Welfare
Strage di Cutro. Per l’arcivescovo di Palermo «non possiamo continuare a girarci dall’altra parte»
Quanto si è tragicamente consumato sulla costa calabrese non può passare inosservato perché riguarda tutti. Riguarda la politica, le istituzioni, ma anche i comuni cittadini, coloro che troppo spesso volgono lo sguardo altrove pensando di non avere responsabilità. Nell'esprimere solidarietà e vicinanza alle famiglie che stanno piangendo i loro cari, l'Arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, ce lo ricorda chiedendo altresì che si aprano i tanto attesi corridoi umanitari, agendo sul diritto di asilo e lavorando sull’integrazione
Una solidarietà che unisce i confini con l’idea che la vita umana è unica e va salvata ovunque questa abbia bisogno di aiuto. Un grido di dolore, quello che giunge dalla Calabria, ma anche un monito che arriva dalla vicina Sicilia attraverso la voce dell’Arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice
«Non hanno riconosciuto, i nostri fratelli pakistani, afghani, iraniani, siriani, nell’orizzonte freddo della costa, avara di aiuti e incapace di cura per l’unicità preziosa delle loro vite; non hanno riconosciuto questa diversità della nostra terra rispetto a quella che li ha scacciati, perseguitati, minacciati, costretti all’esilio. Ci avrebbero chiesto, se fossero riusciti ad approdare – scrive Lorefice -, ce lo chiedono gli occhi sgomenti, atterriti dei sopravvissuti, su cosa fondiamo oggi noi europei, noi occidentali, la promessa che abbiamo fatto quando abbiamo scritto la “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo”. Ci avrebbero chiesto – e ora tocca a noi, da cittadini, da cristiani, chiedercelo e chiederlo a nome di ognuno di loro ai Governi italiano ed europeo – se abbiamo compreso che quella promessa l’abbiamo fatta innanzitutto a coloro che ancor oggi scappano dai luoghi in cui questi diritti sono sconosciuti, violati, e se ci siamo resi conto che lasciandoli morire li abbiamo violati noi stessi, per primi. Non è solo dinanzi a quello che è accaduto in Calabria che ci sentiamo di dover fare questa affermazione, ma anche e soprattutto dinanzi alla negazione delle responsabilità, alla gravità della loro elusione, alla mancanza di consapevolezza politica ed umana da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali impegnate solo a stringere accordi con paesi come la Libia per trattenere e sospingere i migranti in veri e propri campi di concentramento».
Una responsabilità che ognuno dovrebbe sentire nel profondo.
«Quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente – aggiunge l’arcivescovo di Palermo – bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi. Il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la Preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci “di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani". Crediamo che sia necessario rispondere ai tanti interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro e che venga dissipato ogni equivoco sulla gravissima responsabilità di chi non soccorre i naufraghi lasciandoli morire in mare. Si aprano una volta per tutte i tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori sull’integrazione. Facciamo insieme di questa nostra terra un giardino fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle differenze».
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