Volontariato

Da qui all’eternit

È il breve tempo che la piccola Maria Gabriella ha vissuto, ma è bastato a mamma e papà per capire. Dal loro dolore è nato un libro.

di Antonietta Nembri

Può un dramma diventare un momento di speranza? È quello che viene da chiedersi ascoltando la storia di Anna Puricelli e Giovanni Rimoldi, ma soprattutto quella breve, brevissima della loro bambina, Maria Gabriella, nata poco prima di Natale e morta, dopo cento giorni esatti, il 1° aprile del 1996. E su un barlume di speranza è nato il libro “Cento giorni nell’eternità. Alla ricerca del senso della vita”, edito dalla Ares e in pochi mesi giunto alla seconda edizione. Si tratta di un testo non facile, scritto a due mani nella forma di un dialogo tra due personaggi enosh e adam, termini biblici che indicano il primo l’umanità riscattata da Dio e la pura caducità umana, il secondo. Ed è un dialogo intessuto di ricordi filosofici e letterari, inframmezzati dal racconto della loro esperienza. Un’attesa lunga quindici anni Anna e Giovanni sono due insegnanti, lei di lettere e lui di filosofia, per quindici anni hanno sperato, desiderato un bambino. Ma quella gravidanza non si concretizzava mai. Finalmente dopo quindici anni, una vita sboccia, una vita che è un culmine di gioia, di speranza. «Abbiamo atteso per quindici anni poi, quando ormai non speravamo quasi più è arrivata lei», racconta con voce ferma Giovanni Rimoldi. «Ma al momento della nascita le condizioni della bambina erano disperate, un medico ci ha detto subito che non c’era alcuna speranza di vita». «Durante la gravidanza», ricorda Giovanna, «a un certo punto Maria Gabriella ha smesso di crescere, dicevano anche che era dovuto al fatto che non ero più giovane». All’inizio della Settimana santa E così alla Clinica Mangiagalli di Milano il 22 dicembre del ’95 nasce Maria Gabriella, prematura e con una grave malattia cardiaca. Un destino segnato che ha gettato i genitori nello sconforto, ma non nella disperazione. Per vivere Maria Gabriella è costretta e rimanere attaccata al monitor a dei tubicini che la sostengono. E la bambina è aggrappata tenacemente alla vita, per cento giorni dura la sua lotta. A un certo punto i genitori decidono di portarla a casa dall’ospedale. Vogliono che muoia a casa sua, nella casa che era stata preparata per accoglierla e che avrebbe dovuto essere sua per lunghi anni. E così all’inizio della Settimana santa del 1996 Maria Gabriella chiude gli occhi per sempre. Una crisi cardiaca, l’ultima, mentre il padre è a scuola, in mezzo ai suoi alunni. Una storia come quella di Maria Gabriella affolla nella mente tante domande, impone tanti perché con il punto di domanda. Dubbi e interrogativi che si sono affacciati alla mente di Anna e Giovanni Rimoldi. Alla ricerca di una ragione sostenibile per quello che era capitato loro, «qualcosa che rasentava l’assurdo», sottolinea Anna. Così nasce, quasi per caso un libro, “Cento giorni nell’eternità. Alla ricerca del senso della vita”, edito dalla Ares. Per scriverlo sono stati necessari tre anni, poco più di mille giorni per mettere nero su bianco riflessioni e domande, dubbi e tentativi di risposta, tre anni per arrivare a capo di quei tre mesi di vita, di quei cento giorni di Maria Gabriella. «Il libro è nato quasi per caso, dal nostro continuo interrogarci. Abbiamo voluto giocare a tutto campo nel dialogo tra fede e ragione, tra sentimento e razionalità», spiega Giovanni Rimoldi, «è stato il tentativo di poter conservare e approfondire il senso di quello che ci era accaduto. Il senso che ci ha portati ad abbracciare la sapienza della croce. Ma non una croce fine a se stessa, perché la croce porta alla resurrezione». Potrebbe essere semplificato come un libro di fede, nel quale due personaggi dialogano sui concetti di vita e morte e sul senso della vita, tirando in ballo filosofi e poeti, teologi e scrittori. Ma, «non è un’opera nata a tavolino», dice Anna Puricelli, «è la nostra esperienza, il frutto del lungo dialogo tra di noi, delle esperienze che vivevamo e soprattutto di quei cento giorni con la nostra bambina». «Ogni bambino porta in sé una promessa di vita grandissima anche per i genitori, i bambini ti lanciano nel futuro, anche i bambini problematici, quelli con un handicap sono una promessa. Ecco Maria Gabriella ci ha lasciato un patrimonio, un desiderio grande di apertura alla vita e quello che noi abbiamo voluto fare è stato proprio un inno alla vita, nella sofferenza. Perché la sofferenza», dice Giovanni Rimoldi, «è un problema di capitale importanza». Un racconto senza censure Provati duramente dalla vita i genitori di Maria Gabriella dalla loro esperienza hanno invece tratto la voglia e il desiderio di raccontarsi di confrontarsi, senza censure e senza ipocrisie sul valore e il senso della vita. E invece di chiudersi nel loro dolore, nel ricordo, nella contemplazione delle fotografie della loro piccola che nonostante tutto era una bella bambina quasi paffuta dagli occhi “cerulei”, come li definisce Giovanni Rimoldi, i due genitori hanno deciso di impegnarsi sul fronte della difesa della cultura della vita. Un impegno nato subito, quando ancora Maria Gabriella era viva: papà Giovanni era a scuola quando lei è morta, ma non stava tenendo una semplice lezione, insieme a un’alunna sedicenne, ragazza madre, stavano testimoniando la loro esperienza di accoglienza della vita. E c’è il libro i cui diritti d’autore sono destinati a sostenere l’azione del “Movimento per la vita” e l’impegno con l’associazione delle “Famiglie in cammino”. «Sentiamo l’assenza di Maria Gabriella», conclude Giovanna Puricelli, «un’assenza che è una presenza che ci sprona e che può essere motivo di speranza per tutti».


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