Volontariato

Le mani nella polvere Gli angeli ci scrivono

Vigili del fuoco, volontari delle associazioni e della Protezione civile, sconosciuti cittadini mobilitati soltanto dal desiderio di essere utili e di condividere il dolore degli altri.

di Mara Mundi

“Con tempestiva generosità, competenza e sofferenza hanno lottato contro il tempo e le macerie per garantire assistenza, sostegno e solidarietà”. Sono indirizzate agli umili protagonisti della grande macchina del volontariato e dei soccorsi queste parole, pronunciate dall’Arcivescovo di Foggia, monsignor Domenico D’Ambrosio, nel corso della commovente omelia di martedì 16 novembre, giorno dei solenni funerali. La città intera, le istituzioni civili locali e le autorità politiche nazionali hanno ringraziato il lavoro di centinaia di uomini, che in assoluta abnegazione, per quattro giorni e quattro notti hanno scavato incessantemente. Uomini, donne, ragazzi eccezionali. Senza volto, senza nomi. Ma di una generosità senza confini. Giunti da ogni parte d’Italia, in centinaia hanno lavorato gomito a gomito, spinti solo dalla speranza di salvare qualche vita. Ecco chi sono questi angeli della gratuità rimasti nell’ombra, fino alla notte di quel maledetto giovedì 11 novembre, e il diario di quei loro quattro lunghi giorni passati a scavare in cerca di una vita. La forchetta di plastica Il volto sudato, i capelli scomposti, la schiena ricurva sotto il peso della stanchezza e della sofferenza. L’uomo mangia. Solo, i gomiti ben saldi su un lungo tavolo di legno. Gli altri sono tutti a scavare, ma anche quelle due mani hanno scavato senza sosta. Hanno spento l’incendio, hanno sollevato corpi inermi e hanno applaudito ai successi del primo giorno. Mani vigili, mani di pompiere. Ora, mani d’uomo. Che reggono con incertezza una forchetta di plastica, nel vano tentativo di mangiare quelle due carote bollite, tagliate a rondelle. I rebbi della gracile posata non riescono ad afferrare quel cibo, beffardamente allegro nel suo vivace colore arancione. È ora di tornare tra le macerie e quelle mani tornano ad essere ancora mani di pompiere nel loro equilibrio di forza e di delicatezza. La forza nel sollevare massi, tufi, ferro; la dolcezza nel mettere da parte un giocattolo, un libro, un quaderno. Passano secchi di plastica per quelle mani. Non ci sono soltanto vigili del Fuoco, ma anche i militari dell’esercito, i volontari del Corpo forestale, della Protezione civile… In fila formano un arcobaleno di colori Sono tanti: in fila formano cordoni blu, bianchi, rossi, verdi, i colori dei secchi. Tutti vengono riempiti e svuotati. Tutti passano fra le mani di gente che lavora vicino, senza conoscersi. Inavvertitamente si sfiorano. Quasi una carezza, gesti involontari che danno forza e infondono coraggio. Una ruspa, destinata a ben altri scopi, si trasforma d’improvviso in culla ed accoglie ancora due braccia, sollevate, per attaccare ad un palo, mazzi di fiori. Gigli bianchi, gerbere rosse, blu. Come i secchi di plastica. E l’arcobaleno di colori diventa nostalgico, malinconico. È triste il rosa di alcune cartelle del gioco della tombola; il nero di una scarpa estiva da donna; l’avorio di una tenda accartocciata: sembra un grande foglio di carta, bucherellato. “Foggia 25 gennaio – Lettura Woorkbook: Sheila Miller”, è scritto con inchiostro rosso, su di un quaderno a righe. “Sheila Miller is 16 years old. She is tall and thin (Sheila Miller ha sedici anni. È alta e magra)” è riportato a penna blu, con una grafia tondeggiante, piacevole, molto ordinata. Chi lo ha scritto non doveva essere molto più giovane di Sheila Miller. Anche questo foglietto spunta dalle macerie. È un po’ bagnato. In alcuni tratti quasi illeggibile. Ma basta a capire l’enorme portata della tragedia. «Ho conservato un foglietto con il disegno di un cuore e la scritta: io amo. È firmato Leni o Luck, non si capisce bene. Era fermato da un mattone. L’ho piegato e messo in tasca. Poteva averlo fatto solo un bambino delle prime classi elementari. La scrittura era ancora incerta». La speranza di Libera e la tenda dei panini Libera ha 36 anni, i capelli biondi, che le incorniciano il viso, sono pieni di polvere. Gli occhi, celesti, sono sempre rivolti alle macerie. È in Croce Rossa da dieci, forse dodici