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Oscar: metà delle nomination a storie di disabili

Gli Oscar hanno confermato anche quest'anno il fascino irresistibile esercitato sulla Academy dai personaggi sfotunati. Agli attori impegnati in questo tipo di ruoli metà delle candidature

di Redazione

Un matematico schizofrenico. Un padre ritardato mentale. Una scrittrice divorata dall’Alzheimer. Una ballerina morente. Gli Oscar hanno confermato anche quest’anno il fascino irresistibile esercitato sulla Academy dai personaggi alle prese con devastanti problemi fisici o mentali. Gli attori impegnati in questo tipo di ruoli hanno conquistato quest’anno quasi metà delle candidature disponibili nelle due maggiori categorie di recitazione. La lotta del genio matematico John Nash contro la schizofrenia e’ il tema centrale di ‘A Beatiful Mind’. La splendida interpretazione di Russel Crowe consente agli spettatori di vivere con incredibile immedesimazione gli effetti della schizofrenia sulla mente umana. E’ una situazione che si ripete in ‘Mi Chiamo Sam’ dove Sean Penn impersona con drammatica efficacia un padre ritardato che lotta per la custodia di una figlia che, a sette anni, è già più matura di lui. La lotta contro una malattia inesorabile, stavolta l’Alzheimer, e’ al centro di un’altra performance da Oscar, quella di Judi Dench in ‘Iris’, la storia della famosa scrittrice Iris Murdoch. Anche se il male compare solo nel finale del film, l’impatto emotivo sugli spettatori è poderoso. Nel frenetico ‘Moulin Rouge’, Nicol Kidman interpreta Satine, una ballerina morente. La fine tragica della protagonista, annunciata fin dalla prima scena, diventa la chiave tematica della storia. Anche nei momenti più allegri e scatenati basta un semplice colpo di tosse della danzatrice per ricordare allo spettatore l’inesorabilità della conclusione. Non ci sarà un lieto fine. Il fascino degli Oscar per le disabilità ha radici antiche. Ma negli ultimi anni ha raggiunto livelli senza precedenti. ”E’ diventata una fissazione”, ha osservato un critico. Tra il 1988 e il 1997 la statuetta per il miglior attore è andata quasi ogni anno, con impressionante regolarita’, a ruoli collegati a menomazioni fisiche mentali. La serie venne aperta nel 1988 da Dustin Hoffman con un film, ‘Rain Man’, che aveva fatto scoprire a milioni di persone i terribili effetti dell’autismo. L’anno dopo l’Oscar era stato vinto da Daniel Day-Lewis col commovente ‘Il mio Piede Sinistro’, la storia vera di un cerebroleso. Il 1991 aveva visto il trionfo di Anthony Hopkins e di Hannibal, lo psichiatra cannibale de ‘Il Silenzio degli Innocenti’. L’anno successivo Al Pacino aveva dovuto impersonare un cieco (dopo aver fallito l’impresa nei film de ‘Il Padrino’) per conquistare l’Oscar con ‘Profumo di Donna’. Nel 1993-94 Tom Hanks realizzava la sua storica doppietta interpretando in successione prima un malato di Aids (‘Philadelphia’) e quindi un ritardato mentale (‘Forrest Gump’). Nel 1996 la Academy decretava il trionfo di un altro malato di mente: il pianista di ‘Shine’, interpretato in modo magistrale da Geoffrey Rush. L’anno successivo era Jack Nicholson a portare a casa l’Oscar grazie al ruolo di un altro personaggio alle prese con gravi problemi mentali. Da notare, suprema ironia, che proprio Nicholson aveva dato una straordinaria performance nel 1975 nei panni di un ribelle che finiva in manicomio proprio perché non era pazzo, nell’ indimenticabile ‘Qualcuno Volo’ sul Nido del Cuculo’.


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