Salute
Malati rari: la disuguaglianza è la malattia in più
In Italia ci sono 2 milioni di malati rari. Per avere una diagnosi, ci vogliono ancora 4 anni e l'accesso alle terapie più innovative, che in alcuni casi esistono, è disuguale da una regione all'altra. La prossima sfida? Il passaggio dall'età pediatrica all'età adulta, oggi spesso disastroso. Perché l'aumento della quantità di vita deve andare di pari passo con l'aumento della qualità di vita. Sei esperti indicano le priorità e i nuovi orizzonti per i malati rari
Lo screening neonatale esteso, per restituire futuro sin dal primo giorno di vita. L'accesso ai farmaci, in tutte le regioni. La possibilità di avere accesso vicino a casa a tutte quelle terapie che – al di là dei farmaci – fanno la differenza nella qualità della vita. Un percorso ben disegnato fra l'età pediatrica e quella adulta. Il diritto a realizzare il proprio progetto di vita indipendente. Il diritto al lavoro. Il riconoscimento del caregiver familiare. Una società con uno sguardo diverso, meno stigmatizzante e più accogliente. Sono le sfide, oggi, per chi ha una malattia rara. In Italia sono 2 milioni di persone: le loro storie spesso sono uniche, ma parlano di sogni e bisogni comuni. Sogni e bisogni che chiedono ascolto e risposte. In vista della Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio, abbiamo chiesto a sei esperti quali sono oggi le sfide e le priorità per i malati rari. Ecco le loro risposte.
Francesca Pasinelli
direttore generale di Fondazione Telethon
Grazie alla ricerca, negli ultimi anni per le malattie rare sono state messe a punto cure e terapie. La terapia genica in particolare – la prima arrivata “al letto del paziente”, quella per l’Ada Scid, porta l’impronta proprio di Telethon, essendo stata messa a punto all’interno di un accordo tra Telethon, Ospedale San Raffaele e Gsk – ha cambiato la storia naturale di alcune malattie. Oggi la sfida qual è? «Intanto siamo arrivati alla cura di un numero di malattie che rispetto al numero di malattie rare è ancora un goccia nel mare», dice Francesca Pasinelli, direttore generale di Fondazione Telethon. «I risultati raggiunti in questo senso sono straordinari perché quelle terapie trasformano davvero il percorso della malattia e la vita dei pazienti, però sono ancora poche. In questo senso la Giornata delle Malattie Rare è sempre importante perché ci ricorda sempre che nonostante i progressi c’è ancora moltissima strada da fare e il percorso è ancora lungo e faticoso».
Telethon oggi sta dialogando con le strutture regolatorie per mettere a punto un nuovo percorso regolatorio per questi farmaci: «Finora abbiamo sviluppato queste terapie “in serie”, prima una e poi altra, seguendo i processi di sviluppo del farmaco imposti dagli enti regolatori, che erano gli unici possibili allo stato di conoscenza che avevano quando abbiamo mosso i primi passi in questo campo. In virtù delle conoscenze che abbiamo maturato, però, ora stiamo proponendo un percorso diverso, che permetta di portare avanti in parallelo la terapia per più malattie, secondo un modello che va ad ottimizzare la piattaforma tecnologica usata per le terapie già autorizzate, sfruttando al massimo gli elementi comuni. L’iter risulterebbe accelerato. Intendiamo continuare con ancor più energia su questo», spiega Pasinelli.
