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La cieca burocrazia uccide, le Ong salvano: da che parte stiamo?
Diciamocelo chiaro: le navi umanitarie delle Ong, che Piantedosi vuole tenere il più lontano possibile delle zone Sar (Search And Rescue) del Mediterraneo introducendo regole che azzeccagarbugli di terza mano, mai e poi mai si sarebbero voltate dall’altra parte di fronte a 250 uomini, donne e bambini che stavano rischiando di morire nella acque gelide dello Ionio a poca distanza dalle nostre coste. Il Governo italiano però ha scelto un'altra strada, quella del formalismo amministrativo e del mortifero rimbalzo di responsabilità fra pezzi dello Stato
di Redazione
Dall’introduzione della rassegna stampa curata dal collega Alessandro Banfi (per iscriversi cliccare qui):
«Restiamo ai fatti. I fatti nudi e crudi, i fatti accertati. Per una volta proviamo a separarli davvero dalle opinioni. Primo fatto: le 100 vittime (ma non tutti i corpi sono stati ancora recuperati, ndr) del naufragio di Crotone potevano essere salvate. Sono morti a cento metri dalle nostre coste e nessuno oggi osa dire il contrario. Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti e delle nostre autorità, che pur nascondendosi nel labirinto della burocrazia e dello scaricabarile, hanno dovuto ammettere: si poteva trarre in salvo quelle persone. Perché di quell’imbarcazione, ampiamente segnalata da ore, esistono anche le foto dall’alto, scattate prima dello schianto in mare. Seconda circostanza di fatto: da Roma si è deciso che la Guardia costiera, che pure aveva i mezzi per intervenire col mare grosso, doveva restare ferma in porto. Dunque siamo già a tre certezze: 1) si sapeva di un’imbarcazione di migranti in arrivo, 2) c’era mare grosso e cattivo tempo, 3) era scattata un’operazione di polizia, ma non di salvataggio. I sopravvissuti hanno raccontato anche che gli scafisti avrebbero buttato in mare alcuni di loro, quando hanno avvistato la costa calabrese, poco prima dello schianto dello scafo sulla secca. Non sappiamo se la magistratura abbia ottenuto prove di riscontro a queste dichiarazioni, raccolte dai cronisti. A questo punto ce ne sarebbe abbastanza perché il ministro degli Interni Matteo Piantedosi si dimettesse. Come scrivevamo già ieri non avverrà, perché le logiche della politica fanno velo al buon senso e all’opportunità. Basta vedere la reazione isterica del suo sponsor politico e ispiratore Matteo Salvini e della stampa a lui più vicina. Non succederà niente. I giudici indipendenti non riusciranno a identificare i responsabili. Il doveroso cordoglio del Capo dello Stato e la visita della leader dell’opposizione a Crotone di oggi, saranno presto dimenticati. I superstiti cercheranno presto di andare dai loro parenti in Germania e in Olanda».
Ennio Flaiano diceva che vivere è diventato un esercizio burocratico. Oggi abbiamo scoperto che anche morire lo è. In particolare se sei bollato come clandestino, anche se in realtà sei un naufrago. La notte fra il 25 e il 26 febbraio anche la più naturale e primaria legge del mare (le persone che stanno annegando si salvano. Punto) è andata in frantumi di fronte a procedure de-responsabilizzanti e mortifere. Sono spiegazioni che non si possono sentire quelle del comandante della capitaneria di porto di Crotone Vittorio Aloi: «Le regole d’ingaggio sono complesse, non si può fare una sintesi. E i piani operativi non dipendono solo dal nostro ministero di competenza, Infrastrutture e trasporti, ma anche dal Viminale». Il tono e il lessico sono gli stessi di quelli del ministro Matteo Piantedosi, è la lingua al medesimo tempo piatta ed arzigogolata dei burocrati, non certo degli uomini di Stato (e basta sentire parlare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per verificarne la distanza).
Altra musica le parole del vescovo di Palermo Corrado Lorefice: «Quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi. Il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la Preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci “di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa».
Diciamocelo chiaro: le navi umanitarie delle Ong, che Piantedosi vuole tenere il più lontano possibile delle zone Sar (Search And Rescue) del Mediterraneo introducendo regole che azzeccagarbugli di terza mano, mai e poi mai si sarebbero voltate dall’altra parte di fronte a 250 uomini, donne e bambini che stavano rischiando di morire nella acque gelide dello Ionio a poca distanza dalle nostre coste.
Finché l’Europa, o meglio i Paesi europei non si faranno carico di costruire una vera politica delle migrazioni (che non può prescindere da una politica africana di cooperazione allo sviluppo) le Ong nel Mediterraneo sono indispensabili. E anzi dovrebbero essercene molte di più.
«Odio la burocrazia, non l'ho mai sopportata. Ferma le cose e le persone da una vita creativa. È contro tutte le cose di cui si occupa la vita» (cit. Tim Burton). Non possiamo certo tenerci un ministro dell’Interno che non si occupa della vita. Non vogliamo e non possiamo permettercelo.
La cieca burocrazia uccide, le Ong salvano: noi da che parte stiamo?
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