Cultura

Stereotipi di genere e disuguaglianze sociali, duri a morire

All’interno del “Festival dello sviluppo sostenibile” oggi a Roma si è tenuto un evento che ha confermato quanto già si sapeva: c'è ancora tanto da fare per mettere sullo stesso piano e garantire pari opportunità a donne e uomini. Alcuni lavori continuano a essere appannaggio delle une o degli altri, e questo spesso va a discapito della qualità dei servizi. Gli stereotipi condizionano (alla base) persino gli algoritmi dell'intelligenza artificiale. Le donne pagano in maggior misura anche l'inquinamento e le fatiche nelle cure dei familiari

di Redazione

Stereotipi di genere e disuguaglianze sociali continuano a resistere allo scorrere del tempo, nonostante gli evidenti passi avanti compiuti negli ultimi decenni. Il dramma è che Internet e i social media non contribuiscono a migliorare la situazione più di tanto. Anzi, il mondo della rete e dell’intelligenza artificiale sono lo specchio della società e riflettono, perpetuano e addirittura amplificano l’esistente. In fondo, già un’indagine dell’Istat, condotta nel 2018 con il dipartimento delle Pari opportunità, rilevava che il 59% della popolazione italiana tra i 18 e i 74 anni, senza particolari differenze tra uomini e donne, si ritrovava (molto o abbastanza) d’accordo con almeno una delle seguenti affermazioni: “Per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”; “Gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”; “È l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Il 22% si diceva molto d’accordo. Di fronte al perdurare degli stereotipi di genere, Forum Disuguaglianze e Diversità e Asvis hanno proposto questa mattina a Roma un evento all’interno del “Festival dello sviluppo sostenibile”, per analizzare la situazione, individuare le radici culturali, storiche, economiche e sociali che impediscono una piena parità tra uomini e donne, e quindi per valutare le azioni e le politiche di contrasto.



Strategico il ruolo dell’educazione e della formazione sin dalla scuola dell’infanzia. È richiesta un’attenzione al linguaggio e alla rappresentazione dei generi nei libri di testo, dove ancora gli uomini svolgono tantissime professioni, mentre le donne troppo spesso sono maestre o svolgono ruoli di cura. In Italia, pur essendoci nella fascia tra i 30-34 anni il 33,3% di laureate rispetto al 20,4% di laureati, il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce in un concreto vantaggio sul mercato del lavoro, per lo meno in molti settori: il tasso di occupazione femminile è più basso di quello maschile di 19 punti percentuali e si riscontra ancora un basso tasso di donne laureate nelle discipline Stem (il 17,6% contro il 33,7% degli uomini laureati). Nei risultati in matematica e scienze i divari di genere spesso si saldano con quelli territoriali e socio-economici: i punteggi più bassi per le studentesse si rilevano in Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria, Basilicata e Puglia. Non a caso, il Pnrr individua nel potenziamento dell’insegnamento delle materie Stem nei diversi cicli scolastici uno degli assi del percorso per la parità. Ma oggi è stata richiamata la segregazione formativa anche per gli uomini: sono troppo pochi quelli che decidono di formarsi in ruoli educativi e di cura, e questo si riflette poi nel numero basso di insegnanti uomini nelle scuole: quella italiana è la scuola più rosa d’Europa.

Gli stereotipi condizionano persino gli algoritmi, che si nutrono di dati: nel processo di raccolta e selezione si possono celare molteplici stereotipi e tendenze nei processi di reclutamento, nella diagnostica medica, nei motori di ricerca. Nei nuovi modelli di intelligenza artificiale generativa, come il discusso ChatGpt4, l’algoritmo può catturare e riprodurre categorizzazioni esistenti nei dati, poi ripetutamente rinforzate dalla loro reiterazione. Le soluzioni? La sensibilizzazione degli utenti legata alla trasparenza e al rafforzamento dei controlli; maggiori responsabilità da parte di chi realizza e sviluppa gli algoritmi; di conseguenza, una stringente regolamentazione. Occorre, dunque, progettare standard su cui testare e sviluppare gli algoritmi e, prima ancora, per valutare la qualità dei dataset da cui i sistemi imparano e si addestrano. Sul secondo aspetto, il punto di partenza è certamente l’aumento della presenza delle donne nei gruppi di lavoro che progettano, istruiscono e monitorano modelli di elaborazione di dati e algoritmi, possibilmente coinvolgendo gli stakeholder interessati, come le organizzazioni che si occupano di parità di genere e gli utenti finali. Sarà interessante scoprire la proposta legislativa che il Parlamento europeo approverà a metà giugno, volta a regolamentare l’intelligenza artificiale con una serie di obblighi per i produttori, requisiti di trasparenza e sanzioni. L’impatto di questo regolamento dipenderà dalla sua implementazione e da come potrà interagire o adattarsi con l’evolvere delle tecnologie e l’emergere di nuovi rischi.

Anche l’impatto dei cambiamenti climatici non è lo stesso per uomini e donne. Queste ultime rappresentano il 70% dei poveri del mondo (1,3 miliardi di persone) e dipendono in misura maggiore per il proprio sostentamento dalle risorse naturali. Le donne soffrono maggiormente la scarsità di acqua, l’impoverimento delle terre, l’inquinamento e i fenomeni climatici estremi, che possono portare, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, a peggioramenti più acuti della salute mentale, a violenze domestiche e a una minore sicurezza alimentare. A livello globale, l’80% degli sfollati a causa di disastri ambientali sono donne.

Spesso le donne arrivano al terzo tempo della vita in condizioni di salute peggiori, anche a causa della grande quantità di lavoro, anche di cura, che hanno svolto. A fronte del numero di anziani che cresce (l’ultimo censimento Istat dice che gli over 65 rappresentano il 23,5% del totale: entro il 2050 questa percentuale potrebbe raggiungere il 34,9%), l’assistenza a questa fascia di popolazione è quindi una priorità sociale che investe milioni di famiglie. E di donne: sono loro a prestare in grande maggioranza assistenza familiare agli anziani nel nostro Paese. Nelle Rsa la prevalenza femminile è decisamente ampia, sia tra gli ospiti delle strutture che tra gli operatori.

Il Forum DD è una delle organizzazioni che sostengono il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza e la riforma del settore, la cui attuazione sarà realizzata dal governo attraverso i decreti delegati entro gennaio 2024. Tra gli obiettivi quello di programmare, realizzare e monitorare in modo integrato l’insieme degli interventi del settore in modo da assicurare risposte unitarie e adeguate per i servizi di assistenza pubblica agli anziani non autosufficienti e di affiancamento e supporto ai loro familiari. La riforma mira a garantire un sostegno efficace e personalizzato a tutti coloro che si trovano ad affrontare difficoltà ma anche per affiancare le loro famiglie e ridurre il carico di cura, in particolare sulle donne. Sarà indispensabile declinare bisogni e interventi in funzione delle differenze di genere, sia per quelli integrati in ambito sociosanitario (con una particolare attenzione alla medicina di genere) che per quelli degli ambiti relazionali e di socializzazione.

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