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Ventimiglia, il buco nero di chi migra via terra

Ventimiglia è uno dei confini attraversati da chi arriva dalla Rotta Balcanica o dalla Rotta del Mediterraneo Orientale, dove la scorsa settimana si è verificato il secondo naufragio più grave nelle acque italiane dopo quello di Lampedusa del 2013: la strage di Crotone. Qui i valichi di frontiera sono stati militarizzati da parte del governo francese per fermare i flussi migratori: lo scorso anno sono state respinte 30mila persone

di Alessia Manzi

«Suono e ballo drill, un genere simile alla trap. Se resto in Sardegna, so che non avrò un futuro». Samir, 24 anni, è arrivato dalla Somalia che non era nemmeno maggiorenne. «Voglio andare dai miei cugini in Francia, ma dormendo sotto a un ponte ho perso i documenti. E ora come farò?», si chiede sconsolato. È una mattinata uggiosa e sul piazzale della Caritas Intemelia di Ventimiglia, sul confine franco- italiano, come Samir, decine di persone attendono di ricevere una coperta per trascorrere meglio la notte che verrà.

«Alla Caritas si riunisce una rete di solidarietà formata anche da WeWorld, Medici del Mondo e noi», spiega Simone Alterisio, responsabile progetto frontiere per i servizi di inclusione della Diaconia Valdese. «A Ventimiglia siamo arrivati nel 2017 con le attività di assistenza, a cui oggi uniamo uno sportello legale», dice Alterisio entrando in una stanza adibita ad ufficio.

«Ventimiglia ha sempre avuto un orientamento socio- politico conservatore, ma quando è esplosa la crisi migratoria ha dimostrato un’accoglienza trasversale», ricorda Jacopo Colomba, project manager di WeWorld, associazione per la cooperazione e lo sviluppo. Era l’estate del 2015 quando in questa cittadina affacciata sul mar Ligure, a due passi dalla Costa Azzurra, centinaia di migranti respinti dalla Francia iniziarono ad accalcarsi sulla spiaggia dei Balzi Rossi e alla stazione ferroviaria. Dopo gli attentati terroristici, il governo francese decise di adottare una linea dura contro l’immigrazione irregolare: il trattato di Schengen viene sospeso, mentre la gendarmerie blinda il confine e blocca i migranti alla frontiera.

«L'empatia iniziale con il passare dei mesi è svanita», commenta Colomba. Per alcuni mesi i migranti sono stati accolti nel centro di accoglienza nato nella parrocchia Sant’Antonio a Gianchette, un quartiere a ridosso del fiume Roja dove abitano buona parte delle persone respinte. Resta così solo Campo Roja, il centro gestito dalla Croce Rossa che chiude i battenti con la pandemia.

Ventimiglia è uno dei confini attraversati da chi arriva dalla Rotta Balcanica o dalla Rotta del Mediterraneo Orientale; dove la scorsa settimana si è verificato il secondo naufragio più grave nelle acque italiane dopo quello di Lampedusa del 2013: la strage di Crotone. L’agenzia Frontex ha stimato che nel 2021, lungo questa tratta, sono arrivate in Italia 20.657 persone provenienti soprattutto da Syria, Afghanistan, Iran, Iraq, Pakistan: le stesse nazionalità che si trovano sul confine fra la Liguria e Mentone. Secondo i dati raccolti da Diaconia Valdese, solo tra luglio e dicembre 2022 a Ventimiglia sono passate oltre 3.200 persone.

«La Diocesi mette a disposizione tredici posti letto per notte, ma non sono sufficienti rispetto al numero di persone presenti sul territorio», continua Alterisio. «Dal 2020, famiglie in transito e donne sole trovano riparo in una casa messa a disposizione dalla Caritas e gestita anche da noi. Si può restare quattro notti e decidere o meno se fermarsi in Italia», afferma Costanza Mendola, operatrice legale per Diaconia Valdese.