In vista della Giornata Mondiale delle Malattie Rare del 28 febbraio, Fondazione Telethon ha annunciato i vincitori dell’ultimo bando del 2022: sono 35 progetti di eccellenza, finanziati con 5 milioni e 270mila euro, raccolti grazie alla generostià degli italiani. Una quota significativa delle risorse andrà a progetti che indagano i meccanismi di malattie genetiche tuttora prive di un trattamento specifico, ma non mancano anche progetti già focalizzati su potenziali approcci terapeutici. L’assegnazione di una nuova tranche di fondi arriverà in estate. Nella sua storia, Telethon ha investito in ricerca 623,69 milioni di euro, finanziando oltre 2.800 progetti di ricerca: di fatto in Italia Telethon è il principale finanziatore della ricerca sulle malattie rare. Oggi però per la Fondazione si profila una nuova sfida, che riguarda la produzione e commercializzazione delle terapie per le malattie più rare tra le rare. Un tema che Pasinelli aveva già intravisto tre anni fa, quando parlava del rischio che a livello industriale, dopo aver testato efficacemente alcuni meccanismi sulle malattie rare ci si dedicasse a declinare quelle tecnologie su malattie più interessanti dal punto di vista commerciale, lasciando di fatto ancora una volta neglette le malattie rare. «Questo rimante il tema delle malattie rare: anche dove c’è una terapia efficace, essa risulta commercialmente assai poco interessante». Così è capitato che le industrie che avevano in capo la licenza per una terapia, l’abbiano dismessa. «Abbiamo deciso di affrontare questa nuova sfida, in un iter che vede la Fondazione protagonista dalla ricerca allo sviluppo della terapia e dallo sviluppo alla distribuzione. Siamo il primo ente non a scopo di lucro che ha sviluppato terapie. L’obiettivo è quello di garantire che le terapie messe a punto grazie alla generosità degli italiani e con lo sforzo degli scienziati, rispondendo a un bisogno delle comunità di malati, arrivi a chi ne ha bisogno: sarebbe imperdonabile da parte nostra sapere che c’è una terapia e non farla arrivare ai pazienti». Telethon così ha rilevato da Orchard Therapeutics la commercializzazione della terapia genica per l’Ada-Scid, facendosi carico di tutti i costi di gestione e di mantenimento sul mercato e intende intraprendere lo stesso percorso anche per la terapia per la sindrome di Wiskott-Aldrich. «Anche in questo caso l’azienda ha comunicato di voler uscire dal campo delle immunodeficienze. Ci siamo detti che le terapie devono essere disponibili, "costi quel che costi". Questa d’altronde è la ragione per cui siamo nati: delle malattie più diffuse si occupano già in tanti, noi siamo nati dal principio che ogni singola vita conta e che ad ogni singola vita occorre dare risposte e soluzioni», conclude Pasinelli.
Siamo il primo ente non a scopo di lucro che sviluppa terapie. Sarebbe imperdonabile da parte nostra sapere che c’è una terapia e non farla arrivare ai pazienti. Ci siamo detti che le terapie devono essere disponibili, "costi quel che costi". Questa d’altronde è la ragione per cui siamo nati, perché ogni singola vita conta e ad ogni singola vita occorre dare risposte e soluzioni
Francesca Pasinelli, Fondazione Telethon
Annalisa Scopinaro
presidente di Uniamo-Federazione italiana malattie rare
«Per le malattie rare in Italia si è fatto molto e molto rimane ancora da fare», osserva Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare. «Nel corso della campagna #UNIAMOleforze che ha percorso l’Italia durante tutto il mese di febbraio, le richieste che abbiamo portato come pressanti alla politica e alle istituzioni sono state quelle di un miglioramento dei tempi di diagnosi, ad oggi fermi ad una media di oltre 4 anni di ritardo; una presa in carico olistica che tenga conto anche degli aspetti sociali, lavorativi, scolastici e di tempo libero delle persone e non solo della parte sanitaria; investimenti e facilitazioni per la ricerca, che rappresenta il nostro futuro; la possibilità di un accesso rapido a cure, trattamenti, terapie, ausili, con l’opportunità di avere cure dal domicilio ai centri di alta specializzazione. Il nuovo Piano Nazionale dovrebbe garantire alcuni miglioramenti, occorre che sia finanziato perché possano essere raggiunti velocemente».
