Welfare

Ecco perché la “legge Cutro” sarà dichiarata incostituzionale

Si tratta della legge di conversione del cosidetto D.L Cutro n. 20/2023 che ha limitato i casi di non espellibità del cittadino straniero, ovvero, riducendo i presupposti per il riconoscimento della protezione speciale, riducendo i permessi di soggiorno convertibili in lavoro, regolarizzando l’accoglienza straordinaria dei richiedenti la protezione internazionale con l’eliminazione dei corsi di lingua italiana e l’assistenza legale, aumentando i casi di trattenimento e la durata dello stesso

di Anna Moretti

La legge n. 50/2023 del 5 maggio 2023, di conversione del cd. D.L Cutro n. 20/2023, arriva solo qualche giorno dopo il diffuso spot con cui la Presidente del Consiglio ci informa che il Governo si mette a lavoro il primo maggio, giorno di festa, ecco per chi si occupa del diritto degli immigrati, studiando questa legge, viene da dire non basta lavorare, bisogna lavorare bene.

Cosa significa lavorare bene per un Governo e il suo Parlamento? Quantomeno legiferare nel rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali vigenti nel Paese destinatario di quella legge. Nel caso Italia, ad esempio, legiferare per e non contro la solidarietà politica, economica e sociale, di cui all’ art. 2 della Cost., per lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, di cui ci parla l’art. 10 della Costituzione, per la vita privata e familiare di una persona, come previsto dall’ art. 8 CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali).

La legge n. 50/2023 sembra andare in tutt’ altra direzione, limitando i casi di non espellibità del cittadino straniero, ovvero, riducendo i presupposti per il riconoscimento della protezione speciale, riducendo i permessi di soggiorno convertibili in lavoro, regolarizzando l’accoglienza straordinaria dei richiedenti la protezione internazionale con l’eliminazione dei corsi di lingua italiana e l’assistenza legale, aumentando i casi di trattenimento e la durata dello stesso.

Con la L. n. 50/2023, il Parlamento ha eliminato quella parte della norma che vietava l’espulsione del cittadino straniero, riconoscendogli conseguentemente il permesso di soggiorno protezione speciale, quando, lo stesso dimostrava un percorso di integrazione sociale e/o familiare in Italia, ma che per motivi vari era rimasto privo di un permesso di soggiorno; perché ad esempio, dopo un periodo lavorativo, il datore di lavoro fallisce e si è stati impossibilitati a rinnovare il permesso per motivi lavoro, o perché la questura rifiuta il rinnovo in mancanza del passaporto senza considerare i documenti equipollenti, o per problemi con l’iscrizione anagrafica. Il punto è che si tratta di vite umane e che tutto può succedere e che se c’era una norma in Italia che espressamente prevedeva la tutela della vita privata e familiare, non si comprende perché il Parlamento abbia deciso di eliminare quell’ espressione letterale, ripresa dall’ art. 8 CEDU, tutt’ ora vigente, anche, in Italia, con un’unica certa conseguenza l’aumento del contenzioso davanti ai Tribunale italiani.

Poteva almeno fermarsi qui, ma non è andata così, con la L. 50/2023 ha pensato, infatti, di disporre che quei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di salute o di calamità non fossero più convertibili in lavoro, cosicché, con buona pace della solidarietà, cittadini stranieri, ovvero, persone , dopo anni di soggiorno regolare per i motivi detti, non abbiano altra scelta che ritornare al loro paese d’ origine, spezzando le loro vite, come fossero corpi inanimati da spostare in base a degli algoritmi, o in alternativa, e rimanendo sul territorio nazionale da clandestini, privi di un permesso di soggiorno e conseguentemente del pieno esercizio di quei diritti fondamentali, di cui alla nostra Costituzione.

E cos’altro può significare eliminare i corsi di lingua italiana per i richiedenti asilo se non lavorare contro l’inclusione e in favore dell’emarginazione dei cittadini stranieri appena arrivati in Italia, con disagi che inevitabilmente si andranno a riversare nelle comunità in cui i richiedenti verranno collocati, perché, siamo tutte persone, che interagiscono.

Ma forse dove l’attuale Parlamento ha veramente superato sé stesso è quando ha disposto l’aumento dei casi di trattenimento e l’aumento della durata nei Centri per Rimpatri, che in un Paese solidale dovrebbero fare una cosa sola chiudere.

Dovrebbe ormai essere noto a tutti che sono centri di detenzione, dove vengono collocati i cittadini stranieri privi di un permesso di soggiorno, nei quali non c’è un’effettiva garanzia dei diritti fondamentali, quali la dignità della persona e il diritto alla salute.

Il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, scrive nel Rapporto 2019-2020 sui centri di rimpatrio : “ Con riferimento alla configurazione degli spazi e alle condizioni materiali dei Centri si tratta, nella gran parte ,di strutture dall’architettura rudimentale, simili a contenitori senza attenzione ad ambienti di socialità, spazi per attività anche fisica, luoghi di culto, locali per iniziative formative e culturali, che peraltro attenuerebbero le tensioni. Inoltre, i più basilari elementi di arredo, incluse le porte dei bagni, sono, nella quasi totalità dei casi, assenti. Come se l’individuo smettesse di essere persona con una propria totalità umana da preservare nella sua intrinseca dignità, dimensione sociale, culturale relazionale e religiosa per essere ridotta esclusivamente a corpo da trattenere e confinare.”.

Da ultimo, non può sottacersi che la promulgazione di tale legge avviene pochi mesi dopo la diffusione delle brutte immagini riprese davanti a diverse questure d’Italia dove i cittadini stranieri, in mancanza di criteri legittimi e conoscibili per l’ accesso in questura, ai fini della formalizzazione della domanda di protezione internazionale, sono stati costretti a sostare davanti agli uffici in condizioni metereologiche impervie, esposti altresì al pericolo di entrare in colluttazione con altri aspiranti richiedenti asilo, esasperati dalle circostanze, e/o comunque esposti al pericolo della loro incolumità, senza sapere quando sarebbe stata registrata la domanda, costretti, anche, a ripetere tale situazione per più mesi, più volte al mese.

La verità è che in un periodo storico, come questo, caratterizzato dalla morte in mare di migliaia di cittadini stranieri, che fuggono da Paesi in crisi per motivi climatici, politici, economici, senza la possibilità di arrivare in Europa con un percorso regolare, di questa legge non se ne sentiva francamente il bisogno.

È stata depositata il giorno 8 maggio 2023, la sentenza n. 88 con cui la Corte Costituzionale– dichiarando la illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. numero 286 del 1998 (Testo Unico Stranieri) nella parte in cui ricomprendono, tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato di cui all’articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309 del 1990 (Testo Unico Stupefacenti) (cd “piccolo spaccio”) e per il reato di cui all’articolo 474, secondo comma, del codice penale (vendita di merci contraffatte), senza prevedere che l’autorità competente verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente- ha tra l’altro affermato: “ Se, dunque, per un verso, al legislatore va riconosciuta un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno di uno straniero nel territorio nazionale, in considerazione della pluralità degli interessi che tale regolazione riguarda (ex plurimis, sentenze n. 277 del 2014, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994), per altro verso occorre chiarire che tale discrezionalità «non è assoluta, dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione sia suscettibile di incidere sui diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino» (sentenza n. 202 del 2013; in precedenza, anche sentenze n. 172 del 2012, n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010, n. 78 del 2005).

A parere di chi scrive, dunque, una cosa è certa, non finisce qui.

*Avvocato del foro di Milano

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