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Ucraina, Igor Torskyy: «Siamo sopravvissuti, ma ora c’è una stanchezza profonda»

«È come se avessi vissuto un'altra vita», racconta dall'Ucraina Igor Torskyy, coordinatore del collettivo Act for Ukraine. «Prima della guerra mi sentivo un trentenne, ora un novantenne». Con la sua associazione Torskyy organizza le evacuazioni di soggetti fragili e con patologie e raccoglie aiuti umanitari, li divide e poi li distribuisce nelle città dove c’è più bisogno. «L'appoggio», continua, «di tanti volontari e società civile, soprattutto italiana, ci ispira e ci dà la forza per andare avanti»

di Anna Spena

Igor Torskyy, prima dell’inizio della guerra esercitava come medico in Ucraina. Dopo lo scorso 24 febbraio, invece, organizza le evacuazioni di soggetti fragili e con patologie, dall’est all’ovest del Paese fino a fuori i confini. Nell’imprevedibilità della guerra le sue giornate hanno assunto la forma di una quotidianità nuova. Ha fondato ed è il coordinatore del collettivo di Act for Ukraine. L’organizzazione raccoglie aiuti umanitari che arrivano dagli altri Paesi, molti dall’Italia, grazie al Mean – movimento europeo di azione non violenta, li divide e poi li distribuisce nelle città dove c’è più bisogno. «Facciamo distribuzioni soprattutto a a Sumy, Kharkiv, Kherson, Zaporizhia e Donetsk», racconta. Il numero di VITA ora in edicola “Occupy Ucraina” (che potete anche scaricare qui) racconta di una straordinaria mobilitazione umanitaria nata per supportare il Paese e le associaizoni come Act for Ukraine. Una mobilitazione che racconteremo anche dal vivo in un appuntamento il prossimo 20 febbraio.

Igor, come sta?

È una questione profondamente emotiva. Mi sento come una persona che ha vissuto un'altra vita. Prima della guerra mi sentivo un trentenne, ora un novantenne. Sento una stanchezza profonda, anche se non sono in prima linea a combattere. Qui, in Ucraina, sentiamo spesso dire che l'Europa è stanca della guerra. E a me sembra una battuta di cattivo gusto. Ma ci sono anche altri sentimenti.

Quali?

La cosa più importante è la fede nella vittoria. Dobbiamo vincere questa guerra. Non abbiamo il diritto di perdere. Altrimenti, l'impero russo farà di tutto per far sì che l’Ucraina smetta di esistere come nazione. Poi c’è l’orgoglio: noi ucraini – contrariamente a tutto – abbiamo difeso il nostro Paese. Sono orgoglioso di essere ucraino. Ed è qui, in Ucraina, che passa il confine tra il passato imperiale, dove governano i dittatori, e il mondo moderno con la libertà di pensiero e di espressione della volontà.

Come sta il popolo ucraino?

Putin, che voleva conquistarci e dividerci, al contrario ci ha uniti. Certo, per noi è difficile, la guerra ha avuto un impatto negativo su diverse sfere della vita, degli affari e del tempo libero. Con il dolore nel cuore, ricordiamo decine di migliaia di morti e feriti. Intere città sono state distrutte, sono stati distrutti gli ospedali, sono stati saccheggiati i musei. Questa è una guerra vera, terribile. Ma noi crediamo nella vittoria. Preghiamo per la vittoria più rapida e completa. E non siamo disposti ad accettare alcun ultimatum o a cedere parti della nostra madrepatria.

Come lavorate con Act for Ukraine?

Tutti gli ucraini che sono rimasti hanno scelto di contribuire per sostenere il Paese. Dai più giovani agli anziani: i bambini disegnano cartoline, gli scolari preparano torte, i pensionati tessono reti mimetiche. È chiaro che non potevamo restare in disparte. Abbiamo iniziato con l’evacuazione dei soggetti fragili e poi la distribuzione di pacchi con generi di prima necessità per gli sfollati. Con il Mean – Movimento europeo di azione non violenta, che ringrazio, siamo riusciti ad organizzare i campi estivi per i bimbi ucraini che sono stati accolti la scorsa estate in Italia. L’appoggio di tanti volontari e società civile ci ispira e ci dà la forza per andare avanti.

Dove siete presenti?

Cerchiamo di aiutare soprattutto le città in prima linea: Sumy, Kharkiv, Kherson, Zaporizhia, Donetsk. Consegniamo cibo e medicine, anche agli ospedali.

Qual è stata la cosa più dolorosa per lei in questo primo anno di guerra?

Le persone che muoiono ogni giorno. Militari, civili, tutti. Probabilmente, anche in Italia, i cittadini comuni a volte vedono immagini di case o ospedali distrutti. Forse hanno visto le immagini dalla stazione di Kramatorsk, o di Vinnytsia, o recentemente di Dnipro. O forse hanno visto le immagini di Mariupol o di Kharkiv, o ancora di Bakhmut. Prima erano tutte città fiorenti. Ora è tutto un grande dolore… ma, per me personalmente, il dolore più grande è stata la sparatoria sui convogli di auto civili nella regione di Kiev, che ho visto con i miei occhi, subito dopo la liberazione. Immaginate: le persone cercavano di scappare con le loro famiglie, con i loro bambini. E loro, i russi, hanno sparato.

Cosa le permette di continuare a sperare?

Credo e spero che l'Ucraina vincerà e che noi e i nostri figli potranno vivere in un Paese felice e prospero. Senza dubbio, in un'unica famiglia europea. Penso che sia già chiaro a tutti in Europa che abbiamo confermato con il sangue il nostro diritto incondizionato di essere membri dell'Unione Europea. Quest'anno siamo sopravvissuti.

A un anno dall’aggressione della Russia, vi proponiamo una serata (il 20 febbraio, a Milano) per interrogarci su quale sia la pace possibile per l’Ucraina. E per capire cosa possiamo fare noi. Subito. Lo faremo ascoltando le testimonianze dei pacificatori. Ingresso libero sino a esaurimento posti, perciò meglio accreditarsi qui

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