Andrea Bartuli
responsabile dell’Unità Operativa Complessa Malattie Rare e Genetica Medica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Irccs
Guardando la quotidianità, i percorsi e la presa in carico, ci sono bisogni diversi a seconda che la persona abbia o non abbia già in mano una diagnosi e poi ci sono bisogni comuni a tutti, che riguardano l’accesso alle cure e alle terapie e i paracaduti sociali. «Per i pazienti senza diagnosi è importante garantire l’accesso a centri che siano in grado di realizzare procedure diagnostiche di next-generation sequencing: un tempo infatti eravamo costretti a cercare le malattie rare una alla volta, mentre oggi è possibile ricercare interi pannelli di geni o addirittura studiare tutto il genoma umano in un’unica "corsa" di laboratorio», afferma Andrea Bartuli, responsabile dell’Unità operativa complessa malattie rare e genetica medica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. L’ADSL per esempio, una malattia rara che causa la carenza dell'enzima adenilsuccinato liasi, in letteratura era descritta come una malattia che causa malformazioni cerebrali, un’epilessia intrattabile e la morte nel primo anno di vita. Al Bambino Gesù invece l’hanno diagnosticata a una ragazza ben oltre l'anno di vita e che ha sì un’epilessia, ma rispondente ai farmaci: «È una ADSL in forma mild che nessuno aveva mai sospettato e che abbiamo diagnosticato grazie allla next-generation sequencing. In questo modo, studiando altri casi, siamo arrivati a descrivere forme di ADSL che si manifestano con solo un ritardo del linguaggio. È la stessa malattia, con una mutazione sullo stesso gene, ma le manifestazioni cliniche sono estremamente diverse. Sapere tutto questo ci consente di comprendere meglio i meccanismi della malattia e di capire meglio come intervenire meglio farmacologicamente», spiega Bartuli.
Il Bambino Gesù tratta ogni anno 25mila pazienti con malattie rare, di cui 3-4mila arrivano senza una diagnosi. Il 40% dei pazienti viene da fuori regione. L'ospedale è riconosciuto come “centro esperto” per 20 delle 24 reti europee esistenti sulle malattie rare (Ern): le quattro mancanti riguardano in maniera specifica una popolazione adulta. Sono 6mila le persone qui trattate con farmaci orfani e un centinaio quelle arruolate in trial per nuove terapie. «In sostanza, un terzo dell’attività di ricovero e day hospital del Bambino Gesù riguarda pazienti con malattie rare», sottolinea Bartuli. L'Ospedale da qualche anno ha avviato un percorso dedicato a chi è ancora segna diagnosi, che mette in comunicazione diretta i pazienti con l'ambulatorio: «Fra il 2016 e il 2021 abbiamo discusso 1.670 casi, di cui 400 solo nel 2021. Il tasso diagnostico è di oltre il 60%».
Per i pazienti che hanno già una diagnosi, c’è invece la necessità di poter accedere al percorso dedicato in modo semplice: «Noi abbiamo inserito sul portale, nella pagina della mia Unità operativa, i nomi dei medici referenti per le singole condizioni o gruppi di condizione, in modo che il paziente possa rivolgersi direttamente dal medico esperto, al’interno di un percorso validato, basato su evidenze mediche e condiviso con le associazioni di riferimento: questo permette ai pazienti di entrare nelle reti Ern e di beneficiare di tutte le più avanzate attività di ricerca», spiega Bartuli. L'ultimo percorso che è stato inserito è quello dedicato alla sindrome di Kabuki, che ha un'incidenza di 1:32mila.
Un terzo dell’attività di ricovero e day hospital del Bambino Gesù riguarda pazienti con malattie rare. In Italia oggi esiste una notevole disparità tra le regioni, così può succedere che un paziente che risiede in una regione abbia l’erogazione del farmaco e un altro che risiede in un’altra regione no. Anche tra i nostri stessi pazienti.
