Politica

L’Europa diventi attore di pace

Stabilizzare e risolvere pacificamente i conflitti promuovendo una pace sostenibile è un obiettivo primario dell'azione esterna dell'Ue che nella maggior parte dei casi può essere raggiunto con mezzi civili di cui l'Unione già dispone e può attingere a piene mani. Il Corpo Civile di Pace dovrebbe costituire una sorta di "marchio di fabbrica" dell'Ue, un "brand" destinato a caratterizzare una superpotenza economica genuinamente impegnata nel sostegno del diritto internazionale e del multilateralismo per promuovere i valori di pace

di Paolo Bergamaschi

È di questi giorni la notizia che nove Paesi dell'Ue hanno assunto pubblicamente l'iniziativa di chiedere la riforma del meccanismo decisionale che regge la Politica Estera e di Sicurezza Comune (Pesc). Non è la prima volta che ciò accade e, si presume, non sarà nemmeno l'ultima. La regola dell'unanimità in materia di politica estera condanna l'Unione ad un'azione tardiva sulla scena globale riducendola spesso ad un ruolo di secondo piano.

In una dichiarazione congiunta i nove firmatari, fra i quali Germania, Francia e Italia, affermano che l'obiettivo è quello di "migliorare l'efficienza e la velocità del processo decisionale alla luce dell'aggressione russa all'Ucraina e delle sfide internazionali che l'Ue sta affrontando". Riformare il meccanismo di voto passando dall'unanimità alla maggioranza qualificata, si sostiene, è fondamentale per preparare l'Unione per il futuro. Cambiare i trattati, però, è un'impresa ardua ed estremamente complicata che richiede tempo ed un paziente lavoro diplomatico in considerazione del fatto che i paesi più piccoli sono da sempre restii a rinunciare al diritto di veto, che ritengono sia l'unica garanzia nei confronti dei membri più forti, e che quelli a trazione sovranista, Polonia e Ungheria in testa, non intendono cedere a Bruxelles quella che è una delle prerogative essenziali di uno stato indipendente. In queste condizioni rilanciare il dibattito sull'autonomia strategica dell'Europa risulta velleitario se non un puro esercizio accademico. A farne le spese è anche la politica di difesa comune che langue nell'interminabile attesa di un esercito europeo tanto auspicato quanto difficilmente realizzabile.

È dagli anni cinquanta dello scorso secolo, dai tempi del progetto naufragato di Comunità Europea di Difesa (Ced), che se ne parla. Eppure la politica europea di sicurezza non poggia solo sugli aspetti militari anche se questi con lo scoppio della guerra in Ucraina hanno acquisito un'importanza predominante. Pochi sono al corrente che dal 2003 l'Unione europea ha sviluppato un articolato approccio civile alla gestione delle crisi incardinato nel 2018 nel "Patto sulla dimensione civile della politica di sicurezza e difesa comune". Prevenire i conflitti, mediare fra le parti, facilitare il dialogo fra i contendenti, assistere nei negoziati, garantire e monitorare gli accordi sottoscritti, contribuire e verificare l'attuazione degli impegni presi, ridurre le tensioni per evitare l'escalation violenta, aiutare a ricostruire e riabilitare le zone colpite durante il periodo post-bellico sono fasi di una crisi che non necessitano un hard-power, ovvero mezzi di coercizione militari di cui l'Ue non dispone. Stabilizzare e risolvere pacificamente i conflitti promuovendo una pace sostenibile è un obiettivo primario dell'azione esterna dell'Ue che nella maggior parte dei casi può essere raggiunto con mezzi civili di cui l'Unione già dispone e può attingere a piene mani.

Nell'arco di vent'anni sono 24 le missioni civili, di cui 12 in corso, condotte dall'Europa in teatri di crisi sparsi per il mondo. Dalla Bosnia-Erzegovina, ai territori palestinesi occupati, dal Kosovo alla Georgia e da ultima, nello scorso febbraio, l'Armenia. La presenza europea svolge compiti diversi che variano dall'assistenza ai corpi di polizia alla riforma del settore giudiziario, dalla consulenza nell'organizzazione dello stato e del funzionamento delle istituzioni democratiche al monitoraggio delle frontiere e del rispetto di accordi di pace. È un quadro importante ma frammentato che ha bisogno di una visione di insieme che conduca ad un progetto coerente ed efficace all'altezza delle ambizioni dell'Ue come potenza di pace credibile e affidabile sulla scena globale.

Fra poche settimane il Consiglio europeo dovrebbe discutere il nuovo "Patto sulla dimensione civile della Politica di sicurezza e difesa comune". Su sollecitazione del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta 22 eurodeputati (fra i quali gli italiani Toia, Castaldo, Corrao, Smeriglio, Pisapia, Chinnici, Salini, Variati, Bresso, Gualmini, Benifei, Bartolo, Rondinelli e Moretti) hanno presentato un'interrogazione scritta all'Alto Rappresentante per la Politica Estera europea Josep Borrell per chiedere l'istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo. L'obiettivo è quello di qualificare l'Ue come attore di pace nelle controversie internazionali offrendo una pista alternativa di uscita alla deriva violenta di un conflitto. Il Corpo Civile di Pace dovrebbe costituire una sorta di "marchio di fabbrica" dell'Ue, un "brand" destinato a caratterizzare una superpotenza economica genuinamente impegnata nel sostegno del diritto internazionale e del multilateralismo per promuovere i valori di pace, democrazia e diritti umani che definiscono l'Europa.

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