Salute
Malattia del benessere? No, il diabete colpisce i poveri
Il divario socioeconomico causa diseguaglianze di salute. Se ne è parlato a Panorama Diabete 2023. Istruzione, lavoro, reddito, ma anche ambiente fisico e contesto abitativo e sociale pesano come macigni sulle malattie croniche non trasmissibili. Il diabete di tipo 2 che colpisce 4,5 milioni di italiani, altrettanti hanno una condizione metabolica di forte rischio. Ecco cosa significa per i diabetologi italiani prendere sul serio la salute
Da malattia del benessere e dell’opulenza è diventata la malattia del malessere e del disagio. Il diabete di tipo 2, e il suo più temibile fattore di rischio, l’obesità, colpiscono più duramente le fasce socioeconomiche più svantaggiate. Questo emerge non solo dal confronto tra paesi, ma anche all’interno di uno stesso stato: in qualunque città voi abitiate, la probabilità di incontrare una persona con diabete varierà in funzione della ricchezza media del quartiere. La situazione è stata messa a fuoco dalla Società italiana di diabetologia riunita a Panorama Diabete 2023, il cui slogan 2023 è stato Predire per prevenire. Operazione quanto mai urgente, quella della prevenzione, il diabete essendo in crescita esponenziale, con circa 4 milioni di italiani con una diagnosi, cui va aggiunto un altro milione di persone con la malattia, ma non diagnosticata, e altri 4 milioni con una condizione di rischio aumentato per diabete e anche sue complicanze, il cosiddetto pre-diabete.
Servono misure politiche
Proprio mentre il British Medical Journal pubblicava un intervento intitolato «Un’economia della salute per tutti» in cui il padre del concetto di salute diseguale Michael Marmot scrive: «Continuare con l’economia neoliberista non risolverà i problemi delle disuguaglianze e del cambiamento climatico», a Riccione la società scientifica Sid rifletteva sulla necessità di misure più politiche che sanitarie per arginare il tragico impatto che istruzione, lavoro, reddito, ma anche ambiente fisico e contesto abitativo e sociale hanno sul diabete e sulla salute delle persone. Questo significa prendere sul serio la questione salute.
Incidenze e mortalità doppie al Sud
«Guardando alle mappe del Pil con i dati Istat relativi al 2021 e quelle di prevalenza del diabete, emerge una corrispondenza quasi esatta» ha spiegato Marco Baroni dell’Università degli Studi dell’Aquila. In cima alla classifica, regioni come Valle d’Aosta (con il diabete al 3,2%), Veneto (3,4%) e Lombardia (3,6%) e, in fondo, il Sud con Calabria e Basilicata che arrivano all’8%. Analoghi i dati sulla mortalità, che raddoppia al sud. Tanto che, spiega il presidente Sid Angelo Avogaro, «compito del diabetologo oggi è ormai anche quello di guardare a tutti i fattori di rischio emergenti, inclusi il contesto sociale e ambientale, che favoriscono la progressione verso il diabete. In troppi ancora non afferiscono ai centri diabetologici, la speranza è che ciò diventi sempre più fattibile con la medicina di prossimità e le case della salute».
Salute diseguale in città
I dati di Roma dell’Health city institute mostrano che, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da una malattia che vede l’età come uno dei principali fattori di rischio, il diabete è più presente non nei quartieri a maggior indice di vecchiaia come Parioli o Prati ma nel municipio VI giovane e disagiato. Lo stesso accade a Torino, dove i dati di Graziella Bruno mostrano che nei quartieri svantaggiati la prevalenza raddoppia. «Tra i passeggeri che salgono sul tram a Torino nei quartieri più ricchi sotto la collina solo 4 su 100 hanno il diabete; nella periferia più povera a nord della città sono 8 su 100» scrive Enrico Costa nella prefazione al bel saggio di Luca Carra e Paolo Vineis «Il capitale biologico. Le conseguenze sulla salute delle disuguaglianze sociali».
