaz
Foto interna di Christina @ wocintechchat.com su Unsplash