Politica
Autonomia differenziata, Viesti: «Ecco perché non funzionerà»
Durante il suo intervento a un dibattito organizzato dalle Acli nazionali, il professore di Economia applicata ha detto che in Italia mancano le tre condizioni fondamentali per un equilibrio tra Stato, Regioni e Comuni: responsabilità ben definite, risorse finanziarie sufficienti per far fronte alla responsabilità, monitoraggio e controllo
«Una buona autonomia non si realizza con un semplice tratto di penna, ha bisogno di tre condizioni: sapere chi fa che cosa, cioè quali sono le responsabilità tra i vari livelli di governo; chi ha la responsabilità deve avere anche le risorse finanziarie sufficienti per far fronte alla responsabilità; c’è infine bisogno di una autonomia a misura dei cittadini, con indicatori molto precisi di monitoraggio e di controllo, perché non possiamo presumere che i responsabili (siano essi nazionali, regionali o comunali) agiscano sempre per il meglio. I diritti dei cittadini non possono essere subordinati sempre e comunque alla qualità dei loro amministratori». Lo ha detto Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari, nel suo intervento al dibattito “Autonomia differenziata: per quale idea di Paese”, che si è tenuto ieri nella sede nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani – Acli per ragionare sulle conseguenze pratiche che l’approvazione del Disegno di legge sull’autonomia differenziata porterà nelle vite degli italiani. All'incontro, partecipavano anche Laura Ronchetti, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi del Molise e il vicepresidente Acli, Antonio Russo, mentre a Emiliano Manfredonia, presidente, erano riservate le conclusioni.
«Non sono centralista, non ho alcuna nostalgia per i prefetti e i podestà, e neppure per il centro che pianifica e decide», ha tenuto a precisare Viesti. «Sono invece molto legato alle autonomie e all’idea di un Paese che si sviluppa anche attraverso le autonomie territoriali, forme di autogoverno delle comunità. Ciò significa differenziare le risposte che si danno ai cittadini e ai diversi problemi».
«Siamo un Paese così diverso che i suoi territori, siano le aree interne, le pianure o le coste, richiedono politiche ben tarate sui luoghi», ha proseguito Viesti. «A questo deve corrispondere una certa responsabilità delle comunità nell’utilizzo delle risorse. Siamo e saremo a lungo in un periodo in cui non avremo tante risorse da scialare, e questo è un bene, perciò abbiamo bisogno di meccanismi che ci assicurino sulla responsabilità delle comunità e delle classi dirigenti sull’utilizzo migliore di queste risorse. Questa autonomia è consentita attraverso una certa organizzazione e un grado di decentramento di poteri e delle responsabilità, una scelta molto importante che fanno tutti i Paesi del mondo, in particolare quelli europei. Sul decentramento non c’è una regola aurea: va scelto dalle comunità nazionali in base alla loro storia. La Francia, per dire, è molto più accentrata della Germania. Pensiamo anche a ciò che è successo in Spagna, nel passaggio dalla dittatura franchista che ha generato le comunità autonome».
«Certamente il decentramento va ben bilanciato, anche in un Paese come la Germania che ha i länder federali, i quali hanno grandi poteri: a questo livello di decentramento corrisponde un fortissimo potere centrale. Tutto si può dire della Germania, tranne che il Governo nazionale non riesca a guidare bene il Paese. Quindi, in Europa abbiamo grandi differenze storiche e istituzionali. Alla luce di questo metterei in guardia sulla circostanza che gli eccessi sono il peggio, in questi ambiti: gli estremi non sono un bene. Ci vuole una buona autonomia».