Andrea Bartuli, OPBG
Un altro bisogno è l'accesso rapido ai farmaci che vengono ritenuti efficaci o addirittura proposti ex novo per le malattie rare: «Questo è un aspetto molto importante perché in Italia oggi esiste una notevole disparità tra le regioni, così può succedere che, quando un farmaco non ha ancora l'approvazione definitiva, una regione autorizzi l’erogazione e un'altra no. Per alcuni farmaci è capitato anche che la Regione Lazio abbia approvato l’erogazione e il rimborso per nostri pazienti residenti in Lazio e non per pazienti sempre seguiti da noi ma con la residenza in un’altra regione». "Che si fa?", chiedo. «Che vuole fare? Alcune famiglie arrivano a cambiare residenza». Altro capitolo, l’accesso alle terapie di sostegno come la logopedia o la riabilitazione e l’accesso a tutti i "paracaduti sociali”: «Questo è un altro grande bisogno perché anche qui c’è grande disparità tra regione e regione, le spese a carico della famiglia sono ingenti e mentre nel Nord con vari strumenti si arriva a coprire il 40-50%, al Sud la copertura da parte del pubblico si ferma al 20%, tutto il resto è a carico delle famiglie. Alcune regioni inoltre utilizzano l’Isee, come se il grado di bisogno cambiasse», denuncia Bartuli.
Per molte malattie stiamo andando per la prima volta incontro all’età adulta e non sappiamo esattamente come sarà l'evoluzione della malattia. Il momento della transizione dall’età pediatrica all’età adulta per molti pazienti però è drammatico, perché l’adulto con malattia rare si trova “affogato” nel percorso delle malattie croniche dovute all'invecchiamento, così moltissimi adulti tornano a rivolgersi all'ospedale pediatrico. C’è bisogno di un percorso ben disegnato che accompagni il paziente dalla pediatria all’età adulta
Andrea Bartuli, OPBG
Un’ultima sfida deriva dal fatto che, grazie ai progressi nella diagnosi e nelle terapie, anche per le malattie rare si muore sempre meno. «È una nuova fase. Per molte malattie stiamo andando incontro all’età adulta e non sappiamo ancora esattamente come sarà l'evoluzione della malattia. Il momento della transizione dall’età pediatrica all’età adulta per molti pazienti però è drammatico, perché l’adulto con malattia rare si trova “affogato” nel percorso delle malattie croniche dovute all'invecchiamento, così che moltissimi adulti con malattie rare il più delle volte tornano all’ospedale pediatrico. C’è bisogno di un percorso ben disegnato che accompagni il paziente dalla pediatria all’età adulta, misurando la qualità della vita del paziente prima, durante e dopo il trasferimento, prevedendo strette collaborazioni medici pediatri e medici per adulti. Stiamo parlando di 2 milioni di pazienti con malattie rare in Italia, di cui il 70% in età pediatrica: facciamo rapidamente il conto di cosa succederà nei prossimi anni se non ci prepariamo…».
Ilaria Ciancaleoni Bartoli
direttrice di Osservatorio malattie rare-OMaR
«La sfida alle malattie rare si vince partendo dalla diagnosi. Dopo ci sono tantissimi ambiti in cui agire, ma prima di tutto viene la diagnosi. Oggi ci sono terapie che permettono di evitare la disabilità, in alcuni casi è possibile bloccare del tutto la patologie e in altri casi è comunque possibile migliorare la qualità della vita. Per questo l’allargamento dello screening neonatale è fondamentale», afferma Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice di OMaR. Su 10mila malattie rare, l’80% ha un’origine genetica: significa che la malattia è già presente alla nascita. «Oggi in Italia, con lo screening neonatale metabolico allargato che è stato introdotto nel 2016 con la L. 167, su tutti i neonati ricerchiamo 48 patologie. Siamo secondi in Europa. Basta un test semplicissimo, da fare al neonato con poche gocce di sangue. Per tutte queste patologie c’è la possibilità di intervenire precocemente con una terapia, una dieta, in alcuni casi anche con la terapie genica». Il fatto però è che già oggi, a sei anni dall’entrata in vigore della legge 167, grazie ai progressi scientifici, ci sono almeno altre dieci patologie che dovrebbero essere inserite nello screening perché hanno un test valido e una terapia efficace. Per molte sono già stati realizzati anche screening pilota in alcune regioni d’Italia, ma è solo con l’inserimento nel panel nazionale che si potrà garantire a tutti i bambini che nascono in Italia le stesse opportunità di diagnosi e di cura. «La legge prevede che la lista delle malattie da inserire nello screening neonatale fosse aggiornata ogni due anni. Il comitato del ministero della Salute ci ha lavorato – l'aggiornamento del panel doveva arrivare entro giugno 2021 – ma un decreto ancora non c’è. Ogni giorno di ritardo nell’implementazione della Legge 167 può letteralmente costare la vita o la salute un bambino, che potrebbe essere diagnosticato e curato e invece non lo è», precisa Ciancaleoni Bartoli.
