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Il direttore di una scuola russa: «Così resisto alla propaganda»

Oggi il Ministero dell’Istruzione pianifica continui eventi di carattere patriottico, e sta introducendo modifiche nei corsi di storia, che hanno ormai un carattere ideologico. In cosa consiste la resistenza a questa pressione ideologica? Ne parliamo con il direttore di un college privato. I funzionari, ci dice, «pensano che avendo deciso qualcosa nei loro uffici, adesso in tutte le scuole si agisca di conseguenza. Ma non è così: gli insegnanti sono come i gatti (vanno dove gli pare)»

di Alexander Bayanov

In questo anno dall’inizio della guerra, in Russia è stato avviato un processo di brusco cambiamento anche nel campo dell’istruzione. La macchina della propaganda, che non si vergogna di riscrivere la storia del Paese, sta distruggendo il già fragile sistema dell’istruzione. Formulate in qualche caso secondo standard internazionali, sotto i colpi della propaganda e delle sanzioni, con l’interruzione di fatto degli scambi interuniversitari con l’Europa e l’esclusione dal processo di Bologna1, sembra che le deboli gemme di novità che avevamo appena cominciato a sbocciare siano state incenerite e annientate.

Ma il sistema dell’istruzione non è una costruzione astratta: sono persone, presidi, insegnanti, genitori e studenti. Sul modo in cui, nelle tragiche condizioni odierne, continua ad esistere la scuola, abbiamo parlato con il direttore di un college privato di Novosibirsk, “Novocollege”, Serghej Cernyshovyj.

Pensi che l’istruzione abbia a che vedere con l’educazione? Cosa pensi del fatto che l’educazione sia formare un bambino come personalità?

Penso che l’istruzione e l’educazione siano strettamente legate e che non sia possibile dividerle l’una dall’altra. L’educazione è la trasmissione di certi valori. Quali siano questi valori, questo è un altro discorso. Quando un insegnante arriva tardi a lezione, o ti dà amichevolmente del tu, è comunque educazione. Se ti dà del lei, anche questa è educazione. Non si tratta di dire ai bambini “Mettetevi seduti che adesso vi educo”. Se non si grida contro un bambino, questo è un tipo di educazione. Se viene considerato come una persona, anche questa è educazione. L’educazione viene prima di tutto. È proprio così. Adesso nei programmi stabiliti dal Ministero dell’Istruzione, l’educazione è un certo evento, un certo concerto, un certo incontro. I funzionari del Ministero pensano che questa sia l’educazione, e cercano di convincere di questo anche noi.

Oggi il Ministero dell’Istruzione pianifica continui eventi di carattere patriottico, e sta introducendo modifiche nei corsi di storia, che hanno ormai un carattere ideologico. In cosa consiste la resistenza a questa pressione ideologica? Questi eventi, questi contenuti delle lezioni vengono imposti in modo formale: in cosa consiste la resistenza interna? Chiaramente nel non accettare queste norme ideologiche, ma tu non vivi su un altro pianeta, non vivi in un altro Paese. Quindi come si fa?

Fin dove arriva la tua pazienza, fin dove avrai le forze? È più importante resistere attivamente o decidere che è meglio continuare a fare bene il proprio lavoro? Soprattutto in un settore importante come il tuo. Hai dei conflitti interni o no?

A volte ci si immagina la situazione che viviamo come se intorno a noi vagassero demoni e uomini neri, che commissari con elmi polverosi3 stessero sotto le nostre finestre con i mitra imbracciati e noi come eroi, con i raggi sopra la testa facessimo quello che dobbiamo, la resistenza. Ma non è così. Io non sento di partecipare alla resistenza. Immagino che la domanda sorga da tutte le lamentele che scrivono contro di me. Ma attenzione, il preside di una scuola comunale qualunque ne riceve dieci volte di più, solo non ne parla sui social, perché non è nel suo modo di agire. C’è una rubrica su Facebook, che periodicamente conduco, “Si lamentano di noi”: lì per esempio i presidi delle scuole pubbliche non scrivono niente, e così si ha l’impressione che la gente di noi si lamenti e di loro no. Di loro si lamentano molto di più! Essere preside di una scuola pubblica costa molta più fatica e molto più stress che essere preside di un college privato. È davvero così.

