Mondo
Le false soluzioni alla crisi alimentare
L'intervento di Italo Rizzi, direttore strategico di LVIA, associazione Internazionale Volontari Laici, durante la Conferenza nazionale Coopera. A nome del Tavolo indipendente sulle Reti di cibo locale e di LINK 2007, Rizzi denuncia la falsità di quanto si sta continuando a ripetere: che la mancanza di cibo è causata dalla guerra in corso. Ad oggi non esiste una scarsità di cibo a livello globale: non si tratta infatti di una crisi di disponibilità ma di una crisi di accesso al cibo
di Italo Rizzi
È opinione piuttosto diffusa che a causa della guerra in Ucraina manchi il cibo per le popolazioni dell’Africa e che almeno nel breve periodo occorra rinunciare ad ambiziosi piani di transizione ecologica. Vedremo insieme come questa idea sia al contempo falsa e strumentale e cosa invece occorra per il cambio di passo che la crisi ci chiama a fare.
Le situazioni di insicurezza alimentare acuta sono legate principalmente al conflitto in numerose aree (Etiopia, Yemen, Mali, Burkina Faso, RDC …per un totale di 24 Paesi nel 2021), agli shock economici e agli estremi climatici. Si tratta però di acceleratori della insicurezza alimentare i cui drivers sono il sistema di ineguaglianza, la povertà e la crisi climatica.
Ebbene in soli 15 anni questa è la terza crisi alimentare e il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare e denutrite sta aumentando da ben 6 anni, come confermato dal global report 2022 sulle crisi alimentari. Tuttavia, la produzione globale di cibo continua a crescere, i tassi di impiego delle riserve alimentari sono quasi identici a quelli di un anno fa e oggi, complessivamente a a livello globale, non esiste una scarsità di cibo. Pertanto, non si tratta di una crisi di disponibilità ma di una crisi di accesso al cibo. I prezzi, quelli sì, sono in forte aumento ed i fenomeni speculativi sono alla base di questi incrementi ingiustificati. Tra gli Exchange Traded Funds (ETS), i fondi speculativi legati al cibo e all’energia hanno raccolto in brevissimo tempo enormi capitali e il valore delle azioni è cresciuto rapidamente. È il caso ad esempio del Fondo agricolo di investimenti Teucrium per il quale il prezzo delle azioni è cresciuto del 40% in una settimana ed i cui capitali sono aumentati di 100 volte in meno di tre mesi.
È dunque in primo luogo l’eccesso di speculazione a far crescere il prezzo del cibo, un evento che si era già verificato durante la crisi del 2008-2009 e che si è potuto ripetere anche perché i tentativi dell’UE di riforma dei mercati finanziari del 2014 (MiFID II) e degli Stati Uniti (la riforma Dodd-Franck) si sono rivelati insufficienti e inadeguati. Se i Ministri dell’Agricoltura del G7 si sono recentemente impegnati a monitorare i mercati e promuoverne la trasparenza, la società civile, cosi come il Panel Internazionale di Esperti Internazionali sui Sistemi Alimentari Sostenibili (IPES-FOOD), hanno proposto di elevare la tassazione degli extraprofitti sul cibo, anche sull’esempio delle recenti misure di tassazione dalle industrie degli idrocarburi, perché “sulla fame non si specula”, come recitava una campagna del 2011 fin troppo attuale. Purtroppo, la dipendenza di alcuni paesi dalle importazioni di cereali e oleaginose e l’esposizione alle fluttuazioni dei prezzi è legata sia alla mancanza di politiche del cibo più orientate alla sostenibilità che alla insufficiente volontà delle attuazioni di tali politiche anche nei paesi del Sud globale, come ha qui affermato Ibrahima Coulibaly che presiede il ROPPA, rete di organizzazioni contadine e produttori agricoli dell’Africa dell’Ovest. Vi concorrono poi gli indirizzi errati dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e di disincentivo alle riserve strategiche pubbliche di cibo e ai sistemi locali di produzione, perché secondo la fallace strategia dell’OMC “la soluzione” risiederebbe nel mercato globalizzato.
A questa crisi, che risuona come un avvertimento finale, occorre dare una risposta strutturata per superare lo scandalo della fame, perché non si ripeta più con questa gravità, almeno per la componente che è nelle mani dell’uomo. Cessiamo dunque di strumentalizzare la crisi alimentare per rallentare la transizione ecologica, ritardando in particolare la messa in atto della strategia Farm to Fork dell’Unione Europea (che prevede con target precisi di ridurre l’impiego di concimi di sintesi, pesticidi e antimicrobici e di aumentare l’area ad agricoltura biologica entro il 2030) e concedendo deroghe sui regolamenti della messa a riposo delle terre, preziosa riserva di biodiversità. Invocare una risposta ad una crisi utilizzando gli stessi strumenti che l’hanno determinata, il modello produttivista dell’agricoltura industriale, non farebbe che esacerbare la fragilità dei sistemi alimentari, accrescere l’instabilità politica e peggiorare la qualità dell’ambiente e della nostra salute.
Sulla stessa linea di azione regressiva si pone il tentativo di marginalizzare il Comitato di Sicurezza Alimentare, che è uno spazio per la Società Civile incardinato nel sistema delle Nazione Unite per la lotta all’insicurezza alimentare, e minimizzare il ruolo del gruppo di esperti ad alto livello (HLPE) del Comitato delle Nazioni Unite a vantaggio di istanze più opache e meno democratiche per la governance globale del Sistema del Cibo. Anche vista dall’Italia, dalla nostra parte della tavola, la focalizzazione oltre che sul Made in Italy dovrebbe puntare sui sistemi locali del cibo e sull’agroecologia che valorizzano anche le dimensioni sociali, culturali ed ecologiche del cibo. Una visione trasformativa dei sistemi alimentari e la proposta di un nuovo modello di cooperazione tra istituzioni, ricerca, società civile e impresa. Un modello collaborativo che le Reti della società civile sostengono – a partire dall’ultimo miglio – con i nostri partner ad esempio in Africa e Medio Oriente dove sono state sviluppate delle buone pratiche a impatto misurabile e replicabili. Vi hanno lavorato le organizzazioni di LINK 2007 in dialogo con Slow Food, la Rete delle Politiche Locali del Cibo e Economy of Francesco, e su cui lavora anche Azione Terrae, coalizione per la transizione agroecologica e molti altri con cui occorre fare un salto di qualità nell’azione di advocacy nella società italiana, europea ed africana.
Perché è solo lavorando insieme che possiamo incidere per aumentare l’aiuto allo sviluppo, dare sostegno alle politiche di protezione sociale, sostenere la cancellazione o la riprogrammazione del debito, sostenere la moratoria ai biofuel, fermare gli eccessi di speculazione finanziaria sul cibo e supportare il cambiamento dei sistemi alimentari. Percorsi che avranno un ulteriore momento di elaborazione a Bari, durante la terza conferenza mondiale sui sistemi alimentari sostenibili, per presentare esperienze sul Cibo di Comunità e continuare nello sforzo di dare risposte inclusive e sostenibili alla crisi alimentare e proseguire in quello che in primo luogo è un percorso di giustizia.
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