Comitato editoriale

Conoscere la malattia e i traguardi della ricerca

Gli esperti della patologia si incontrano per formare gli operatori dei territori e i professionisti sanitari alle nuove sfide della ricerca. L'iniziativa è voluta e organizzata dai centri clinici Nemo

di Redazione

Gli approcci innovativi negli studi clinici sulla Sla; l’attenzione a nuovi biomarcatori per la malattia e l’identificazione precoce dei sintomi sono stati tra i temi affrontati nel workshop Criticalities in Als. From disease characterization to clinical trial design, l’appuntamento formativo, dedicato a ricercatori e professionisti sanitari e promosso dai Centri Clinici NeMO, che si è svolto presso il Policlinico Gemelli, la sede romana del network nazionale esperto nella cura delle malattie neurodegenerative e neuromuscolari. Solo nell’ultimo anno, la rete NeMO ha attivato 36 studi clinici sulla Sla e preso in carico oltre 2.500 persone con la patologia. Le questioni affrontate dalla seconda tappa del percorso formativo, che ha visto riuniti cinque clinici esperti del network NeMO, colgono le sfide a cui sono chiamate la comunità scientifica e dei pazienti oggi.

Valeria Sansone, direttore clinico-scientifico del Centro NeMO di Milano e professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, ha aperto i lavori, affrontando il tema del valore dell’alleanza, opportunità per traslare l’esperienza costruita su altre patologie neuromuscolari, per meglio approcciare la complessità della Sla, in un momento storico in cui inizia ad esservi un numero crescente di studi clinici farmacologici sulla malattia, fondati su nuovi razionali scientifici.

L’identificazione precoce dei sintomi è stata approfondita da Federica Cerri, medico neurologo e referente area Sla del Centro NeMO di Milano. Intervenire tempestivamente è importante non solo nella fase della diagnosi di malattia. Le evidenze scientifiche, infatti, mostrano come una presa in carico mirata e anticipata sia fondamentale nel prevenirne il peggioramento clinico, con un impatto concreto nel migliorare qualità di vita e sopravvivenza. Evidenze che aprono a nuovi scenari di ricerca nel comprendere la Sla come un “processo biologico”, che inizia con una fase presintomatica – definita Mild Motor Impairment – e che è necessario sempre di più imparare a identificare e interpretare precocemente per essere efficaci anche nei trattamenti di cura. E proprio il percorso di presa in carico mirata deve considerare ogni aspetto funzionale – respiro, nutrizione, movimento e comunicazione – anche come indicatore utile di monitoraggio della malattia, per contribuire dal punto di vista scientifico a comporre i tasselli del puzzle della Sla. Tra questi, il ruolo dei disturbi cognitivo-comportamentali nell’evoluzione della patologia, affrontati da Emanuele Costantini, medico neurologo del Centro NeMO Ancona. Spesso considerate tardivamente dal punto di vista clinico, le correlazioni della funzione cognitiva con il decorso della Sla sono supportate da un’ampia letteratura scientifica. La sfida sarà comprendere come rendere sempre più misurabile l’impatto di questi sintomi sulla diagnosi e su nuovi trattamenti di cura.

E inevitabilmente il riferimento va al farmaco Tofersen per chi ha la mutazione del gene SOD1, approvato da qualche settimana dell’Agenzia regolatoria americana (FDA) e alle ragioni scientifiche che pongono in primo piano il dosaggio dei neurofilamenti quale possibile biomarcatore surrogato di malattia. Tema affrontato da Mario Sabatelli, direttore clinico del NeMO Roma, area adulti, e presidente della commissione medico-scientifica di Aisla Onlus. Ad oggi la scienza e la pratica clinica evidenziano come nelle persone con Sla vi sia un aumento dei neurofilamenti, proteine che costituiscono una sorta di scheletro delle fibre nervose. A seguito della degenerazione dei motoneuroni i neurofilamenti vengono rilasciati nel siero e nel liquido cerebrospinale della persona ammalata. Il dosaggio dei neurofilamenti nel siero può fornire un contributo importante nella diagnosi precoce e, come nel caso del Tofersen, un supporto di grande utilità per valutare la risposta ai farmaci.

In questo contesto, il primo messaggio che emerge è la priorità di porre al centro della relazione di cura la persona e il suo diritto all’autodeterminazione. Una overview presentata da Stefania Bastianello, direttore tecnico di Aisla onlus, sugli approcci scientifici e sulla normativa europea e nazionale, a partire dalla L.219/2017 in merito alla Pianificazione Condivisa delle Cure.

Nuove strategie di presa in carico, che cambiano il paradigma della qualità di vita, è stato il tema affrontato da Riccardo Zuccarino, direttore clinico del Centro NeMO Trento. La Sla costringe, infatti, la persona a ricostruire nuovi contenuti di vita alla luce dell’esperienza di malattia; la risposta clinica allora deve necessariamente partire dalla relazione e dare risposte che ripensino ogni volta ad interventi riabilitativi, adattati alle esigenze specifiche di ciascuno. È guardare al dettaglio del quotidiano con un pensiero creativo, per trovare soluzioni orientate alla ricerca del benessere di ciascuno, come il gesto semplice di riadattare la forchetta per essere portata alla bocca in autonomia.

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