anni, adesso non ricorda bene. E già questa dimenticanza dà il senso della naturalezza di una scelta di vita. Lavora agli Ospedali Riuniti di Foggia, al primo reparto di ginecologia, come operatore tecnico addetto all’assistenza. Ma è stata anche volontaria in ortopedia e ha frequentato un corso per bambini disabili. Libera vuole aiutare il prossimo. Lo fa da sempre. Si stringe le mani, quando parla, e a voce bassa ammette: «Io spero ancora di trovare qualcuno. So che è impossibile. Ma continuo a pregare». È domenica mattina. Nessun altro corpo sarà ritrovato. Intanto, Libera continua a raccontarci di quanto abbia scavato, insieme ad altre sue due colleghe. «Ad ogni mattone spostato pensavo che, forse, potevo aiutare qualcuno lì sotto. Lo penso ancora adesso. Era quasi tutta gente giovane, fra i trentacinque e i quarant’anni. Lo si capiva dagli oggetti ritrovati». Le mani di Libera, che per tutto il tempo sono strette l’una all’altra, quasi straziandosi per la loro impotenza, si sciolgono per una energica stretta di mano, quando va via e ci saluta. Ancora una storia, raccontata attraverso piccoli gesti eroici, compiuti da dita doloranti, da dorsi spaccati, da mani sporche di fango, terra, e polvere, che invadono, pervadono, fino allo sfinimento. Mani che fanno anche altro. Distribuiscono panini. Lo vediamo fare alle tante volontarie della Cri, all’interno della tenda, piantata a viale Giotto, per distribuire cibo ed acqua ai tanti soccorritori, impegnati, in condizioni estenuanti. «Dieci panini, per cortesia», dice un uomo, «sono per gli operai che stanno allestendo la camera ardente in Fiera». Un altro gli dice: «Prenditi un sacchetto-pranzo», ma lui risponde: «No. Non ho fame. Gli operai hanno bisogno di mangiare. Devono lavorare». Si mangia, in viale Giotto, quasi con disgusto. Si mangia per tenersi in forze. Per aiutare gli altri. Le mani portano alla bocca cibo, preparato da altre mani. Da quelle amorevoli delle infermiere volontarie e da quelle delle tante famiglie, che non hanno fatto mancare la loro solidarietà. «Si è mobilitata l’intera città: bar, servizi di ristoro, ditte varie, ma soprattutto le persone, che hanno portato quel che potevano», dice l’ispettrice della Croce Rossa, signora Pina Rubano. Parla di un quartiere che conosce molto bene, perché insegna alla vicina Scuola Media “Ugo Foscolo”. E racconta di quella gente molto unita, che si conosce, che si ferma a parlare all’alimentare sotto casa, che ha fatto della Chiesa “Sacro Cuore” il centro privilegiato di aggregazione. Sono mani che si stringono, in questo momento di profonda commozione. Quelle che preparano panini, e li portano incartati in tovaglioli e riposti in semplici ceste di vimini. Sono mani che si disperano per l’altrui disperazione, quelle che compongono i numeri delle tre linee telefoniche verdi, attivate dalla circoscrizione “Rione dei Preti”. «Ci chiamano in continuazione, da tutta Italia, per avere notizie. Per informarsi se c’è bisogno di qualcosa». Lo dice il segretario circoscrizionale, Antonio Cascavilla, che si commuove quando parla di un signore, che ha dato la sua disponibilità per ospitare e, successivamente, adottare due bimbi, rimasti orfani, nella maledetta sciagura. L’elettricista della scuola serale Ed è una storia di mani anche quella di Samantha Biasco: ventidue anni, studentessa in medicina, che davanti alla cappella degli Ospedali Riuniti distribuisce pasti caldi, biscotti, bevande e coperte, ai parenti delle vittime. Lo fa con semplicità e con tanto dolore. È lì a fare volontariato, spinta «dalla stessa motivazione che ha orientato la mia scelta di studio: aiutare gli altri». Poi, aggiunge: «Per me e le mie amiche, questa è stata la prima volta che abbiamo indossato il camice. Non avremmo mai pensato che sarebbe stata in un’occasione così funesta. Ma questa tragica esperienza, mi ha fatto capire che devo accelerare ancora di più i miei studi. Così mi sento inutile. Voglio diventare presto un medico». Anche Sabina è studentessa in medicina. Capelli castani, un maglioncino celeste, un jeans chiaro. Ha ventiquattro anni, Sabina, e per quattro giorni le sue mani hanno scavato. Il suo maglioncino è rimasto sempre lo stesso. Il colore si è spento, con la polvere. Come la divisa del pompiere. L’abbiamo