Istruzione e lavoro
Sempre dati piemontesi mostrano che il grado di istruzione è un determinante di ospedalizzazione non programmata per urgenze nel diabete di tipo 2. Dati statunitensi evidenziano che chi ha una bassa scolarità e vive sotto i livelli di povertà ha una maggior incidenza di diabete e di obesità e una ridotta aspettativa di vita. Quanto al lavoro, chi è disoccupato ha un rischio aumentato del 70% di sviluppare diabete di tipo 2 e anche il rischio di andare incontro a complicanze è maggiore nei non occupati. Le complicanze non sono solo un problema di salute, ma anche economico: i costi di gestione di un paziente con diabete si aggirano sui 3000€ l’anno, ma la cifra è da moltiplicare per quattro, per sei e per nove quando subentrano rispettivamente una, due e tre complicanze.
Ambiente fisico e sociale
«L’esposizione al verde ha una funzione protettiva per il diabete e molte altre malattie; non avere accesso a spazi versi, come accade a chi vive nelle periferie urbane, aumenta il rischio di sviluppare diabete» ha spiegato Agostino Consoli, past president della Sid, ricordando un recente studio apparso sul New England Journal of Medicine condotto su quasi 5000 donne con figli che ha mostrato come il semplice trasferimento da un quartiere svantaggiato a un altro ha determinato un miglioramento del controllo glicemico e dell’indice di massa corporea. L’inquinamento acustico, quello continuato del traffico, aumenta il rischio di diabete, e poi c’è l’inquinamento luminoso, che può indurre aumento di peso, obesità e infine diabete, come ha mostrato un ampio studio cinese apparso su Diabetologia. Molti inquinanti, poi, sono interferenti endocrini e hanno un’azione obesogena, inducono cioè all’accumulo di peso, così come l’acrilammide (oltre a obesogeno anche cancerogeno), prodotto non solo nelle lavorazioni industriali ma anche da processi di cottura come la frittura e la grigliatura.
Stile di vita, alimentazione e peso corporeo
A proposito di scelte alimentari, infine, gli studi rilevano anche un fenomeno intuitivo: al diminuire del reddito il carrello alimentare si sposta verso cibi ricchi di carboidrati e poveri di frutta, verdura e proteine buone. «Il reddito gioca un ruolo fondamentale nella scelta dell’alimentazione» ha detto la presidente eletta della Sid, Raffaella Buzzetti del Policlinico Umberto I di Roma. «Bisogna sostenere coloro che hanno meno strumenti culturali e meno istruzione, dimostrandosi capaci di raggiungere anche chi non è incline alla ricerca di informazioni serie e affidabili riguardo gli stili di vita». Agire sui quali è così efficace da portare in alcuni casi anche alla regressione della malattia. Poi, c’è la prevenzione: se domani l’intera popolazione italiana diventasse normopeso, le persone con diabete passerebbero da 4,5 milioni a 500mila. «Bisogna agire sulla prevenzione primaria, insegnare gli stili di vita sani, far capire ai cittadini che non esiste un’opzione B, esiste solo un’opzione A per la propria salute. Chiaramente poi ci sono delle scelte prettamente politiche che vanno al di là del contesto medico- sanitario e che riguardano l’ambiente, l’urbanistica, il sociale» conclude Avogaro che ricorda: «Il diabete persa sul sistema sanitario per 8-10 miliardi di euro su un totale 110 miliardi, non è poco».
Il disagio sociale si configura come criterio per individuare fragilità specifiche? Per i diabetologi italiani la riposta è un sì, pur con tutte le difficoltà nell’individuarlo. «Dobbiamo interrogarci – dicono – su quale governance della salute per i socialmente disagiati». C’è un però. Le società scientifiche possono produrre evidenze e portare riflessioni e proposte, ma non attuare gli interventi politici, economici e sociali necessari. Inoltre, come ha ben denunciato Maria Triassi dell’Università Federico II tra il pauso generale, «gli interessi di salute configgono con quelli delle industrie alimentari e il legislatore su questo non interviene». La Sid non si sottrae e prende come di consueto posizione su queste tematiche così decisive. Il titolo del prossimo congresso, infatti, sarà Predire per progettare. Fino ad allora, come ammettono amaramente i diabetologi, «meglio essere istruiti, ricchi e vivere in un bel quartiere verde».
Photo by Robin Stickel on Unsplash
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.