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Migranti, dalla Cambogia alla Thailandia: la rotta che non vediamo ma ci riguarda

La Cambogia è uno dei Paesi più poveri dell’Asia. Un milione di abitanti è migrato in Thailandia. «Lavorano nel settore estrattivo o alimentare, soprattutto della pesca», dice Mealea Tep del Legal Support For Women and Children, organizzazione non governativa cambogiana che lavora insieme all’organizzazione italiana WeWorld. L’80% delle persone che parte si affida ai trafficanti di esseri umani «e quindi», spiega Tep, «sono soggette a sfruttamento lavorativo e abusi»

di Anna Spena

C’è un filo che lega le rotte migratorie che non vediamo, i diritti negati, il lavoro e il cibo che arriva sulle nostre tavole. È il caso della Cambogia, uno dei Paesi più poveri, più disuguali e più problematici in termini di protezione dei diritti umani in Asia. Oggi nel Paese vivono quasi 17 milioni di persone, e almeno un milione è migrato verso la Thailandia.

​«Lavorano nel settore estrattivo o alimentare, soprattutto della pesca», dice Mealea Tep del Legal Support For Women and Children, organizzazione non governativa cambogiana, partner nel Paese dell’italiana WeWorld. L’80% delle persone che parte si affida ai trafficanti di esseri umani (i cosiddetti “broker”). I cambogiani scelgono di trasferirsi per cercare lavoro. Ma i trafficanti li vendono come lavoratori a basso costo, senza nessun diritto o, nel caso delle molte donne e ragazzine, come prostitute. L’immigrazione regolare è infatti molto più costosa, i tempi sono lunghi e la burocrazia complicata: per persone che vivono in comunità rurali, che non hanno mezzi né altre possibilità, quella di affidarsi ai trafficanti è l’unica scelta possibile per provare a sfamare sé stessi e le proprie famiglie.



«Chi migra senza documenti», spiega Tep, «è davvero soggetto a sfruttamento lavorativo e nuove schiavitù, abusi, traffico di esseri umani. Dopo il covid tanti lavoratori hanno provato a tornare nel Paese d’origine, ma a molti è stato vietato. In tanti non hanno avuto accesso a farmaci o cibo. Provate solo ad immaginare la situazione delle donne in stato di gravidanza. O al fatto che i pescatori, per esempio, sono costretti a lavorare anche 20, 22 ore al giorno». La cambogiana Legal Support For Women and Children e l’italiana WeWorld lavorano insieme proprio su questi fronti: «il nostro obiettivo», aggiunge Mealea Tep, «è quello di garantire e far conoscere a chi i migra quali sono i suoi diritti».

Sono molti i fattori che contribuiscono allo sfruttamento dei lavoratori migranti: l'esecuzione inefficiente degli attuali piani d'azione governativi – di Cambogia e Thailandia, l'uso inadeguato della normativa a difesa delle vittime, le procedure giuridiche non efficaci e il malfunzionamento delle Agenzie di Assunzione private alle quali, secondo la legge cambogiana, i migranti sarebbe obbligati a fare riferimento a datori di lavoro thailandesi che tendono a trarre vantaggio dalla posizione estremamente debole dei migranti.

«Noi», spiega Andrea Cefis, responsabile Paese per WeWorld, «proviamo a migliorare la capacità delle organizzazioni della società civile a a partecipare a partenariati multi-attivi con le autorità locali per promuovere e perseguire un programma comune a livello locale e nazionale che sia in grado di fornire il sostegno necessario ai migranti, con l'obiettivo principale di prevenire la tratta di esseri umani, la detenzione arbitraria e di facilitare l'accesso alla giustizia». WeWorld è presente nel Paese dal 2009. Negli anni, ha ampliato le zone di intervento e nel 2023 lavora in 7 provincie e 15 dipartimenti. L’ufficio di coordinamento si trova a Phnom Penh e ve ne sono altri due, uno nella provincia di Mondulkiri ed uno nella Provincia di Siem Reap. Inoltre, tramite partner, è presente anche nelle provincie di Svay Rieng, Prey Veng, Purset e Kampong Chhnang. L’ong raggiunge, tra beneficiari diretti e indiretti, circa 500mila persone.

«La Cambogia è tra i Paesi meno responsabili del cambiamento climatico eppure, allo stesso tempo, uno dei più colpiti. Sebbene i livelli di povertà siano diminuiti notevolmente negli ultimi 10 anni e la crescita economica sia di circa il 7% annuo, il 71% dei cambogiani vive ancora con meno di 3 dollari al giorno. La maggior parte della popolazione attiva è impiegata nell'economia informale o in forme di lavoro vulnerabili. Ci sarebbe da fare un lavoro di sensibilizzazione enorme sulla Due Diligence. Spiegare che quello che arriva sulle nostre tavole, nei nostri armadi soprattutto – perché nel Paese il settore principale è quello dell’abbigliamento – ha un costo enorme in termini di diritti umani. Come organizzazione lavoriamo moltissimo nelle comunità rurali, dove il tasso di immigrazione è alto, per educare e sensibilizzare i migranti su chi sono i broker, chi contattare in caso di necessità, come si può intraprendere una migrazione legale che non li metta a rischio di sfruttamento».

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