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MisterJeremy contro doctor Frankenstein Giù le mani dai geni

Ha portato in tribunale le multinazionali Usa che brevettano super semi e incroci del Dna e ha dichiarato guerra alla nuova corsa all'oro dei cibi manipolati

di Carlotta Jesi

Mentre 50 mila attivisti dei diritti umani, ambiente e commercio equo solidale protestano in questi giorni per le strade di Seattle contro l?Organizzazione Mondiale per il Commercio che decide a porte chiuse gli equilibri commerciali del nuovo Millennio, lui sfida la globalizzazione dal cuore di Washington. Trascinando davanti alla Corte federale le grandi multinazionali dell?industria transgenica accusate di monopolio dal più grande pool di avvocati della storia americana. Che lui pagherà solo in caso di vittoria. E a lui hanno segnalato una schiera di colleghi pronti a lanciare analoghe azioni di anti-trust contro la globalizzazione nel resto del mondo.
Lui è Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends e autore di due libri pubblicati in Italia da Baldini&Castoldi, La fine del Lavoro (1995) e Il Secolo Biotech (1998), che mettono in guardia industrie, governi e persone sui possibili rischi della rivoluzione tecnologica e della globalizzazione.
Perché, professor Rifkin, ha deciso di sferrare il suo attacco all?industria transgenica proprio durante i lavori del vertice dell?Omc a Seattle?
Perché le industrie che oggi controllano il mercato dei prodotti transgenici, Monsanto in testa, grazie alla globalizzazione concentrano nelle loro mani un potere mai visto nella storia del capitalismo. Quello che i dimostranti di Seattle considerano una terribile possibilità ma che, purtroppo, è già una realtà.

Si spieghi meglio
Prendiamo per esempio l?industria dei semi transgenici. Controllata da dieci multinazionali che detengono l?81% dei 29 miliardi di dollari del mercato agrochimico. Prima della rivoluzione biotecnologica, queste industrie producevano soprattutto spray per proteggere le piante dagli insetti e altre erbe infestanti. Oggi hanno trasferito queste proprietà direttamente nel Dna dei semi, come il mais.
Imponendo un super seme sul mercato e soprattutto ai Paesi in via di sviluppo. Cui, di fatto, viene affittato a caro prezzo il Dna di quel seme. Ma solo per una stagione di crescita, distruggendo così un sistema millenario in cui i semi venivano conservati, riutilizzati negli anni a venire e soprattutto condivisi da intere comunità.
Eppure il Programma Alimentare delle Nazioni Unite sostiene che le coltivazioni transgeniche sono il vero strumento con cui combattere carestie e fame nei Paesi in via di sviluppo. Cosa ne pensa?
Che sono molto confusi, oppure non hanno idea di cosa stanno parlando. Innanzitutto perché non basta immettere nuovo cibo sulla piazza per risolvere determinati problemi politici e sociali. Ma soprattutto perché, oltre a semi con una data di scadenza che devono essere ricomprati ogni anno, come i ?Terminator? della Monsanto, bisogna considerare l?inquinamento genetico, la scarsa affidabilità e i rischi per la salute umana che i prodotti geneticamente modificati comportano.

Può farci qualche esempio?
Ogni organismo manipolato geneticamente rappresenta una minaccia per l?ecosistema diversa da quella dei prodotti chimici come gli spray: innanzitutto perché essendo vivi sono più imprevedibili e risulta difficile stabilire come interagiranno con l?ambiente e poi perché a differenza dei prodotti spruzzati sulle piante una volta ogni tanto, le piante transgeniche producono tossine inquinanti 24 ore al giorno, si riproducono e volano in giro durante l?impollinazione creando altre piante inquinanti.
Inoltre, dato che le loro piante sono tolleranti agli erbicidi, i contadini saranno più propensi a spruzzarne per tenere sotto controllo eventuali erbacce che, alla lunga, diventano a loro volta impermeabili agli erbicidi.
E chi pagherà i danni di questo inquinamento agli agricoltori? Chi ne risponderà?
Certo non le compagnie di assicurazione. Che si rifiutano di garantire sugli effetti a lungo termine delle culture transgeniche e al massimo certificano contro i danni al raccolto per una stagione. Perché non si sentono di assicurare un inquinamento biologico di cui non si possono neppure prevedere le dimensioni. E neppure i rischi sulla salute dell?uomo: quando metti un gene dentro al cibo potrebbe essere buono oppure no, ma il vero problema è che si scopre solo dopo che qualcuno l?ha mangiato. Magari avendo una reazione allergica che ancora non sappiamo curare.

Sembra che il rischio siano pronti ad assumerlo gli Stati Uniti. Cosa pensa che succederà dopo Seattle?
Le decisioni dell?Omc, così come quelle di Bruxelles, su questo punto sono irrilevanti. Perché a decidere di non volere cibo transgenico nel piatto sono già stati i consumatori, le persone normali. Quelle che a Wall Street stanno vendendo tutte le loro azioni Monsanto, quelle che in Francia boicottano MacDonald?s e quelli che ha Seattle dimostrano come nell?era di Internet, senza più confini, geografia, diversità culturale e biologica contano ancora qualche cosa. Quelle, insomma, che all?unicità dell?uomo ci tengono e si chiedono che rischi corriamo a cercare di progettare esseri umani perfetti.
Rifiuta, dunque, in toto la rivoluzione biotecnologica?
No, certo. Soprattutto nelle sue applicazioni medico-scientifiche. Ma ricordiamoci che il secolo delle biotecnologie si presenta come un grande patto faustiano: per ogni passo che compiamo nel mondo nuovo, dobbiamo chiederci che prezzo pagheremo. E seceglire che tipo di natura, società e soprattutto esseri umani vogliamo.

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