Mondo
Da Camini a Cutro, i 100 km in cui si infrange la speranza
A Camini, 800 abitanti di cui 120 rifugiati, si è appena conclusa "Filoxenìa", un percorso residenziale in cui l'artista Virginia Ryan ha lavorato insieme alle donne rifugiate attraverso "il filo" dell'arte. Molte di loro hanno fatto lo stesso viaggio che ha portato più di sessanta persone a morire nel mare davanti a Cutro, a un centinaio di km da qui. Filoxenìa significa amore per lo straniero e davvero Camini fa sperare "in un altro mondo possibile". Sarà ancora vero domani, quando il prof Iiritano tornerà a Camini con le sue studentesse?
È venerdì 24 febbraio. A Camini (RC) si conclude la “residenza d’artista” Filoxenìa di Virginia Ryan, curata da Lara Caccia nell’ambito dei percorsi laboratoriali “Dall’integrazione all’interazione” avviati già da due anni dalla cooperativa Jungi Mundu e dall'associazione Amica Sofia, in collaborazione con il Comune di Camini e con alcune Università (della Calabria, Trento, Urbino). Filoxenìa significa "amore per il forestiero" e a Czmini non è una buona intenzione o una velleità. Camini è un piccolo comune della locride, che negli anni, seguendo il modello della vicina Riace, ha saputo attivare un modello virtuoso di accoglienza: su quasi 800 abitanti, circa 120 sono rifugiati e rifugiate che qui hanno trovato casa. I laboratori dialogici di “interazione” attivati da anni costituiscono un percorso di ricerca che intende offrire agli ospiti di quella comunità multietnica, divenuta ormai modello di riferimento a livello europeo, occasioni utili ad un dialogo e ad una libera espressione delle loro tradizioni culturali e religiose e della loro sensibilità estetica. In particolare, la residenza con l’artista Virginia Ryan, di origini australiane e che ha vissuto a lungo in Ghana, è stata dedicata alle donne che operano già nei laboratori della cooperativa Jungi Mundu, le quali provengono da Afghanistan, Nigeria, Siria, Marocco, Pakistan, Bangladesh. Il linguaggio del tessile e dell’arte è stato il veicolo di questa interazione straordinaria, che ha prodotto immagini animate dallo stesso desiderio di pace e di conciliazione tra i popoli.
Afghanistan, Siria, Pakistan, Bangladesh… molti dei rifugiati accolti a Camini, forse la maggior parte, proviene proprio da quella stessa rotta orientale, il cui ultimo tratto – quello che porta via mare dalla Turchia all’Italia – è da sempre uno dei più rischiosi e disperati. Si parte di solito di notte, senza preavviso, senza capire perché e senza neppure rendersi conto del tipo di “imbarcazione” sulla quale si salirà, di quante e quali persone conterrà. Sono tanti i racconti traumatici che si possono ascoltare, tra le vie e nelle botteghe di questo borgo incantato, dove tutte le guerre e le disgrazie del mondo sembrano rappresentate, divenendo materia di una speranza necessaria, quasi sempre inattesa.
Una delle mie alunne del Liceo Classico Galluppi di Catanzaro, con le quali abbiamo partecipato alla giornata conclusiva della residenza artistica, mi ha detto: «Prof, non avevo mai pensato che i profughi possano essere così, persone libere e felici, che lavorano… Li avevo sempre immaginati nei campi profughi». Ecco il senso di quell’interazione che stiamo cercando plasmare, proprio a partire dalla sensibilità più delicata delle giovani generazioni. «È tutto bello qui! Venire a Camini mi fa sperare in un altro mondo possibile», dice Helena, che in questi percorsi, insieme ad altre compagne, mi accompagna da mesi.
Si infrange anche negli occhi dei miei alunni, il giorno dopo, a scuola, quella leggera e gaia luce di speranza, di vita, di normalità… E si torna alle immagini cupe e senza speranza dei relitti, delle vite spezzate, che sembrano quasi relitti abbandonati di un’umanità senza futuro. Che riempiono quelle stesse spiagge sulle quali molti di loro, trascorrono le giornate più liete e spensierate dell’estate… A pochi km da noi, tutto improvvisamente si tinge di nero. Ogni filoxenìa diviene impensabile, quasi come un odioso e ormai già lontanissimo inganno.