«Stiamo andando al ponte san Lodovico, nella frazione di Grimaldi. Lì ci sono la frontiera alta e il comando della paf (polizia di frontiera francese)», dice Mendola salendo in auto con due operatrici legali e Colomba. «Nessuno ha detto a questa famiglia che si può tornare in città con un bus», esclama Mendola incrociando una donna carica di bagagli seguita da due bambini, che a piedi cammina da Grimaldi verso Ventimiglia, a dieci chilometri da qui. «Se hai bisogno di aiuto ci trovi accanto alla stazione», dice Colomba a un giovane pakistano fuori dalla caserma della polizia italiana. Il ragazzo annuisce, e torna a guardare il mare all’orizzonte. «La Paf respinge i minori, prende le persone a 30 km dal confine italiano e in passato ha commesso pestaggi. Questo viola le leggi e dimostra il fallimento delle politiche europee», dichiara Mendola. «Alcune ong francesi hanno intentato azioni legali contro la Paf, specie sulle domande di asilo non accolte al valico. Parlamentari francesi ed europarlamentari non hanno accesso al comando», spiega Colomba prima di tornare alla Caritas.


Su Grimaldi spicca un alto colle attraversato dal Passo della Morte, che segna la frontiera. «Dopo gli antifascisti, nel secondo dopoguerra è stato usato dai migranti italiani e da chi scappava dalla guerra di Tito», spiega Enzo Barnabà, docente in pensione e scrittore. «È stato chiamato così da un giornalista milanese negli anni Cinquanta. C’è una falesia e ogni giorno una, due persone, cadevano giù in quel giardino», dice lo scrittore indicando una palazzina bianca quasi incastonata nella roccia. «Con il tempo gli attivisti hanno tracciato il sentiero, ma spesso i gruppi fascisti francesi spostano le indicazioni», prosegue Barnabà.

La frontiera è a forma di saetta e scende giù fino a quella bassa, che si trova sul lungomare tra Ventimiglia e Mentone, primo comune francese. «Qua si è suicidato un ragazzo africano. Era stato respinto per la quarta volta», ricorda il docente passando accanto a una rete di protezione sul ciglio della strada, proprio sul confine. Dal sentiero che conduce fino al Passo della Morte si vede l’autostrada che corre veloce verso la Francia. «Milet, dall’Eritrea, aveva solo 17 anni quando una notte, sul viadotto autostradale, viene travolta da un tir sotto agli occhi del fratello e dei cugini. Avevano quasi superato il confine», ricorda Barnabà. Dal 2015 ad oggi, questa frontiera ha ucciso almeno 37 persone. A pochi metri dal confine c’è il sentiero degli stracci.

«Le persone si alleggeriscono e si cambiano i vestiti. Vogliono essere meno riconoscibili una volta entrate in Francia», dice lo scrittore. «I passeur approfittano dei migranti; soprattutto delle famiglie, che pagano molti soldi pur di evitare i pericoli della montagna. In questi anni sono sparite tante donne sole coi figli», racconta Filippo, che insieme alla moglie Loredana abita sul confine italo- francese. «Da quando non esiste campo Roja, a casa nostra abbiamo accolto circa 300 persone», dice Loredana preparando il caffè. «Lei ha 15 anni ed è eritrea. È sola», dichiara Loredana facendo cenno a una ragazza che dorme su un lettino in fondo alla sala da pranzo. «Il governo italiano ci racconta un’invasione ma l’Italia accoglie solo il 5% dei migranti. Come si fa a girarsi dall’altra parte?», si domanda Loredana. Alla Caritas è orario di ambulatorio. Giulia Berberi, dottoressa e capoprogetto di Medici del Mondo, sistema degli analgesici in un armadietto. «C’è un’alta percentuale di traumi psicologici che i migranti si portano dai Paesi di origine o sviluppano in viaggio, che le condizioni di vita qui amplificano. Specie dopo i respingimenti, le persone mostrano richiami di attenzione e di aiuto», dice Berberi. «Senza un campo mancano condizioni dignitose per le persone, che spesso non riusciamo a ritrovare neanche per le visite prenotate. La riapertura del campo è necessaria sotto ogni aspetto, anche sanitario. Ci piacerebbe lavorare in modo decoroso, ma da anni operiamo solo in emergenza», conclude.

Su Ventimiglia è scesa la sera. Davanti alla stazione ferroviaria, una bambina di circa due anni, stretta in un giubbino fucsia, trascina un trolley rosa fra le persone e segue la madre che porta con sé una pesante valigia. E sugli invisibili di Ventimiglia, cala di nuovo la notte.

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