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Ius scholae: questa legge s’ha da fare
Il 24 giugno la Camera inizia a discutere lo Ius scholae. L'Italia ne ha bisogno perché gli stranieri sono i nuovi poveri della scuola pubblica. La storia di Mamun. Se don Lorenzo Milani rinascesse oggi scriverebbe una nuova Lettera ad una professoressa su casi come quello di Mamun. Su questi studenti stranieri trattati come lo erano i suoi allievi, figli di montanari e di contadini degli anni Sessanta
Tra tre settimane approderà alla Camera la legge sul cosiddetto Ius scholae. La nuova norma prevede che possa acquistare “la cittadinanza il minore straniero nato in Italia che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni e abbia frequentato nel territorio nazionale, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione”. È una proposta molto giusta e che fa bene sperare. Dobbiamo prepararci ad un futuro dove l’Italia sia sempre più multietnica e dove i nuovi italiani abbiano le stesse possibilità di chi viene da una famiglia originaria del nostro Paese. Le leggi ratificano spesso una situazione di fatto. In questo caso il dato di fatto ineludibile è la migrazione verso il nostro Paese. Altri Paesi europei, in primis la Germania, hanno codificato da tempo un itinerario obbligatorio di istruzione della lingua e cultura locali a chi voglia vivere in quel Paese. Da noi non c’è una tradizione in questo senso e ancora una volta viene dall’iniziativa del privato sociale il miglior esempio di scuola di Italiano per stranieri, che sono le 56 Penny Wirton diffuse in tutta Italia, fondate da Eraldo Affinati (nella foto di cover) e da sua moglie Anna Luce Lenzi.
Ma un’altra funzione della legge è indicare la bontà di un comportamento, proporre una strada da seguire. Oggi vi voglio raccontare una storia emblematica in senso negativo e che mi ha fatto molto riflettere. Mamun è un ragazzo del Bangladesh, che vive da anni a Roma. Ha già 21 anni, lavora di sera e di notte e tuttavia ha finora cercato anche di studiare nel nostro Paese. È molto intelligente e parla bene la nostra lingua. Si è iscritto ad un Istituto tecnico, perché vorrebbe conseguire il diploma. L’anno scorso non è stato ammesso alla maturità. I suoi professori lo hanno fermato. Lui ha ripetuto l’anno, rimanendo nello stesso Istituto ed intanto è stato seguito nel dopo scuola, in una parrocchia. A febbraio i suoi docenti gli hanno consigliato di abbandonare la scuola e di presentarsi come “privatista”. Lui si è fidato di questo consiglio, nonostante i prof volontari della parrocchia lo sconsigliassero. “Poiché lavori, hai tante difficoltà familiari e spesso sei stanco, chiedi che sia riconosciuto un BES ( sigla per Bisogni educativi speciali ndr) per te”, gli avevano detto. Ma Mamun si è fidato dei suoi docenti.
Indovinate com’è finita. Mamun, senza genitori italiani che andassero a protestare dal Preside, senza PDP, Piano didattico personalizzato, (Piani attivati con grande facilità per i figli di papà italiani con lo scarabocchio di un medico o di uno psicologo compiacente), ormai diventato privatista perché fiducioso dei suoi vecchi docenti, è stato di nuovo bocciato all’ammissione. Non ammesso. Scaricato, si è sentito ingannato. Questa è la scuola pubblica italiana di oggi: uno straordinario meccanismo di discriminazione.
Se don Lorenzo Milani rinascesse oggi scriverebbe una nuova Lettera ad una professoressa su casi come quello di Mamun. Su questi studenti stranieri trattati come lo erano i suoi allievi, figli di montanari e di contadini degli anni Sessanta. Sono loro i nuovi poveri, abissalmente lontani dagli agiati rampolli italiani che mandano i propri genitori ad ottenere voti, favori e promozioni da una scuola intimorita e minacciata dalle famiglie. Una scuola “diplomificio” che spesso dà l’impressione di aver smarrito la sua missione di formazione e di educazione alla cittadinanza. Lo Ius scholae andrebbe applicato subito, nella sostanza, ancor prima della meritoria legge che speriamo questo Parlamento approvi in fretta. Aspettando un nuovo don Milani, che si occupi delle migliaia di Mamun discriminati.
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