Economia
Leonardo, troppe armi. Forse nucleari
Fondazione Finanza etica fa azionariato critico verso il grande gruppo a controllo pubblico. Secondo la realtà filantropica di Banca Etica ed Etica Sgr, che ha il supporto di Rete Italiana pace e disarmo, l'ex-Finmeccanica ha incrementato le attività del settore difesa a discapito di quello civile, in cui eccelleva. Gli armamenti sono passati dal 60% all'80% della attività del gruppo. Il sospetto della produzione di componenti per armamenti nucleari, spiega la presidente Masciopinto, «ha già allontanato investitori istituzionali, con rischi finanziari, oltre che di evidenti rischi umanitari e reputazionali»
di Redazione
Hanno chiesto di conoscere i dati relativi all’export di materiale bellico del gruppo Leonardo, ex Finmeccanica, dall’Italia avvenuto nel 2022 e i paesi di destinazione. Hanno chiesto i dati relativi al fatturato globale di natura militare dell’azienda, ripartito per paese in cui viene generato. Hanno fatto domande sulla partecipazione della società nei programmi di sistemi d’arma a potenzialità nucleare. Che cosa sta succedendo in Leonardo? Perché si sta convertendo al militare? Che logica c’è? E poi hanno interrogato l’azienda sul perché abbia scelto di avvalersi dell’assemblea a porte chiuse (la società motiva la decisione sulle restrizioni legate all’emergenza pandemica e sul fatto che il decreto “Cura Italia”, che le disciplina, è in vigore fino a luglio). Per Fondazione Finanza etica, azionista critico, si tratta di una soluzione che, come riportato proprio in una delle domande inviate per iscritto e contenute nel Fascicolo dell’assemblea degli azionisti di oggi, 9 maggio, «impedisce di fatto ogni forma di contatto e di dialogo tra la società e i suoi azionisti. Ciò avviene per il quarto anno consecutivo, nonostante l’emergenza pandemica da Covid-19 sia stata da tempo superata».
40 domande a porte chiuse
Ad alzare la mano nel consesso – solo virtuale e per sua natura fortemente limitato (non permette lo scambio in tempo reale) – di Leonardo è stato dunque un azionista speciale: Fondazione finanza etica, fondazione di impresa nata dall’esperienza e dalla storia di Banca Etica. Un azionista critico, appunto è un soggetto che acquista un numero simbolico di quote azionarie (ne basta una) di una società rispetto alla quale si è critici, per intervenire in sede assembleare, dove sono soliti sedere piccoli e grandi azionisti, giornalisti e soggetti commerciali di ogni tipo, e portare all’attenzione dei consigli di amministrazione le violazioni dei diritti umani o le controversie ambientali nelle quali la società si ritiene possa essere coinvolta. Fondazione finanza etica è lo strumento con cui Etica Sgr (società di gestione del risparmio di che ha Banca Etica come primo azionista) fa azionariato critico.
Contro la guerra e questa governance
«Chiudere le porte e non farci partecipare», spiega il neo presidente Marco Carlizzi, «impedisce la critica e il dialogo». Una denuncia, quella del manager, «contro la guerra ma anche contro la governance di una società. Dateci il diritto di critica. Non farci entrare e fare un’assemblea a porte chiuse ci è sembrata una roba un po’ violenta». L’assemblea a porte chiuse, fa notare Mauro Meggiolaro, analista della Fondazione, «ci priva del rapporto “fisico” con l’impresa perché sì, possiamo spedire le domande, ma riceviamo risposte scritte a cui possiamo replicare solo contattando il rappresentante designato. Tutto viene congelato». Una soluzione, quella dell’assemblea a porte chiuse, che, da misura emergenziale (contenuta nel decreto “Cura Italia”), potrebbe poi diventare prassi. Per Meggiolaro «c’è il rischio concreto che questa possibilità venga incardinata nella legislazione italiana con una maggiore possibilità per le aziende di avvalersene. Staremo a vedere».
Il nodo delle armi atomiche
Ma da dove nasce l’esigenza di chiedere conto ai vertici della compagnia? Il punto di partenza sono i dati della Rete Italiana Pace e Disarmo, realtà che collabora con la Fondazione. Nel 2022 e nel 2023, secondo l’associazione, l'Italia ha deciso di spendere oltre 8 miliardi di euro per comprare nuovi armamenti. Soldi pubblici, usati in gran parte da Leonardo (compagnia partecipata al 30,2% dal ministero dell'Economia e delle Finanze) per produrre elicotteri da combattimento, torrette e cannoni per sistemi navali e terrestri, siluri, munizioni programmabili ad alta precisione e componenti per arsenali nucleari. Soldi che, invece, potrebbero essere usati per produrre elicotteri di soccorso, aerei antincendio e alta tecnologia a uso civile. Tra le domande inviate a Leonardo, alcune si riferiscono anche al coinvolgimento della società in programmi di sistemi d’arma a potenzialità̀ atomica. «Il presunto coinvolgimento di Leonardo nella produzione di armi nucleari ha già portato all’esclusione dell’impresa da molti portafogli di investitori istituzionali. Quindi stiamo parlando di rischi finanziari oltre che di evidenti rischi umanitari e reputazionali», ha aggiunto Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica.
Una scelta miope e non sostenibile
«Alcune cose che sappiamo di quest’azienda la sappiamo solo perché siamo azionisti critici e perché possiamo mettere una serie di domande sul tavolo. Abbiamo seguito», racconta Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo, «la parabola purtroppo per noi negativa di Leonardo, che si è trasformata da un’azienda la cui produzione militare è passata dal 60% all’oltre 80 negli ultimi due anni», dismettendo «la parte ferroviaria, di microelettronica e di produzione civile. Questo abbiamo criticato». Vignarca ha anche lamentato l’opacità nel fornire informazioni da parte della società «con risposte evasive», denunciando gli scarsi ritorni economici del settore della difesa che «in Italia fa meno dell’1% del Pil», con numeri irrilevanti anche in termini di export e di occupazione. «La commessa militare», precisa, «è solo politica e non garantisce la sostenibilità dell’azienda nel medio e lungo periodo».
In apertura uno screenshot del discorso dell'amministratore delegato, Alessandro Profumo, all'assemblea dei soci di oggi (guarda). Nella gallery sottostante: Teresa Masciopinto, Marco Carlizzi , Francesco Vignarca e Mauro Meggiolaro (foto di Alessio Nisi per VITA).
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