Cultura

Caro Baricco, la 185, per iniziare

Una globalizzazione diversa. Lo scrittore ha raccolto i suoi interventi sull’11 settembre in un pamphlet. Posizione antischematica a cui manca solo un appiglio concreto...

di Angelo Ferrari

La pace è una condizione necessaria per la globalizzazione. Ma è possibile una globalizzazione che escluda i ricchi? è una domanda, delle tante, che Alessandro Baricco si pone con il suo nuovo libro Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà (Feltrinelli, 6 euro). Scrive Baricco: «Non c?è globalizzazione senza pace. Poi pensate a questo: qual è la più grande industria del mondo, quella che fa girare la massa più grande di denaro? L?industria delle armi. E adesso pensate: poteva passare liscio un progetto di arricchimento collettivo che facesse fuori proprio i più ricchi? Difficile. E infatti una delle difficoltà, non dette, della globalizzazione è fare i conti con quel problema». Ora l?abbiamo detto. E allora? Proviamo a ragionarci. Il secondo millennio si è chiuso con l?illusione, o l?utopia, che la pace cominciava ad albeggiare sul pianeta. Il terzo millennio si è aperto con l?11 settembre. Tutto come prima? Un disincanto disperato Emergeva dal fumo delle torri un disincanto disperato, il dolore della memoria che ripete i suoi lutti. Tutto come prima, tutto come è sempre stato, pur nelle forme più diverse, fin dalla fondazione del mondo. Possiamo rassegnarci a questo disperato disincanto? Accontentarci, passata la crisi, di una prossima consolante ripresa dei consumi? Possiamo rassegnarci alla logica che la globalizzazione tenga conto solo dei più ricchi? No. Eppure il mondo va proprio nella direzione descritta da Baricco. Gli Usa hanno aumentato la spesa militare. In Italia si vorrebbe mettere mano alla legge 185, quella sul commercio delle armi, per riformarla in senso meno restrittivo. L?11 settembre giustifica questa logica. Scrive sempre Baricco: «Gli sviluppi dell?11 settembre hanno messo a fuoco un modello di soluzione possibile. Fine delle guerre tradizionali (la globalizzazione non le consente) e inizio di una nuova guerra, interna, cronica, inevitabile: quella contro il terrorismo… è un modello di guerra in tempo di pace. è il modello di un?esistenza possibile: un mondo che vive in pace senza per questo rinunciare alla guerra». Questa è la risposta che il mondo globalizzato ha dato. Insomma, ha salvato i ricchi e ha condannato i poveri del mondo. Ci si può rassegnare a questa logica che rigenera, anche quando le soluzioni dovrebbero andare in un altro senso, sempre il mondo ricco? No. Non so se Baricco conosce la campagna contro la riforma della 185, in tal caso lo invito a schierarsi con chi non vuole quella riforma, perché il suo libro non rimanga solo una serie di domande ben poste. Baricco, infatti, a una prima lettura, sembra che voglia ridicolizzare chi fa ragionamenti ?seri!? sulla globalizzazione, attraverso storielle banali. Una rivoluzione culturale Poi, a pensarci bene, globalizzazione sì, globalizzazione no, è vero che una globalizzazione pulita deve passare, «necessariamente, attraverso una sorta di rivoluzione culturale», scrive Baricco. «Che essa abbia bisogno che il mondo accetti di pensare il futuro, senza pregiudizi, e sia disposto a smettere di difendere un presente che già non esiste più. Non credo che, se c?è una globalizzazione ?buona?, la possano realizzare cervelli che distruggono i McDonald?s e vedono solo film francesi. Ho in mente qualcosa di diverso. Ho in mente gente convinta che la globalizzazione, così come ce la stanno vendendo, non è un sogno sbagliato: è un sogno piccolo. Arrestato. Bloccato. è un sogno in grigio, perché viene direttamente dall?immaginario di manager e banchieri. In un certo senso si tratterebbe di iniziare a sognare quel sogno al posto loro: e realizzarlo. è una questione di fantasia, di tenacia e di rabbia. è forse il compito che ci spetta». è una ?rivoluzione culturale? per Baricco, per esempio, schierarsi per l?embargo totale delle armi ai Paesi africani e impedire che venga riformata la legge 185? Se non è così come possiamo sognare al posto dei banchieri e, quei sogni, quel progetto utopico che è la pace mondiale, farli diventare, domanda dopo domanda, dubbio dopo dubbio, un po? meno sogni e un po? più realtà? Se non è così, rischiamo solo di difendere, camuffandolo da futuro, il presente che già c?è.


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