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Noi, attivisti-scienziati, sui fiumi dell’alluvione

Cittadini e ricercatori assieme: è la "citizen science" o scienza partecipata. In Emilia Romagna, molti di loro erano impegnati nell'osservazione dei corsi d'acqua. Dal 21 al 24 aprile, nella provincia di Bologna, è stato organizzato un "water blitz", per monitorarne il più possibile, campionando fiumi e torrenti. Ora, tutto è cambiato. E bisognerà trovare la forza di ricominciare da capo

di Elisa Cozzarini

La citizen science è una particolare forma di ecoattivismo, sempre più diffusa, che nasce dall'alleanza tra ricercatori e cittadini. È una formula vincente perché consente di raccogliere molti dati a un costo ridotto e crea un legame tra scienza, cittadini e territorio. Partecipare è facile, non serve essere esperti. Le persone si appassionano, si sentono parte di una comunità che si prende cura del luogo in cui vive. Abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni volontari attivi in Emilia Romagna, proprio sul monitoraggio delle acque, nei luoghi colpiti dalla tragica alluvione di questi giorni.

Plastica, qualità dell’aria e dell’acqua, inquinamento acustico e luminoso, biodiversità, classificazione delle galassie, rilevamento di terremoti: sono alcuni degli oggetti di studio della citizen science, un metodo di ricerca sempre più diffuso, capace di creare un ponte tra scienziati, cittadini, territorio e istituzioni. «La citizen science, o scienza partecipata, è il coinvolgimento attivo dei cittadini nella raccolta, analisi e interpretazione di dati a fini scientifici», così la definisce l'Associazione Citizen Science Italia Ets, nata lo scorso febbraio a Roma, con sede presso il Museo di Storia naturale della Maremma a Grosseto. «È un insieme di promettenti iniziative che stanno cambiando il modo con cui la società può interagire con la scienza, contribuendo attivamente a produrre nuova conoscenza».

A dare il via alla nuova associazione, in Italia, è stato un gruppo di dieci scienziati che già da tempo lavorava con questo metodo, mettendo in rete università, centri di ricerca, musei, associazioni ed enti pubblici. «La sfida, per un buon progetto di citizen science, è individuare un metodo scientifico semplificato, che anche i non esperti possano usare con facilità», spiega Bruna Gumiero, docente di Ecologia fluviale all'Università di Bologna, tra i fondatori dell'associazione. «Ma il ruolo della scienza deve rimanere un punto fermo, perché i dati raccolti dai cittadini possano essere utilizzati nella ricerca». C'è un doppio vantaggio: da un lato, la possibilità di raccogliere informazioni a un costo ridotto, dall'altro, far sentire i cittadini partecipi di una ricerca che ha che fare con il loro territorio. Un altro elemento chiave nei progetti di citizen science, infatti, è la collaborazione con le istituzioni. Grazie alla diffusione degli smartphone e alla possibilità di georeferenziazione, oggi queste iniziative si possono realizzare con molta facilità (qui la mappa con tutti i punti in cui è stato effettuato un monitoraggio con il metodo FreshWater Watch)

«Da studiosa dei fiumi, mi sono avvicinata alla citizen science adottando il metodo sviluppato dalla ong Earthwatch Europe per il progetto di monitoraggio globale delle acque dolci, che sono tra gli ecosistemi più minacciati: FreshWater Watch», aggiunge Gumiero. «Le informazioni che raccogliamo grazie all'impegno di piccoli gruppi di cittadini attivi in tutto il mondo entrano a far parte di un database con dati omogenei e comparabili. Questi progetti sono particolarmente efficaci per le scuole, perché permettono ai ragazzi di apprendere il metodo scientifico mettendolo in pratica».

Science citizens, ecco le loro storie

Imparare a conoscere meglio il territorio in cui si vive, prendersene cura ed entrare a far parte di una comunità di cittadini attivi sono le motivazioni della gran parte dei partecipanti alle attività di citizen science, come dimostrano le testimonianze di alcuni volontari impegnati da molto tempo nei monitoraggi delle acque coordinati dalla professoressa Gumiero in Emilia Romagna. Ecco i loro ritratti.

Emanuela Rampiconi, 49 anni, impiegata amministrativa, racconta che si è avvicinata alla citizen science per caso: un pomeriggio, alla Mediateca di San Lazzaro di Savena, dove abita, ha trovato un depliant, si è incuriosita e ha deciso di rispondere all'appello e mettersi in gioco. Da allora sono passati quattro anni e continua a impegnarsi sempre più. «Ho acquisito consapevolezza di quanto mi circonda. Un elemento che mi affascina della citizen science è la sua eterogeneità e trasversalità: noi volontari abbiamo una formazione variegata, facciamo strade diverse, con esperienze diverse, ma collaboriamo per conoscere e salvaguardare il nostro territorio. Inoltre, mi piace sentirmi parte di un progetto internazionale». Emanuela ha iniziato impegnandosi nella raccolta dei campioni per le analisi chimiche delle acque, ma ora fa anche le analisi batteriologiche (per individuare la presenza di Escherichia coli) ed è attiva nel rilievo della vegetazione lungo le rive dei fiumi. È tanto il suo entusiasmo che, a breve, parteciperà alla formazione per il riconoscimento dei macroinvertebrati, indicatori della qualità ecologica dei corsi d'acqua.