OMaR, con il patrocinio di Fondazione Telethon, ha appena realizzato il “Quaderno SNE 2023”, in cui fa il punto sulla situazione. Oltre alle malattie di Fabry, Gaucher, Pompe, mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I), atrofia muscolare spinale (SMA), immunodeficienza ADA–SCID e adrenoleucodistrofia X-linked (X–ALD), che già nel 2020 avevano tutte le carte in regola, si aggiungono l’immunodeficienza PNP–SCID, le altre immunodeficienze rilevabili con test TREC/KREC e la sindrome adrenogenitale. In questi anni, sul tema dello screening neonatale esteso, alcune regioni – consapevoli del valore di questa misura – si sono mosse da sole. Sedici regioni hanno attivato autonomamente almeno un programma di screening: la Puglia ricerca già 10 malattie più di quelle del panel nazionale, l’Abruzzo ne cerca 7, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana ne cercano altre 5, il Trentino 4, la Lombardia e la Liguria 2, il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Campania e la Sicilia uno. Diversi anche i progetti pilota in fase di avvio. Le cinque regioni senza progetti attivi né imminenti sono Emilia Romagna, Umbria, Molise, Calabria e Sardegna. «Per la Sma o mucopolisaccaridosi di tipo I, che sono entrambe mortali, lo screening neonatale e il successivo trattamento precoce, one shot, è così efficace che i bambini poi fanno una vita pressoché normale. Queste sono due delle patologie che devono entrare con urgenza nel panel, il più velocemente possibile», ribadisce Ciancaleoni Bartoli.
La legge prevede che la lista delle malattie da inserire nello screening neonatale esteso sia aggiornata ogni due anni. L'aggiornamento doveva arrivare entro giugno 2021, ma un decreto ancora non c’è. Ogni giorno di ritardo nell’implementazione può letteralmente costare la vita o la salute un bambino. La diagnosi di una malattia rara è ancora questione di fortuna, ma questa non è parità di diritti. Per questo guardiamo con molta paura all'autonomia differenziata
Ilaria Ciancaleoni Bartoli, OMaR
Anche lei cita la necessità di prevedere l’analisi dell’esoma «che ormai si fa con 500 euro, i grandi centri lo fanno ma tanti altri no perché non è ancora coperto dai Lea» e l'importanza di formare i pediatri e i medici di medicina generale sui campanelli d'allarme, per inviare tempestivamente i pazienti ai centri di riferimento: «Ancora troppo spesso i pazienti ci arrivano da soli, perché hanno letto qualcosa su internet. La diagnosi di una malattia rara è ancora questione di fortuna, ma questa non è parità di diritti», afferma. E poi la presa in carico, di cui si parla anche nel nuovo Piano Nazionale Malattie Rare, che pochissimi giorni fa ha avuto un prima "via libera" ma che al momento è a zero risorse: «ll cambio di passo si avrebbe con il riordino delle reti, con un nuovo accredito per i Centri di riferimento e il loro monitoraggio. Serve una svolta anche nella presa in carico domiciliare perché il paziente con malattia rara non sta in ospedale tutta la vita, ma cronicizza e sta a casa: per la diagnosi puoi andare lontano, ma la vita di tutti i giorni devi farla a casa. Poi c’è la transizione dall’età pediatrica a quella adulta, da organizzare meglio. E tutte le questioni che toccano le persone con una malattie rare come quelle con una disabilità: la mobilità, l’accessibilità, il diritto allo studio e al lavoro, le tabelle Inps per il riconoscimento dell’invalidità vecchie di trent’anni, l’invisibilità di certe malattie rare…». Le diseguaglianze che vivono le persone con malattie rare sono però il grande cruccio di Ciancaleoni Bartoli: «Già oggi 5 persone con la stessa malattia, in 5 regioni diverse hanno trattamenti diversi. Queste disuguaglianze sono da combattere. Per questo guardiamo con molta paura all'autonomia differenziata».
