Sostenibilità

«Uccidere un lupo (come in Trentino) è inutile e molto triste»: parola di lupologa

Pochi giorni fa un lupo è stato ucciso in Trentino. Non si è trattato di un investimento accidentale: è stato un colpo di arma da fuoco. «Uccidere un lupo non serve a nulla. È solo un atto di crudeltà», osserva Mia Canestrini che di professione è una zoologa. Anzi, una lupologa. Lei dei lupi ha studiato tutto: quanti sono, come si muovono, cosa li minaccia, come si riproducono, qual è il loro stato di salute e conservazione. Su Vita.it ospitiamo il suo intervento

di Sabina Pignataro

Pochi giorni fa un lupo è stato ucciso in Trentino. Il suo corpo senza vita è stato rinvenuto in località Castel Penede di Nago Torbole. Non si è trattato di un investimento accidentale, come si era ipotizzato in un primo tempo. L’autopsia sulla carcassa dell’animale ha stabilito che ad ucciderlo è stato un colpo di arma da fuoco. Di conseguenza siamo di fronte all’azione di un bracconiere. «Nel grande disegno della natura, nessuno è padrone, e ogni forma di vita viene da un percorso evolutivo antico centinaia di milioni di anni», osserva Mia Canestrini che di professione è una zoologa. Anzi, una lupologa. «Guardata da questa prospettiva, porre fine all’esistenza di un lupo oltre che inutile è di una tristezza infinita: un inutile schiaffo al meraviglioso e radiante percorso della vita sulla Terra»

Mia Canestrini dei lupi ha studiato tutto: quanti sono, come si muovono, cosa li minaccia, come si riproducono, qual è il loro stato di salute e conservazione. Per studiare i lupi, dai 27 ai 36 anni, ha vissuto a Montecagno, un paesino di appena quaranta abitanti, a quasi 2mila metri di quota, in provincia di Reggio Emilia, investigando valli, praterie e dirupi. «Prendendo a testate il muro di ostilità degli allevatori e dei cacciatori, affrontando le prime novità scientifiche, come i lupi predatori di cani, e poi cominciando a scendere verso la collina con le attività di monitoraggio, lì dove i lupi all’inizio di quel decennio avevano già iniziato a insediarsi. Ho iniziato con le analisi genetiche sulla specie, sangue, peli, feci, e ho finito infilando il ciuccio di un biberon nella bocca di un cucciolo di lupo di appena quindici giorni».

«Specializzarmi in modo esclusivo nella conservazione e gestione di una specie tanto popolare è stato divertente, a tratti entusiasmante, ma anche una croce», racconta nel suo libro Nelle terre dei lupi. «I lupi sono animali complessi, perché di fattura estremamente intelligenti, e in grado di affinare la propria comprensione del mondo con l’età. I lupi apprendono, il che li rende sorprendenti da studiare in natura, rende il lavoro di monitoraggio, di per sé ripetitivo, tutt’altro che noioso, e crea innumerevoli stati di ansia. Se i lupi apprendono ciò che è considerato riprovevole dall’uomo sono dolori, perché si tramandano ciò che hanno imparato di generazione in generazione. Impossibile far loro cambiare idea su cosa dovrebbero mangiare, per buona pace degli uomini che con loro condividono la terra: i lupi sono testardi e caparbi. Dotati di grande pazienza e, almeno all’apparenza, di una sofisticata capacità di analisi, sanno districarsi nel mondo trasformato dalla nostra specie e sfruttarlo a loro vantaggio. Noi nel mondo dei lupi dobbiamo ancora imparare a districarci».

Su Vita.it ospitiamo il suo intervento:

«Molti anni fa, un po’ di dati alla mano, si stimò che ogni anno in Italia venissero uccisi alcune centinaia di lupi, a fronte di una popolazione di appena un migliaio, forse più, di esemplari. Un dato impressionante, poiché parliamo di una specie che non ha lo stesso tasso di riproduzione dei topi di campagna, e che può contare, per il proprio incremento democratico, solo su una coppia riproduttiva per ogni branco. Negli ultimi cinquant’anni i lupi sono aumentati: sono passati dai circa trecento esemplari degli anni ’70 agli oltre tremila attuali, nonostante i lacci, i bocconi avvelenati e le fucilate. E nonostante queste attività, che rientrano sotto il cappello del bracconaggio, fossero diventate illegali proprio all’inizio di un decennio che ha segnato anche l’affermazione dell’ambientalismo moderno. Dai primi decreti di protezione del lupo, sull’orlo dell’estinzione, il mondo è cambiato profondamente. Le politiche ambientali si sono evolute verso forme di governance sempre più complesse e integrate, la coscienza collettiva ha preso atto della fragilità del Pianeta e del suo depauperamento, milioni di persone hanno conosciuto il piacere individuale e ristorativo del contatto con la natura, e la scienza ha fatto passi da gigante nel costruire modelli predittivi sui cambiamenti climatici e la crisi di biodiversità. Da popolo in accordo con l’azione di sterminio dei lupi perpetrata per secoli lungo tutta la penisola, ci siamo risvegliati una nazione sensibile al benessere animale e al tema della coesistenza pacifica con le altre specie. Non senza moltissime contraddizioni, ma sta di fatto che la maggior parte degli italiani, oggi, non sarebbe più d’accordo con l’idea di eliminare i lupi, né tutti né in parte, né in Italia né solo in qualche area geografica.

