Gli abitanti di Scampia: «Venite a conoscerci, vi raccontiamo la nostra storia»

Inaugurato l’Ecomuseo Urbano diffuso di Scampia, un progetto promosso dall'associazione Chi Rom e…chi no. Fino al 28 maggio sono in programma - all’interno del Festival delle storie - passeggiate nel quartiere, laboratori, incontri con i cittadini di Scampia. «Il nostro è un territorio in continuo mutamento», racconta Barbara Pierro, presidente dell’associazione. «Non neghiamo gli aspetti problematici, ma è anche un vero “laboratorio del sociale”»

di Anna Spena

Agli inizi degli anni Settanta a Scampia doveva nascere il sogno della media borghesia napoletana. Si costruivano i primi parchi privati, lontano dal caos del centro della città. Ma nell’Ottanta il terremoto in Irpina ha segnato l’inizio delle scelte politiche sbagliate. Furono edificate strutture in piena emergenza post-terremoto, c’era bisogno di case per gli sfollati. Quelle scelte hanno lasciato spazio alla Camorra. Sono poco meno di 41mila gli abitanti residenti, una stima al ribasso. A loro si aggiungono le migliaia di famiglie che, in mancanza di alternative occupano le case, e una consistente comunità Rom che vive in un campo costruito nel quartiere.

Scampia è il luogo delle aspettative tradite perché le Vele non dovevano essere le vele, roccaforte della droga con le vedette sui palazzi. Le “case dei Puffi" nel lotto P, fatte di amianto e che oggi cadono a pezzi – come gran parte del quartiere – dovevano essere provvisorie, per tamponare l’emergenza, invece poi sono diventate l’emergenza.

Il quartiere è stato profondamente segnato dalla prima faida di Secondigliano. Una guerra di camorra tra i Di Lauro e gli “scissionisti”. Mentre si ammazzavano tra loro i colpi di proiettili vacanti hanno ucciso anche ragazze e ragazzi del quartiere, vittime innocenti. Ma che cos’è Scampia oggi? Dopo la faida Scampia è iniziata a cambiare, gli abitanti hanno detto basta. La Camorra ha lasciato spazio all’abbandono. A rimanere è l’emergenza abitativa, la povertà estrema, di quella che non metti insieme il pranzo con la cena, a rimanere – prepotente – è lo stigma su un quartiere e i suoi abitanti.

Ma è soprattutto il quartiere con la densità associativa – 32 tra cooperative, imprese sociali, centri diurni, associazioni di volontariato – più alta di tutta la città. Le associazioni qui sono dei semi che possono germogliare se trovano un terreno fertile. «Scampia è un territorio in continuo mutamento», racconta Barbara Pierro, presidente dell’associazione Chi Rom e Chi no, nata 2002 come gruppo informale che mette in pratica interventi pedagogici, sociali e interculturali insieme alle comunità rom e italiane nel quartiere di Scampia.

É da un’intuizione dell’associazione che è nato il “Festival delle storie”, all’interno del progetto dell’Ecomuseo Urbano diffuso di Scampia. «Un vero e proprio passaggio di consegne tra le realtà sociali che hanno fatto la storia del territorio, penso al allo storico centro sociale Gridas e le nuove realtà che stanno nascendo. Il Festival si inserisce all’interno del progetto dell’Ecomuseo, un’iniziativa nata alla fine del 2021 ma che di fatto inauguriamo ufficilamente ora, per valorizzare il patrimonio immateriale del quartiere e mettere in relazione tutte le realtà sociali che lo abitano. Per molti anni Scampia è stata una “campagna” ai limiti della città, profondamente segnata dal terremoto in Irpinia dell’Ottanta. É stata un quartiere dormitorio, un luogo dove la camorra si è fatta la guerra tra le strade. Ma Scampia è anche un “laboratorio” del sociale. Con grande, grandissima, identità culturale».

Durante il Festival sono in programma passeggiate nel quartiere, laboratori, incontri itineranti con i cittadini di Scampia, proiezioni e dibattiti alla scoperta del territorio. Ad accompagnare i visitatori gli studenti dell’istituto turistico: «Un viaggio a 360 gradi», dice Pierro, «senza negare anche gli aspetti problematici che vive il quartiere». L'ecomuseo Urbano diffuso di Scampia, ha anche delle istallazioni fisiche presso Chikù, uno spazio di sperimentazione pedagogica e gastronomica multiculturale. «Ci sono anche delle istallazioni fisiche», spiega Pirro, «istallazioni a cui hanno lavorato oltre 400 studenti del quartiere. E poi podcast, diari, video che raccontano la nostra storia».

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