Patrizia Ceccarani
direttore Tecnico Scientifico di Fondazione Lega del Filo d’Oro
Ci sono malattie che prendono il nome dal medico che le ha scoperte, come la sindrome di Usher, o che riassumono in una sigla le malformazioni che comportano, come la sindrome di Charge. Altre si limitano a indicare il gene che ha subito la mutazione, per esempio SCN8A o ALG3. La Lega del Filo d’Oro le incontra quotidianamente, poiché le malattie rare sono diventate la prima causa di sordocecità e di pluriminorazione psicosensoriale: fra gli utenti che arrivano da tutta Italia al Centro Diagnostico di Osimo, uno su due (il 53%) ha una sindrome rara. «Oggi la sordocecità e la pluriminorazione psicosensoriale sono causate sempre più frequentemente da prematurità e da malattie rare. Si tratta di disabilità complesse, in cui la minorazione sensoriale si affianca ad altre disabilità. La Fondazione ha un’esperienza pluridecennale in questo campo, ma dietro la stessa diagnosi ci sono sintomatologie, caratteristiche e situazioni di partenza molto diverse», spiega Patrizia Ceccarani, direttore Tecnico Scientifico di Fondazione Lega del Filo d’Oro e membro del Comitato Scientifico del progetto “Scienza partecipata”, recentemente avviato dall’Istituto Superiore di Sanità per diffondere la conoscenza delle malattie rare e raccogliere idee concrete per migliorare la vita quotidiana di chi ne è affetto. «Quello che fa la differenza nella presa in carico di queste patologie è la metodologia: alla Lega del Filo d’Oro si basa su un approccio specifico volto ad insegnare agli utenti, attraverso programmi di riabilitazione personalizzati, ad utilizzare le loro potenzialità e abilità residue per fornire la miglior risposta alle loro esigenze individuali. Il nostro obiettivo primario rimane sempre quello di raggiungere il prima possibile le persone e prenderle in carico nel miglior modo possibile, con un approccio globale e interdisciplinare, con un progetto educativo-riabilitativo “su misura” di ciascuno».
Per realizzare concretamente questa missione, la Lega del Filo d’Oro si muove lungo tre direttrici. Una è «stare sempre di più nei tavoli scientifici e di rappresentanza, sia nazionali che internazionali, da un lato per riportare le esigenze specifiche che queste persone hanno e dall’altro per essere sempre aggiornati su tutte le nuove conoscenze che maturano e tutte le opportunità che si possono offrire», spiega Ceccarani. La seconda riguarda le tecnologie assistive: «Aggiornarsi costantemente sull’offerta di tecnologia assisitiva, facendo ricerca su come essa possa essere utilizzata con le persone con sordocecità o con pluriminorazione psicosensoriale, per far sì che aiuti la comunicazione, i percorsi educativi per lo sviluppo di abilità, l’indipendenza e l’inclusione». Terzo tema, il monitoraggio costante dell’evoluzione dei bisogni delle persone con malattie rare seguite dalla Lega del Filo d’Oro: «Ci sono malattie come la sindrome di Usher che seguiamo da tantissimi anni e di cui abbiamo ben presente l’evoluzione nell'età adulta ma che ora stanno arrivando agli 80 anni, con nuovi bisogni. Per altre invece abbiamo adesso i primi giovani, penso ad esempio alla sindrome di Charge e alla sindrome di Norrie: sono persone che abbiamo accolto da bambini e che ora stanno compiendo 18 anni. Per tutti i nostri utenti è importante fare un'osservazione continua dei bisogni che si vengono a determinare, per innovare i nostri servizi in modo da aiutarli a migliorare le loro competenze e la qualità di vita».