Il nostro Paese, ha ricordato il professor Viesti, funziona con un grado abbastanza ampio di autonomie che è aumentato negli anni Novanta e successivamente con la riforma del Titolo V. «Possiamo misurare queste autonomie con il peso di Regioni e Comuni sul totale della spesa pubblica. Non è il più ampio in Europa ma non è certamente basso. Tuttavia, nel quadro italiano, le tre condizioni a mio avviso non si verificano: senza arrivare a uno scontro ideologico, non conta ciò che è scritto ma ciò che funziona per davvero. L’esperienza, in particolare dell’ultimo ventennio, non è particolarmente positiva. Abbiamo un’accesissima conflittualità tra lo Stato e le Regioni: il 50% delle sentenze della Corte Costituzionale riguarda proprio questo ambito. Ecco perché le competenze concorrenti devono poter funzionare con una leale collaborazione tra Stato e Regioni. Abbiamo una scarsissima collaborazione orizzontale, in Italia vedo troppe forme pericolose di sovranismo regionale, a tutte le latitudini: i presidenti di molte Regioni, sia a Sud che a Nord, vedono i propri confini come una sorta di recinto all’interno del quale hanno un potere assoluto. Ma se parliamo di siccità e gestione dell’acqua, è un esempio di grande tema che richiede collaborazione tra i vari livelli istituzionali. Vedo ancora un’autonomia troppo sperequata, con le Regioni che schiacciano le autonomie cittadine e hanno un grande potere di controllo, sia normativo che finanziario».
Viesti ha poi fatto l’esempio delle aree vaste di Belluno e Foggia, dove «le rispettive Regioni sono molto distanti da quegli ambiti territoriali. Ci troviamo con un vuoto di capacità di governo in territori che hanno determinate caratteristiche. Vedo un centro che non fa il suo mestiere. Invece, una buona autonomia richiede un centro forte che tiene assieme tutti. La sanità, per esempio, è una materia concorrente: ma nel periodo della pandemia, i cittadini della Lombardia si sono accorti che il loro sistema sanitario era molto differente rispetto a quello del Veneto, cioè era molto più debole. Questo è il frutto di un percorso decisionale della Regione Lombardia che non ha trovato alcuna cornice nazionale. Il Parlamento non ha fatto fronte alle sue responsabilità: avrebbe dovuto disegnare le coordinate d’insieme, nell’ambito delle quali le Regioni avrebbero potuto differenziare il servizio».
Il docente universitario ha poi posto l’accento su un altro problema di cui molto si sta discutendo in questo periodo: «Ci sono ritardi e distorsioni per le risorse, la legge 42 (che definisce le norme per le competenze extrasanitarie delle Regioni) è applicata poco e malissimo, non sono mai stati definiti i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni, cioè gli indicatori riferiti al godimento dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ndr). Ancora più grave è che la sanità sfugge a tutte queste regole generali, in quanto è basata sostanzialmente sulla spesa storica e non sul principio per cui i Lep determinano i fabbisogni: abbiamo i Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr) che sono molti dettagliati ma risultano irrilevanti. Faccio un esempio: in Campania ci sono molti casi di obesità tra la popolazione, eppure mancano delle politiche di contrasto a questo fenomeno. La voce dei cittadini, in un sistema sbilenco, non si può esercitare».
Tutto va male, dunque? No, qualcosa sembra muoversi nella giusta direzione e può essere un segnale che induce all’ottimismo. «Il Parlamento italiano, con la legge di bilancio per il 2022, ha fatto un’operazione di straordinaria importanza: per la prima volta ha definito un Lep per gli asili nido, dicendo che tutti i bambini italiani – indipendentemente dal Comune in cui nascono e vivono per i primi tre anni – hanno diritto a un numero di posti negli asili nido pari a un terzo del numero di bambini per Comune. Questo Livello è stato finanziato con risorse cospicue che vanno ai Comuni che non hanno asili nido, in un capitolo di spesa specifico. Occorre un nuovo protagonismo dal basso, ma non c’è dubbio che si sta scrivendo la storia d’Italia. Chissà se, tra le tante virtù che riscopriamo nel nostro Paese, non ci sia quella di una partecipazione civica basata sull’appartenenza a un destino comune, su un sentimento di comunità nazionale che ormai è diventato profondo».
La foto in apertura è di Remo Casilli/Agenzia Sintesi, mentre la foto di Viesti è un frame del video La secessione dei ricchi, relativo alla presentazione di un libro dello stesso studioso all'Università della Calabria di Rende (Cs).
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