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Il bisogno di una consapevolezza cosmopolita

Dall'"io mongolfiera" al narcisismo, "patologia socialmente distruttiva capace di annullare relazioni e far naufragare il lavoro d’insieme" questo l'oggi che è "non un io da costruirsi in relazione ad un tu, ma una soggettività senza confini identificativi". Ma la felicità si ricorda "non è mai una vicenda privata". Da qui "l’urgenza di una cultura del dialogo che sappia intessere la ricostruzione di una società che si disponga alla inclusione dello straniero, del migrante, del relegato in periferia"

di Angelo Palmieri

Una flagrante contraddizione grava sul nostro tempo, che inficia il nostro quotidiano vivere e sospinge ciascuno di noi verso un profondo senso di sfiducia e di paura del tempo a venire non disgiunto dalla egoistica affermazione della propria soggettività. Sfiducia e senso di autosufficienza finiscono per franare in un processo inarrestabile che porta verso l’inconsistente. Remo Bodei parla di io mongolfiera “gonfio di sé, desideroso di felicità, ripiegato su se stesso intento ad allentare i suoi rapporti con gli altri, incline a non affrontare e padroneggiare le proprie crisi di identità, apatico, indifferente a tutto, tranne che a se stesso, pronto ad assumere un atteggiamento mimetico nei confronti dell’ambiente sociale circostante” (R. Bodei, Destini personali). Di certo la perdita di fiducia sembra rappresentare molto efficacemente l’hic et nunc tutto ripiegato su paure e frustrazioni di contro ad uno stato d’animo fiducioso del passato (ma illusorio!) di una società capace di condotte coerenti pronte a tradursi in aumento degli investimenti e della produttività, crescita delle performance educative, indici sostenuti di natalità. Oggi quel capitale di fiducia è evaporato e si vive nella paura, rassegnati all’insicurezza o finendo vittime di forze che sfuggono al controllo. Non abbiamo una strategia, forse l’unica è quella minimalista di proteggerci dai rischi di una globalizzazione malata e contradditoria, anziché osare affrontarli con progetti ricombinatori chiari. L’unica risposta, purtroppo oltremodo infeconda, sembra ricadere sul senso di autosufficienza che restituisce un’immagine seppur sfocata di una società euforica che vede nel processo di individualizzazione delle scelte e della vita il movimento di liberazione dalla paura (Vincenzo Cesareo, Italo Vaccarini, 2012).

In questa mimesi euforica sempre più siamo spinti ad esercitare autonomia o libertà di scelta in ogni ambito di esperienza, dalla sessualità, alla selezione genetica dei figli, all’eutanasia. I nostri giovanissimi hanno scelto come ambito d’elezione il mondo virtuale sfrangiato da ogni legame possibile. Una rappresentazione, di cui il sottosistema comunicativo ha precise responsabilità, secondo cui la società del passato imponeva obblighi oppressivi e vincoli alienanti così da reprimere la realizzazione di ogni individualità. Dunque non un io da costruirsi in relazione ad un tu, ma una soggettività senza confini identificativi.

Oggi ci troviamo improvvisamente di fronte alla prova di un nuovo terribile flagello, un virus rispetto al quale nessuno di noi può dirsi del tutto immune e che tutti dobbiamo combattere innanzitutto in noi stessi: il narcisismo. Un narcisismo che nasce dalla legittima e umanissima aspirazione ad avere riconoscimento e attenzione, ma divenuto ormai patologia socialmente distruttiva capace di annullare relazioni e far naufragare il lavoro d’insieme.

Si finisce così per sperimentare la crisi del simbolico, capace di orientare il nostro agire con contenuti di senso. Tutto sembra tradursi in un io delirante che vaga verso traiettorie incerte non capaci di infuturarsi, proiezioni di progetti di vita narcisisticamente ripiegati su se stessi senza scopi intellegibili. Identità narcisistiche come conseguenza di una struttura sociale e culturale significativamente modificata. Tratti che come evidenziato dalla psicoanalisi si manifestano in una polarizzazione della propria esperienza sul senso di paura e impotenza di fronte alla realtà e contemporaneamente su un senso euforico di libertà illimitata. (Vincenzo Cesareo, Italo Vaccarini, 2012).

Abbiamo bisogno di ricombinare il nostro sistema sociale, di lavorare alla creazione di comunità forti e solidali, di “minoranze da choc” per usare un’espressione di Jacques Maritain in L’uomo e lo Stato, che sappiano respingere le seduzioni dell’arroccamento fondamentalista e dell’autodissolvimento relativista. Occorre ripartire insieme per generare un futuro nuovo. Si tratta di abbandonare la misura stretta dell’autoreferenzialità per sbilanciarsi verso il mondo e gli altri (Mauro Magatti, Chiara Giaccardi, 2014).

Investire sul proprio io l’intera felicità appare un’operazione fallace e mortifera; è bene ricordarlo che la felicità non è mai una vicenda privata. La concentrazione sull’Io che la società evanescente promuove avvelena il nostro cammino verso la felicità. Per dirla con Adriano Pessina, questo processo sociale porta ad un’insoddisfazione dell’io stretto tra “Prometeo e Dio”. Il grande Zygmunt Bauman, in un suo celebre intervento ad Assisi, ha tracciato una breve ed efficace storia dell’umanità, incentrata sul pronome "noi": è l’’espansione di questo pronome che può salvarci. È questa una sfida che coglie in profondità la ragione stessa della nostra esistenza perché in fondo siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri. Di qui l’urgenza di una cultura del dialogo che sappia intessere la ricostruzione di una società che si disponga alla inclusione dello straniero, del migrante, del relegato in periferia. Certo una via non facile, ma comunque una via salvifica che necessita di coerenza e la coerenza, si sa, è l’immagine di un’unione stretta, solida, è assenza di contraddizioni, è la qualità dell’unità indivisa, che si muove nella stessa direzione con ogni sua parte.

In apertura photo by Ryan Stone on Unsplash

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