Essere preside di una scuola statale in Russia innanzitutto comporta molti più rischi, dal punto di vista del codice penale. Se compri l’asse del water senza seguire il codice degli appalti ti possono condannare a cinque anni di prigione. Succede proprio così e ci sono quelli che lo fanno perché sono un po’ banditi, e quelli che lo fanno per superficialità, e quando sei circondato da degli sciocchi … Dall’alto (l’Assessorato all’istruzione o il Comune) ti inviano continui concorsi, tipo “Il papà, la mamma ed io siamo una famiglia [amichevole, sportiva ecc.]”, te li mandano al mattino e la sera devi già render conto di quello che hai fatto, convocano di continuo riunioni, ti chiedono continuamente cose senza senso, e dal basso ci sono i genitori. Se la scuola è in periferia, di solito si tratta di persone con poca istruzione, che pensano che dobbiamo prenderci cura dei loro figli in tutto, educarli, istruirli e farli anche mangiare a sazietà. Questi genitori si lamentano in continuazione, perfino della temperatura del cibo servito in mensa. Qualcuno presenta una lamentela e cominciano i controlli, arriva l’Associazione per i diritti del consumatore, il Ministero dell’istruzione, i vigili del fuoco …Da questo punto di vista noi viviamo in condizioni protette, abbiamo molti meno genitori di questo tipo, ci sono degli esami di ammissione, la scuola è a pagamento (anche se ci sono delle borse di studio). Le persone che arrivano da noi sono più educate, si comportano meglio.


Possiamo parlare del tuo post su Facebook? Mi ha colpito. Il post era un commento alla proposta di ridare a Volgograd il suo nome precedente, Stalingrado. E tu come sempre conciso e chiaro, ricordi che su questa collina sono morti un milione di soldati… E che nessuno pensa più a questo fatto. È diventata una cosa astratta. E dici che è come se le persone non capissero più la relazione causa- effetto, come se avessero perso la memoria storica. Il risultato della guerra, di qualunque guerra, sono le vittime. La memoria storica include questa frenesia patriottica e, dal punto di vista della società, include i sacrifici che la società ha portato o sta portando sull’altare della guerra. Puoi parlarcene?

L’assenza di memoria storica è anch’essa memoria storica, così come l’assenza di un risultato è anch’essa un risultato. La memoria storica è quell’insieme di narrazioni con cui ci spieghiamo ciò che è successo nel passato. In questo senso, l’idea che siamo stati attaccati, che ci siamo battuti eroicamente a Stalingrado, proprio lì, dove se non li avessimo fermati saremmo stati perduti, è un po’ una distorsione della realtà, ma è una narrazione logica. Ma la memoria storica poi si riversa sul presente. La memoria storica ha la capacità di influenzare il presente, e serve proprio per quello. E allora perché no, oggi abbiamo una seconda Stalingrado. Perché come ha detto il nostro Presidente Vladimir Vladimirovich Putin, è incredibile, ma oggi di nuovo siamo minacciati dai carri armati Leopard con la svastica sul fianco. Questo è un esempio ideale di uso della memoria storica nell’agone politico contemporaneo. La memoria storica non sono fatti, è metaforica, riguarda l’interpretazione. Riguarda il fatto che a partire da un certo numero di fatti casuali bisogna formare una storia logica. Ecco tutto. E i fatti rientrano nel tema tabù del prezzo della vittoria. Il prezzo della vittoria per noi è un tema tabù, anche se in realtà è normale che si parli del prezzo di un determinato risultato. Se il prezzo è più alto del risultato raggiunto, se per esempio io ho avviato una nuova filiale ma per questo ho speso tutte le risorse della mia società e dopo la mia società è fallita, vuol dire che la mia scelta è stata sbagliata. Il prezzo è più alto del risultato conseguito, anche se sei riuscito ad aprire quella filiale. E qui, parlando della vittoria in guerra, è lo stesso: ne valeva la pena? Fa impressione, capisco che sia una questione tabù, ma non viene neppure messo in questione, non importa quante persone sono morte, quello che importa è che abbiamo fermato il nemico.

