Sostenibilità
Dalla Sardegna per spalare fango con altri 500 volontari Anpas
Cristian Gitani è il vicepresidente della Sos di Quartu Sant'Elena (Cagliari). Prossimo ai 50 anni, ne ha spesi 28 nel volontariato di protezione civile. Una laurea in ingegneria ambientale e una mini laurea in “disaster manager”, porta l'esperienza maturata nel terremoto in Abruzzo e in tre alluvioni nella sua isola. «Il paradosso: il fango si sta asciugando, adesso serve l'acqua per poterlo raccogliere»
Una laurea in ingegneria civile ambientale, una laurea breve in “disaster manager di protezione civile”, 28 anni di esperienza nelle fila dell’Associazione nazionale pubbliche assistenze – Anpas. E l’immancabile entusiasmo che sorregge i volontari nei momenti più critici. Cristian Gitani, vicepresidente dell’associazione Sos Quartu Sant’Elena, è uno degli operatori di Anpas Sardegna che hanno risposto presente alla chiamata dell’organizzazione nazionale. Con altri 500 volontari Anpas si è unito a quanti già erano impegnati in Emilia Romagna per aiutare la popolazione colpita dal nubifragio dei giorni scorsi. Partito in traghetto con un mezzo dell’associazione e in compagnia dell’esperto collega Roberto Dessotgiu, il viceresponsabile della sezione di protezione civile di Anpas Sardegna da tre giorni è a Forlì.
«Stiamo combattendo con il fango e, paradossalmente, il bel tempo rende tutto più complicato: sole e vento hanno asciugato e indurito questa gigantesca massa di terra e detriti, dunque cerchiamo di ammorbidirla impiegando altra acqua», spiega Gitani. «Uno spreco necessario. Stiamo lavorando dalla mattina alla sera in una tenuta agricola, completamente devastata. I magazzini sono sommersi dal fango, faticosamente stiamo aiutando il proprietario a recuperare le bottiglie del vino che ha prodotto».
Cinquant’anni da compiere a giugno, Gitani lavora per una multinazionale del settore dell’efficientamento energetico. «Mi sono preso una settimana di ferie, rientrerò a casa venerdì. Di più non potevo fare», dice. Ha prestato soccorso sia nel terremoto in Abruzzo del 2009, sia nelle alluvioni che si sono abbattute in Sardegna nel 2004 (Villagrande Strisaili), nel 2008 (Capoterra) e nel 2020 (Bitti). «Tutti eventi terribili, che però avevano dei punti in comune seppure con le specificità dei singoli casi», commenta. «Qui, però, abbiamo trovato una particolarità del tutto nuova. La cosa che più mi ha colpito all’arrivo a Forlì, infatti, è stato vedere la città divisa in due parti distinte: una è completamente integra e all’asciutto, ma quella che sta più a valle e a ridosso del fiume Montone è invasa dal fango che, in alcuni punti, ha raggiunto i dieci metri d’altezza. È ovvio che tutto ciò non è stato provocato dalle sole precipitazioni, pur anomale, e dalla conseguente esondazione dei tre corsi d’acqua del territorio. Anche in questo caso, purtroppo, la gente sta pagando gli effetti dell’incuria e della scarsa manutenzione di canali e altre opere che dovrebbero mitigare gli effetti del maltempo. Insomma, siamo alle solite: la prevenzione è trascurata in buona parte d’Italia. Ci si ricorda di essa soltanto quando accadono disastri come questo».
Anpas si è presentata in forze, dotata di mezzi propri e non solo di uomini con competenze specifiche. A fine settimana si daranno il cambio con i colleghi che arriveranno da tutta l’Italia. «Paragono la proporzione della devastazione di Forlì a quella che avevo visto tre anni fa a Bitti», sottolinea Gitani. «E c’è un altro fatto che mi ha colpito notevolmente: il gran numero di giovani e giovanissimi che sono arrivati dal Nord e dal Sud, isole comprese, a titolo personale. Per dare una mano d’aiuto, armati di pale e stivaloni. Molti di loro si sono messi a disposizione di Anpas e Protezione civile per il semplice piacere di aiutare questa gente. Questo è un aspetto positivo, significa che anche le nuove generazioni conservano lo spirito tipicamente italiano di rimboccarsi le maniche per aiutare la gente in difficoltà. C’è però il rovescio della medaglia, anzi due: da una parte non hanno una copertura assicurativa, dunque sono esposti ancor di più a eventuali rischi in caso di incidente; dall’altra, non sono dotati della necessaria formazione per lavorare in situazioni complesse. Non si può improvvisare, bisogna seguire corsi e periodici aggiornamenti per maturare le dovute competenze. Anche i nostri operatori non vengono inviati subito nei luoghi dei disastri: molti nostri associati avrebbero voluti partire con noi, ma gli abbiamo detto di no. A malincuore, ma consapevoli che non sono ancora sufficientemente pronti. Ecco, a questi ragazzi suggerisco di convogliare la buona volontà e le energie che stanno mostrando verso le organizzazioni che garantiscono la dovuta professionalità».
Mentre parla con noi, Cristian osserva sconsolato la tenuta agricola ormai distrutta. «A naso, credo che ci siano danni per un milione di euro. Mi dispiace per quest’uomo, so bene quanta fatica richiede il lavoro nei campi. Dovrà reimpiantare i vigneti, senza contare i lavori per il ripristino delle strutture. Ma anche lui, come praticamente tutti coloro che sono stati colpiti da una disgrazia del genere, non si ferma a piangersi addosso e lavora da mattina a sera per cercare di tornare alla normalità nei tempi più brevi. La dignità di questa gente è uno degli aspetti che più mi colpiscono in questi frangenti. Mi ha detto: “Che cosa dovrei fare, uccidermi? Preferisco ripartire”. Forse è proprio questa la caratteristica principale degli italiani. Lo si vede soprattutto nei momenti di emergenza vera».
Con le prime bottiglie di vino rosso portate in salvo, il proprietario dell’azienda agricola ha voluto brindare con i due operatori sardi. Occhi lucidi e la fierezza di chi non si arrende di fronte a nulla. «Non possiamo che augurare a lui e a tutta la popolazione di trovare in tempi brevi una soluzione per proseguire l’attività e sostenere le rispettive famiglie. Ma stringe il cuore vedere questa desolazione, non ci si abitua mai».
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