Politica

Dispersione: senza comunità educanti i 500 milioni del Pnrr non risolveranno il problema

Il Pnrr stanzia risorse strutturali, per cambiare le cose. «Ma se si tratta di cambiare rotta, non puoi prescindere dalla comunità educante né dalla valutazione d’impatto. Siamo di fronte a una debolezza concettuale grave», dice Marco Rossi-Doria, presidente dell'impresa sociale Con i Bambini

di Sara De Carli

Il Ministero dell’Istruzione, con decreto 170 del 24 giugno, ha ripartito fra le regioni e le scuole i primi 500 milioni previsti dal Pnrr per le azioni contrasto della dispersione scolastica e contro le povertà educative, in attuazione della linea di investimento 1.4 che stanzia complessivamente a questo scopo 1,5 miliardi di euro. Alle regioni del Mezzogiorno va il 51,16% dei soldi, con la Campania in testa con 79,3 milioni di euro. La scuola che porta a casa più risorse è l'Istituto superiore Guglielmo Marconi di Giugliano in Campania (Na): 393.735,99 euro. Risorse distribuite a pioggia per alcuni e a macchia di leopardo per altri, con criteri non adeguati o troppo concentrati solo su alcuni aspetti, senza prevedere una reale azione di sistema e senza che sia richiesta una valutazione d’impatto: così dicono le critiche che subito hanno seguito il decreto, presidi in primis. In sostanza, il rischio è quello di replicare la solita cornice, entro cui le scuole faranno ciò che hanno sempre fatto, senza quindi produrre cambiamenti e senza ridurre i divari. Possibile che sia questo l’unico modo che abbiamo per cogliere la grande chance del Pnrr, con fondi che non torneranno mai più?

Marco Rossi-Doria, presidente dell'impresa sociale Con i Bambini, era nel gruppo di lavoro convocato dal ministro Patrizio Bianchi per definire le indicazioni generali per il contrasto della dispersione e il superamento dei divari territoriali, nell’ambito dell’attuazione del PNRR. Gruppo che si è insediato a fine marzo e che il 1° giugno ha consegnato al Ministro il suo documento (lo trovate qui): non hanno mai ricevuto risposta. Intanto però il Ministero le risorse le ha assegnate, seguendo una via che è molto distante da quella che il gruppo di esperti aveva auspicato: questa mattina infatti hanno scritto una nuova lettera al ministro e redatto un comunicato in cui esprimono «sorpresa e preoccupazione per quanto stabilito nel decreto 170 di riparto dei primi 500 milioni previsti dal Pnrr». Il decreto, «purtroppo, non corrisponde alle documentate indicazioni che abbiamo raccolto sulla base delle linee di indirizzo condivise con il ministro Bianchi», dichiarano Ludovico Albert, Marco Rossi-Doria, Franco Lorenzoni, Andrea Morniroli, Vanessa Pallucchi, Don Marco Pagniello, Chiara Saraceno, firmatari della lettera.

«La questione tecnicamente è molto complessa, se tu stabilisci le aree con un ventaglio di indicatori troppo povero – ad esempio se non consideri il tasso di disoccupazione degli adulti del territorio su cui la scuola insiste – o se hai una scuola con poche sezioni in un quartiere difficile… quella scuola rischia di non prendere i fondi. Noi avevamo proposto un set di indicatori più complesso. L’errore può sempre esserci, ma quelli più prevedibili si sarebbero evitati», commenta Rossi-Doria. Il decreto infatti per il riparto dei fondi tra regioni individua quali specifici indicatori oggettivi collegati ai maggiori rischi di dispersione scolastica il tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione nella fascia di età 18-24 anni (indice ELET – Early Leavers from Education and Training), il tasso di presenza della popolazione straniera, il tasso di popolazione priva di diploma di scuola secondaria nella fascia d’età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di famiglie con cinque o più componenti, il numero di studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado della regione di riferimento e poi – nel riparto tra le scuole singole – distribuisce i fondi in base al tasso di “dispersione implicita” calcolato dall’Invalsi: individuati i territori, le risorse cioè vanno alle scuole che hanno almeno l’8% di studenti che all’Invalsi ha conseguito risultati molto bassi sia in italiano sia in matematica. Per gli esperti si tratta di «un’eccessiva semplificazione dei criteri per l’assegnazione dei fondi alle scuole, che non tiene conto, ad esempio, dell’incidenza di alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) o della presenza di giovani Neet. Il decreto, inoltre, assegna le risorse scuola per scuola ma rimanda ogni indicazione su come realizzare concretamente il potenziamento dell’azione sui territori: aspetto, questo, su cui il nostro documento ha invece proposto indicazioni chiare e verificabili».


Il vero punto dolente però per Marco Rossi-Doria è che «non c’è scritto come fare i partenariati, vi è solo una indicazione generica, così che le scuole rischiano di comportarsi come con un PON, senza fare un partenariato a monte. Ci doveva essere un vincolo a costituire la comunità educante per poter utilizzare quei soldi». Nella lettera al ministro Bianchi si legge infatti che «il Decreto 170 assegna le risorse scuola per scuola ma non definisce “il chi, il cosa e il come usarle”». Non è troppo tardi: «Il Ministero potrebbe emanare una circolare alle scuole in cui si entra nel dettaglio, dicendo che ora le scuole mettano attorno a un tavolo le risorse educative del territorio e facciano un progetto comune. Abbiamo davanti tre anni scolastici – secondo noi le risorse devono poter essere spese non entro la fine del 2024 ma entro la fine dell’anno scolastico 2024/2025 – e una bella quantità di risorse, si possono fare cose interessanti, si può fare la differenza. Però dobbiamo evitare la presunzione di voler inventare ogni volta la ricetta da zero». Perché quella delle comunità educanti, non si stanca di ribadire Marco Rossi-Doria, non è un "pallino" di alcuni: «È la letteratura mondiale accreditata che ce lo dice da anni, queste sono risposte che abbiamo dato trent’anni fa, non è qualcosa che caratterizza i 420 progetti di Con i Bambini ma è qualcosa che c’è nella storia della scuola italiana, basta solo volerlo vedere».

Il punto, gira e rigira, è sempre quello: la scuola è un attore fondamentale ma non può continuare a pretendere di essere l’unico, pensando di avere in sé tutte le competenza necessarie per educare. «Per contrastare la dispersione scolastica c’è bisogno di capire la situazione dei ragazzi con i servizi sociali del comune, oppure di coordinarsi con il tribunale per i minori, di sostenere le genitorialità fragili. Chi lo fa? Gli insegnanti? E se l’alunno parla un’altra lingua e tu scuola per quanto hai fatto lo hai perso di vista? Ci sono educatori che hanno queste competenze, diverse da quelle di un insegnante, che devono essere giocate in sinergia con quelle dell'insegnante. Si deve tenere la scuola aperta, stare gomito a gomito con i ragazzini, dare un orizzonte di motivazione nuovo, rendere possibile un'alleanza con una figura adulta. Sono risposte che abbiamo già dato, non è possibile ignorare questa storia e fare ogni volta da zero», dice Rossi-Doria. Sapendo ovviamente che la comunità educante non nasce per decreto né per rispondere a un bando, che richiede un investimento di tempo, intelligenza, passione (qui l'analisi realizzata da Forum DD su come evitare che le comunità educanti diventino un "luogo comune").

Anche perché i 500 milioni del Pnrr sono strutturali e servono per cambiare rotta: «Ma se si tratta di cambiare rotta, non puoi prescindere dalla comunità educante né dalla valutazione d’impatto. Siamo di fronte a una debolezza concettuale grave».

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