In questo modo, la situazione in cui si è venuta a trovare l’istruzione in Russia in un modo o nell’altro è legata al processo storico, all’assenza di memoria storica, e questo crea dei rischi reali nel presente, per esempio la guerra in Ucraina. Il passato, che è tabù, con le grida silenziose del popolo, la rivoluzione, la guerra civile, la collettivizzazione forzata, due ondate di terribile carestia, le repressioni staliniane, la seconda guerra mondiale, con decine di milioni di morti, che hanno toccato tutte le famiglie, tutte senza eccezioni, chiede uno sguardo che non censuri, uno sguardo critico da parte dei singoli e di tutto il popolo. Questo lavoro nella società era appena cominciato, ma purtroppo è stato di nuovo interrotto dalla ruota sanguinosa della storia russa. E sembra che non ci sia speranza, ma di persone disposte a farsi carico di questo lavoro, di questa responsabilità, ce ne sono. Ce ne sono sia tra coloro che il regime ha costretto a lasciare il Paese che tra coloro che sono rimasti. Se questo lavoro non verrà fatto, innanzitutto nel campo dell’istruzione e dell’educazione, la Russia si priva del futuro. Perché un terribile passato che si sostituisce al presente non è in grado di mostrare criteri e prospettive per uno sviluppo futuro, per un processo storico futuro.


1 Il Processo di Bologna nasce nel 1999 come accordo intergovernativo di collaborazione nel settore dell’Istruzione superiore, con l’obiettivo di costruire uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore che si basasse su principi e criteri condivi tra i Paesi firmatari.

2 La Prussia orientale, dove è nato, ha vissuto ed è morto Kant, con l’accordo di Potsdam del 1945 è stata ceduta all’Unione Sovietica, e la sua capitale, Koenigsberg, è stata rinominata nel 1946 Kaliningrad.

3 Si tratta di versi del periodo sovietico, sulla guerra civile

4 “Con stupore leggo notizie e giudizi sul fatto se sia possibile o meno tornare a chiamare Stalingrado l’attuale Volgograd. Con stupore, perché siamo passati da Volgograd a giugno dell’anno scorso, in viaggio verso la Georgia. È una città povera, depressa, persa in mezzo alla steppa, altrettanto priva di vita e povera. Prima distrutta fino alle fondamenta, poi ricostruita da zero. È una città in cui, se c’è qualcosa di cui essere orgogliosi, è l’enorme scultura della Patria-madre e il parco che la circonda. Il resto è un nulla senza speranza.

In questa città ti dicono tranquillamente: “Ecco, su quella collina sono morte un milione di persone, e là un altro milione. E qui abbiamo lasciato la casa distrutta di Pavlov, perché le generazioni future si ricordino delle conseguenze della guerra”. Ma queste generazioni future se lo ricordano? La cosa più stupefacente è che queste nuove generazioni non hanno logica, e la città è piena di Z e di “siamo orgogliosi degli eroi”. Qui non c’è nessun “mai più”, ma solo dei “possiamo riuscirci di nuovo”.

Da tutto questo bisogna trarre le conseguenze. Tutti i solenni eventi sulla battaglia di Stalingrado sono diventati da tempo delle fiabe sulla guerra. Napoleone o Hitler, sono della stessa natura. Se qui qualcuno si ricordasse davvero gli orrori della guerra, non sosterrebbero quella in corso, non sfoggerebbero armi nelle parate. Come può lo stesso cittadino di Volgograd che ci dice “qui sono morti a milioni, quella è l’unica casa che è rimasta in piedi dopo la guerra” festeggiare la distruzione di Mariupol’? E dato che il legame causa – effetto è totalmente assente nella popolazione locale, alla città può essere dato qualunque nome, Zarina o Stalingrado. Finché non torna a ragionare e non capisce che di queste “case di Pavlov” adesso ce ne sono a migliaia, quale nome dare alla città non ha nessuna importanza”.

Le foto sono prese dalla pagina Facebook di Sergey Chernyshov. La foto di cover è una foto ironica di eventi militaristici a scuola. Il progetto si chiama Birch People. Dove la memoria storica si gioca non come memoria della guerra, ma come memoria delle betulle.

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