Sabato 25 febbraio, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, a meno di 100 km da Camini, ogni speranza di un altro mondo possibile sembra infrangersi sul muro buio di una notte quanto mai tempestosa ed ostile. Riparte la litania insopportabile – ultima e più vile forma di quella stessa indifferenza che li ha uccisi – sull’impegno dell’Europa, il blocco delle partenze, il governo dei flussi…. Ma di che cosa parlano costoro? Hanno mai ascoltato la disperazione che è all'origine di queste vite spezzate? Hanno un minimo di conoscenza delle rotte disperate, tragiche, infinite, che portano ad attraversare per anni, a piedi, interi continenti?
Si infrange anche negli occhi dei miei alunni, il giorno dopo, a scuola, quella leggera e gaia luce di speranza, di vita, di normalità… E si torna alle immagini cupe e senza speranza dei relitti, delle vite spezzate, che sembrano quasi relitti abbandonati di un’umanità senza futuro. Che riempiono quelle stesse spiagge sulle quali molti di loro, trascorrono le giornate più liete e spensierate dell’estate… A pochi km da noi, tutto improvvisamente si tinge di nero. Ogni filoxenìa diviene impensabile, quasi come un odioso e ormai già lontanissimo inganno.
Torneremo a Camini venerdì pomeriggio. E dopo le immagini tragiche del terremoto in Siria, in cui alcune delle nostre interlocutrici e amiche hanno riconosciuto purtroppo le loro case, dovremo confrontarci ora anche con le immagini buie di un nuovo naufragio, sulla stessa rotta che alcune e alcuni di loro hanno percorso. Me lo racconta Shajib, quell’ultimo pericoloso tratto di questa moderna odissea, che l’ha condotto in Italia dal lontano Bangladesh, passando attraverso i territori ostili di Oman, Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, e poi di nuovo Grecia e poi di nuovo Turchia, fino all’ultima fortunosa partenza per mare… Una partenza insicura eppur necessaria
Courage abita da anni proprio lì, nel crotonese, con il figlio Ivan, strappato per un attimo al naufragio che ha vissuto ancora giovanissima e di cui nasconde nei ricordi il trauma incancellabile… Fa ancora fatica a inserirsi in un mondo che le richiede il rinnovo del “permesso di soggiorno”, in cui a momenti ancora si ritrova sola dinanzi ad una lingua, a norme, ad ostacoli, che nessuno potrebbe, nelle sue condizioni, affrontare da sola. Viene da Riace. È lì che faticosamente ha cominciato a ricostruire i pezzi della sua stessa vita spezzata. In quello stesso mare che ora ci restituisce 67 corpi, qualche anno fa, io e Courage abbiamo fatto insieme il primo bagno: ed era ancora tanta in lei la paura del mare.
Torneremo a Camini venerdì pomeriggio. E dopo le immagini tragiche del terremoto in Siria, in cui alcune delle nostre interlocutrici e amiche hanno riconosciuto purtroppo le loro case, dovremo confrontarci ora anche con le immagini buie di un nuovo naufragio, sulla stessa rotta che alcune e alcuni di loro hanno percorso. Me lo racconta Shajib, quell’ultimo pericoloso tratto di questa moderna odissea, che l’ha condotto in Italia dal lontano Bangladesh, passando attraverso i territori ostili di Oman, Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, e poi di nuovo Grecia e poi di nuovo Turchia, fino all’ultima fortunosa partenza per mare… Una partenza insicura eppur necessaria.
A Camini, venerdì, mi accompagneranno Helena, Giorgia, Valentina e la mia collega Raimonda. Proveremo ancora a praticare la nostra filoxenìa, sperando di poter riallacciare di nuovo quel filo fragile e sempre insicuro che ci lega, rendendoci disponibili e affidabili all’ascolto. Ma avremo ancora il coraggio di guardarli negli occhi?
A Camini, venerdì, mi accompagneranno Helena, Giorgia, Valentina e la mia collega Raimonda. Proveremo ancora a praticare la nostra filoxenìa, sperando di poter riallacciare di nuovo quel filo fragile e sempre insicuro che ci lega, rendendoci disponibili e affidabili all’ascolto. Ma avremo ancora il coraggio di guardarli negli occhi?
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