vista sempre lì. Tutti i giorni. Vestita sempre allo stesso modo. Le mani stringevano sempre massi. Massi diversi. Centinaia. Forse migliaia. Quelle mani riempivano e svuotavano secchi. Sono ritornate, invece, a preparare pane, le mani di Pasquale Piombo, un ragazzo 17enne, di San Paolo di Civitate, volontario dell’Associazione “Guglielmo Marconi” di Foggia, che svolge il servizio di Emergenza Radio. Quando gli chiediamo se il giorno dopo andrà regolarmente a lavorare, ci sorprende la naturalezza con cui risponde: «Riprendo a lavorare, al panificio, già da stasera, alle diciannove, e continuo fino a domani mattina a mezzogiorno». Nella stessa associazione c’è anche Marco: 18 anni, da tre volontario. Ha già partecipato ai soccorsi per il terremoto di Foligno e per il recente incidente stradale, causato dall’alluvione a San Severo, in cui hanno perso la vita tre persone. Le sue mani, di giorno, aggiustano fili, fanno collegamenti. Marco, infatti, è elettricista, «quando capita», ci dice. La sera, le mani di Marco sfogliano libri, perché frequenta, con profitto, la scuola serale, per conseguire il diploma. È domenica quando ci dice: «Domani andrò regolarmente a scuola. Ma dopodomani no: ci sono i funerali. Voglio partecipare». Martedì pomeriggio, tutte le mani laboriose si fermano. Lasciano massi, tufi, tubi di ferro. Non passano più tristi secchi colorati in altre mani. Non attaccano più fiori ai pali della luce. Smettono di stringere forchette, di contorcersi, di preparare ed offrire panini. Smettono di aggiustare fili, impastare, panificare. Smettono di sfogliare libri. Le mani dei pompieri, dei volontari, dei giovani soldati di leva, le mani di Libera, Pina, Sabrina, Samantha, Pasquale, Marco, martedì, sono giunte. In religiosa preghiera. In via Giotto l’esercito dei cinquecento Il coordinamento di tutti i soccorritori e dei volontari è stato effettuato sul posto. Referenti: il capo di gabinetto della Prefettura, di concerto con il comandante dei vigili del fuoco ed il colonnello del 131° Reggimento di Artiglieria. In realtà, però, la concitazione di quei momenti febbrili ha lasciato spazio alla sola azione, trascurando, per ovvie ragioni, la burocratica fase delle registrazioni dei partecipanti all’emergenza. Mancano dunque stime esatte. Ma calcoli ufficiosi parlano di circa 500 uomini impegnati, a vario titolo, nelle operazioni di soccorso. Che sono risultate spontaneamente efficienti e di immediata prontezza, perché come ci spiega Raffaele Celeste, Presidente del Servizio Emergenza Radio di Foggia , «si è trovata subito un’intesa, pur mancando un vero coordinamento. Il mondo del volontariato si capisce al volo. Non servono molte parole, basta uno sguardo». Ed in tanti si sono guardati. Soccorritori e volontari. C’erano tutti: c’erano le forze dell’ordine: militari della Caserma Sernia Pedone di Foggia e delle Brigate Pinerolo e Centauro, Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Finanzieri, Guardie giurate, Vigili urbani ed agenti della Polizia penitenziaria. C’erano gli uomini delle istituzioni civili e religiose: Comune, Provincia, Regione, Prefettura, Arcidiocesi di Foggia-Bovino. C’era poi il grande cuore del volontariato di tutta Italia: Croce Rossa, Croce Azzurra, Croce Verde, Protezione civile-Servizio Emergenza Radio, Caritas Diocesana e tanti altri singoli volontari, che hanno aiutato come potevano. Anche offrendo cibo, acqua, caffè, coperte. Hanno dato tutto anche loro. Questi uomini non vanno dimenticati. C’erano infine gli amici a quattro zampe: le Unità cinofile italiane soccorso (Ucis), giunte da tutto il Paese: da Cosenza, Bari e Fasano, ma anche da Milano, Roma ed Udine. Grande l’impegno degli Ospedali di Foggia: medici, infermieri, studenti della Facoltà di Medicina, tutti pronti ad offrite il loro sostegno. Così come ha fatto tutta la città. Così come sta continuando ancora a fare. Molti, infatti, i conti correnti bancari e postali aperti per raccogliere fondi per i familiari delle vittime del crollo. Centosessantotto milioni di lire la ragguardevole cifra raggiunta, in un mese esatto, sul conto acceso da un’emittente locale, il giorno stesso del crollo. Insomma, Foggia, nella tragedia, si scopre una città migliore.


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