Tuttavia, permane qua come altrove in Europa la sensazione che sulla natura si debba invece esercitare una qualche forma di controllo, che vada domata e piegata ai nostri bisogni, economici se parliamo ad esempio di allevamento, psicologici se parliamo del timore che i lupi ci facciano del male. E così la caccia al lupo continua, in proporzioni sconosciute e inconoscibili: rientrando in una attività totalmente illegale, l’abbattimento di uno o più lupi avviene raramente alla luce del sole, e soprattutto gli animali uccisi vengono generalmente fatti sparire. Il luogo del delitto è del resto spesso impervio, boscoso, poco frequentato e mal si presta a controlli e denunce da parte delle autorità preposte, che non hanno il dono dell’ubiquità. Prima del lupo dello Stelvio è stato un lupo nel matese ad essere ucciso, e poi un lupo in Aspromonte. Punte di un iceberg insondabile per profondità. Il vero dramma è che uccidere un lupo non serve a nulla. E nemmeno ucciderne cento, o duecento, o cinquecento, a fronte di una popolazione attualmente stimata in poco più di tremila esemplari. Non serve a contenere i danni agli allevamenti, che possono essere protetti solo attraverso gli strumenti di prevenzione, o una gestione diversa del bestiame. Non serve a limitare le predazioni sugli ungulati selvatici, il cui numero è in crescita esponenziale da decenni, ed è ben lontano dall’essere contenuto o meno dall’azione predatoria del lupo. Non serve a farci vivere più sicuri, perché per non aver paura dei lupi bisogna un po’ studiare, o semplicemente saper stare al mondo. Uccidere un lupo è solo un atto di crudeltà, che non cambia il mondo di una virgola. Domani altri lupi mangeranno una pecora, un cinghiale o un cane, e incroceranno un escursionista, un fungaiolo o un automobilista sulla loro strada. L’unica arma per convivere con i lupi, nello stesso territorio, è la conoscenza. Chi sono i lupi? Animali territoriali, sociali, intelligenti e opportunisti. Osservano, imparano e si trasmettono le informazioni acquisite. Se hanno la possibilità di conquistare una risorsa alimentare senza fare fatica, si avvicinano alle stalle, alle case di campagna, alle discariche, perfino ai paesi e alle città. Del resto, lo facevano anche i loro antenati decine di migliaia di anni fa, ed è solo grazie a questo processo di iniziale autodomesticazione che oggi abbiamo accanto i nostri adorati cani. Sta a noi adottare comportamenti che favoriscano una coesistenza pacifica: non lasciare carcasse di bestiame a disposizione dei predatori, dare il cibo a cani e gatti ma rimuovere gli avanzi da giardini e cortili, custodire i cani nelle ore notturne e non lasciarli vagare mai da soli, custodire il bestiame al pascolo ma soprattutto ricordare che non siamo padroni di nulla se non delle nostre poche cose, alle quali è dato, come a noi, un tempo finito per esistere. Nel grande disegno della natura, nessuno è padrone, e ogni forma di vita viene da un percorso evolutivo antico centinaia di milioni di anni. Guardata da questa prospettiva, porre fine all’esistenza di un lupo oltre che inutile è di una tristezza infinita: un inutile schiaffo al meraviglioso e radiante percorso della vita sulla Terra».

Mia Canestrini cura la rubrica La Bella e le Bestie per Radio 105, e da alcuni anni è ospite e conduttrice di alcuni programmi Rai, tra questi Il Provinciale in onda il sabato su Rai 2, con Federico Quaranta. Per Piemme, nel 2019, ha pubblicato La ragazza dei lupi, e da poche settimane è tornata in libreria con Nelle terre dei lupi.

In apertura, foto di Milo Weiler-by unsplash

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