Paolo Nanni, bolognese di 63 anni, ha iniziato a partecipare a progetti di citizen science attraverso la Fipsas, Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee. «Sono stato coinvolto perché opero già come guardia ittica volontaria per la vigilanza dell'ambiente fluviale. Da pescatore, frequento da sempre i corsi d'acqua e vedo che non sono trattati in modo degno. Lungo i fiumi si trovano rifiuti di ogni tipo, si scarica di tutto. Questo mi fa male, mi indigna: da qui nasce il mio attivismo, perché ho piacere di passare il mio tempo libero in un ambiente sano», dice. «La citizen science consente di raccogliere dati e fare segnalazioni di eventuali problemi alle autorità. Il tutto con un impegno minimo, che consiste in un paio di uscite di circa un'ora al mese, assieme a un collega, anche lui guardia ittica».

Michele Zucchelli, 39 anni di Budrio, si è avvicinato grazie all'invito di un'amica che già partecipava alle attività sul torrente Idice. Laureato in chimica, è felice di mettere a disposizione le proprie conoscenze in un progetto a vantaggio della comunità. Sin dall'inizio, ha visto nella citizen science la possibilità di «sentirmi "custode" del territorio e di passare del tempo a raccogliere campioni lungo un torrente paesaggisticamente molto bello. È un'esperienza formativa che mi ha permesso di conoscere meglio il bacino dell'Idice e come funziona», afferma. «Considero la citizen science un mezzo e non il fine. Ci permette di avere un contatto diretto con il nostro territorio, invece che farci "raccontare" da altri (con interessi personali o politici) quello che andrebbe fatto. Se ogni cittadino sapesse di cosa c'è realmente bisogno e si assumesse un piccolo compito o una piccola responsabilità, si potrebbero realizzare grandi progetti».

«Trovo personalmente terapeutico l’impegno mensile che permette di passare una giornata a contatto con il fiume e la natura, in un rapporto di cura reciproca», dice Federico Galli, studente di Economia all'Università di Bologna, che partecipa da oltre un anno al monitoraggio del torrente Zena, sempre in Emilia Romagna. Anche lui è stato coinvolto da un'amica e, la prima volta, ha partecipato per curiosità. «Ma la particolarità e la bellezza di quell’esperienza hanno fatto sorgere in me ancora più interesse e da quel momento ho continuato. Sto imparando a osservare l'ambiente da un punto di vista scientifico. Nel tempo, il mio coinvolgimento nel progetto è aumentato, occupandomi anche nell'organizzazione».

Arturo Ciliegi studia Giurisprudenza a Bologna. Si è avvicinato alla citizen science pensando che, con un minimo sforzo, avrebbe potuto contribuire attivamente alla tutela del suo territorio, che da sempre gli sta a cuore. «Siamo un gruppo di amici, ma, al di là del divertimento, portare avanti un progetto con continuità ti fa sentire parte di un'attività di controllo costante: senti che la difesa del fiume dipende anche da te». Potendo, Arturo sarebbe curioso anche di esplorare altri ambiti. «In un mondo che sempre più tende a una specializzazione esasperata della conoscenza, la citizen science può essere una grande occasione per allargare gli orizzonti. Inoltre può migliorare il rapporto dei cittadini con il territorio in cui vivono. Troppo spesso, il sentimento più diffuso è l'impotenza. In campo ambientale, ci si sente di fronte a un disastro annunciato ma ineluttabile, il singolo percepisce che le decisioni fondamentali sono prese senza il suo coinvolgimento. Affidare alle persone comuni la custodia di un piccolo pezzo di territorio, dà la sensazione di essere utile, di essere parte di una rete più vasta di cittadini che periodicamente si tengono aggiornati sullo stato delle acque. Sentirsi coinvolti rinnova anche una fiducia nella scienza, che spesso invece è percepita come incomprensibile, lontana, inumana. La citizen science ci fa proprio toccare la scienza con mano, educandoci al metodo scientifico e riuscendo a umanizzarlo».

I cittadini al servizio della scienza sono organizzati in genere in piccoli gruppi da due o tre persone. Di tanto in tanto, per far conoscere l’attività e coinvolgere nuove persone, si organizzano grandi eventi con dimostrazioni sul campo. Dal 21 al 24 aprile, nella provincia di Bologna è stato organizzato un "water blitz", il cui obiettivo era monitorare il maggior numero possibile di punti lungo i corsi d'acqua: le persone sono andate a campionare fiumi e torrenti vicini o lontani, nei luoghi a cui tengono di più. Ora, dopo la tragica alluvione, tutto è cambiato. Bisognerà trovare la forza di ricominciare da capo.

Per saperne di più

Ultima puntata dell'inchiesta, le altre sono state pubblicate qui:

La foto in apertura, dell'alluvione a Imola (Bo) è di Alessandro Zanoni.

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