Anita Pallara
presidente di Famiglie SMA
L’atrofia muscolare spinale-Sma è una delle malattie di cui la scienza, negli ultimi anni, è riuscita a cambiare il corso naturale. In passato comunicare una diagnosi di Sma1 era come comunicare una diagnosi di morte prima dei due anni, mentre oggi ci sono ben tre terapie efficaci che, se fatte prima della comparsa dei sintomi, non solo fanno la differenza tra la vita e la morte ma addirittura permettono uno sviluppo motorio del tutto paragonabile a quello dei bambini senza la malattia. La Sma è una delle dieci malattie rare che attende di essere aggiunta al panel delle malattie da ricercare su tutti i neonati d’Italia, al momento della nascita: nei progetti pilota realizzati in Lazio e Toscana sono stati intercettati e diagnosticati 18 bambini, che grazie alla diagnosi e al trattamento precoce ora stanno bene. «In generale per noi persone con malattie rare il vero cambio di paradigma è mettere al centro la persona e non solo la patologia», afferma Anita Pallara, presidente di Famiglie SMA. «Per noi di Famiglie Sma, nello specifico, una assoluta priorità è estendere lo screening neonatale su tutto il territorio nazionale, nel più breve tempo possibile. Lo aspettiamo dal 2019 e non vediamo più motivi perché non avvenga. l dati dei progetti pilota certificano che se si interviene in maniera precoce la malattia ha davvero un’evoluzione completamente diversa ma la situazione attuale crea davvero una inaccettabile disparità sul territorio nazionale, che va in direzione contraria alla Costituzione», sottolinea. Un altro tema è il riconoscimento della figura del caregiver e la valorizzazione dei progetti di vita indipendente, in tutte le regioni, «perché l'aumento della quantità di vita deve andare di pari passo con l'aumento della qualità della vita».
Una assoluta priorità è estendere lo screening neonatale su tutto il territorio nazionale, nel più breve tempo possibile. La situazione attuale crea una inaccettabile disparità sul territorio nazionale, in direzione contraria alla Costituzione. E poi i progetti di vita indipendente, perché l'aumento della quantità di vita deve andare di pari passo con l'aumento della qualità della vita
Anita Pallara, Famiglie Sma
I numeri e il contesto
Una malattia si definisce "rara" quando la sua prevalenza, ossia il numero di casi presenti in una data popolazione, non supera una certa soglia: per l’Unione europea parliamo dello 0,05% della popolazione, cioè di una malattia che colpisce non più di 1 persona ogni 2mila. Le malattie rare conosciute e diagnosticate sono circa 10mila, ma il loro numero cresce con l’avanzare della ricerca genetica. I malati rari in Europa sono circa 30 milioni e in Italia circa 2 milioni: nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica.
Dopo il Testo Unico sulle Malattie Rare approvato definitivamente a novembre 2021, il 21 febbraio 2023 il Comitato Nazionale Malattie Rare (CoNaMr) ha licenziato il testo finale del nuovo Piano Nazionale Malattie Rare per gli anni 2023-2025: quello precedente era scaduto nel 2016. L'iter di approvazione del Piano prosegue ora con il passaggio in Conferenza Stato-Regioni. Marcello Gemmato (FdI), sottosegretario di Stato alla Salute con delega alle Malattie Rare Ora si è impegnato a trovare «le risorse necessarie a dare piena attuazione a quanto dettagliato nel Piano, che affronta in modo diretto e preciso gli obiettivi su diagnosi, trattamenti, formazione e informazione per migliorare il più possibile la qualità di vita delle persone con malattia rara».
In foto Gabriele con un'operatrice dalla Lega del Filo d'Oro. Gabriele è nato prematuro, di soli 676 grammi e ha trascorso tutto il suo primo anno di vita in ospedale. Solo in seguito si è scoperto che ha anche una sindrome rara. Alla Lega del Filo d’Oro è arrivato nel maggio 2018, a un anno e mezzo, attaccato alla bombola dell’ossigeno: proprio a Osimo si è valutato di toglierla e Gabriele da allora respira autonomamente. Il Centro Diagnostico della Lega del Filo d'Oro da settembre 2022 ha raddoppiato i posti disponibili: ora sono accolte contemporaneamente non più quattro ma ben otto persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali, insieme alle loro famiglie.
Ha collaborato Sabina Pignataro.
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