Salute
«Così il diabete è entrato nella vita di nostra figlia, di 9 anni»
Sofia ha ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 1 poche settimane fa. Questo momento ha segnato un prima e un dopo nella vita di tutta la famiglia, che è coinvolta a pieno ritmo nella gestione della malattia. I suoi genitori raccontano a VITA questa esperienza, fatta di tanta fatica ma anche di un sostegno inaspettato
«Poche settimane fa il diabete si è introdotto nelle nostre conversazioni, nelle nostre notti, nei nostri pasti. A nostra figlia, Sofia, di 9 anni è stato diagnosticato il diabete mellito di tipo 1. Questo momento ha segnato un prima e un dopo nella vita di tutta la famiglia. Perché dal diabete non si guarisce: è per sempre. Si può solo imparare a gestirlo bene, facendo quotidiani iniezioni di insulina». A raccontarlo è Francesca, la mamma di Sofia.
«Noi ci siamo insospettiti quando Sofia ha iniziato ad avere molta sete e il bisogno di urinare di continuo. E poi mangiava, e mangiava, senza saziarsi mai. Queste tre cose, più l’improvvisa perdita di peso ci hanno spinti a contattare la pediatra». Alla visita la dottoressa le ha misurato la glicemia, era superiore ai 300. La diagnosi è stata immediata. «“Ha già capito, signora”?”, mi ha detto la pediatra, prima di spedirci d’urgenza, al pronto soccorso del San Raffaele di Milano». Sofia è stata ricoverata per dieci giorni. «Io in realtà non avevo capito nulla e il diabete nei bambini non lo conoscevo affatto. Forse ero una delle poche che non aveva nemmeno saputo che Massimo Ambrosini, ex centrocampista del Milan e della Nazionale, aveva da poco raccontato pubblicamente della malattia del figlio di due anni e mezzo, Alessandro».
Come racconta il maniera approfondita in questa intervista Giulio Frontino, medico pediatra specializzato in Endocrinologia e Diabetologia presso l’Unità di Pediatria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, esistono vari tipi di Diabete mellito. Il Diabete di Tipo 1, che colpisce soprattutto i bambini (specie attorno ai 5 anni e tra i 10 e i 12 anni, durante lo sviluppo puberale). L’altro tipo, il Diabete di Tipo 2, rappresenta il 90% dei casi e colpisce per lo più adulti-anziani, persone sovrappeso od obese. Si cura correggendo l’alimentazione, assumendo delle pastiglie. La somministrazione di insulina è prevista soltanto in fase avanzata.
Sofia ha il diabete di tipo 1.
La vita di Sofia oggi, con sensore e microinfusore
Per curare il diabete, Sofia indossa una serie di dispositivi elettronici: ha un sensore sul braccio, che monitora, ogni cinque minuti, il suo livello di glicemia (così da non doversi bucare in continuazione le dita). Poi ha un piccolo catetere che esce dal suo pancino e la collega ad un microinfusore, un piccolo computerino che contiene una cartuccia di insulina: attraverso questo morbido tubicino le arriva insulina in maniera continuativa, h24.
«Da quando Sofia ha questa malattia, il papà ed io siamo diventati un po’ infermieri», racconta Francesca. «Il catetere va infatti sostituito ogni 72 ore. Per farlo è necessario sparare nella pancina di Sofia una piccola cannuccia, (attraverso un ago che viene poi rimosso); poi dobbiamo prelevare con una siringa la dose di insulina necessaria per i tre giorni, riempire una nuova cartuccia per il microinfusore. Ogni dieci giorni invece dobbiamo cambiare il sensore che ha sul braccio. Di per sé non sono operazioni particolarmente dolorose, ma di certo sono fastidiose. Da qualche giorno Sofia urla, e dice che non ne può più di questa operazione che lei percepisce come una tortura, dal punto di vista psicologico».
Quel microinfusore, che eroga costantemente insulina al corpo di Sofia, deve stare sempre attaccato ai tuoi vestiti, giorno e notte. «E a nove anni non è una cosa di poco conto», osserva la mamma. «Se lei vuole rincorrere un compagno, o se vuole giocare a pallone deve stare attenta che non cada o non si danneggi. Se desidera ballare, idem. Una capriola non la può fare. Un bagno al mare nemmeno. O meglio, può farlo, ma deve prima disattivare e sganciare il microinfusore, per un periodo che non superi l’ora e mezza».
«Prima di ogni pasto Sofia ha comunque bisogno che le venga somministrata l’insulina», specifica Daniele, il papà di Sofia. «Questo significa che ogni giorno, io, oppure mia moglie, alle 12.30, interrompiamo il lavoro e andiamo a scuola. La dose di insulina ai pasti non è mai uguale a se stessa, anche qualora dovesse mangiare -ipoteticamente- lo stesso pasto ogni giorno». La glicemia varia in funzione di una serie di elementi, tra cui l’apporto di carboidrati che sta per ingerire (che a loro volta variano a seconda dell’alimento: 100 grammi di crudo è cosa ben diversa da 100 grammi di pasta) e in base al fatto che lei stia facendo o meno attività fisica; che sia felice o preoccupata (perché ad ogni emozione corrisponde una produzione di ormoni che impattano sul fabbisogno di insulina).
Genitori e bambini coinvolti giorno e notte
«Quello che non si sa del diabete di tipo 1, in modo particolare, è che è una condizione che coinvolge in primo luogo il bambino/ragazzo, ma inevitabilmente investe anche tutto il nucleo familiare, il contesto scolastico e sociale», chiarisce Daniele. «Avere il diabete di tipo 1 non significa che ogni giorno prendi una pastiglia all’ora dei pasti e poi ti dimentichi. Se sei il genitore di un bambino o di un ragazzo ci pensi sempre. Sei sempre vigile. Sugli attenti».
Quando la sua glicemia inizia a superare i 180, oppure tende a scendere sotto i 70, il microinfusore suona, per dire: “hey , guarda che stai andando troppo su/ troppo giù”. È un sistema di allerta graduale, che ha l’obiettivo di prevenire serie complicazioni. E’ senza dubbio uno dei vantaggi della nuova tecnologia.
Avere il diabete di tipo 1 non significa che ogni giorno prendi una pastiglia e poi ti dimentichi. Se sei il genitore di un bambino o di un ragazzo ci pensi sempre. Sei sempre vigile. Sugli attenti
Daniele, papà di Sofia
Il diabete, una malattia infestante
«Considero il diabete una malattia infestante», osserva la mamma. «Si infila nelle nostre conversazioni, ci obbliga a monitorare i suoi valori costantemente, affolla la mente, non ci permette di vivere i pasti, un gelato o una pizzata, con totale serenità, invade ogni momento del giorno e della notte attraverso il suono dei sensori. Nonostante il microinfusore rappresenti un efficace stumento di allerta, è un’esperienza che toglie il sonno a molti genitori, perché se non ci si accorge in tempo di un’ipoglicemia importante, si rischia la vita».
Inoltre, essendo passato poco tempo dall’esordio della malattia, chiarisce la mamma, «al momento, un pranzo da un’amica o dai nonni, per Sofia non è percorribile, se uno dei genitori non c’è. Significa che se sta per fare merenda dobbiamo esserci. Significa che se fa un allenamento, anche lì, noi dobbiamo essere presenti, perché si sgancerà il microinfusore ma noi dovremmo monitorare la sua glicemia ed essere pronti, nel caso, ad intervenire con una bustina di zucchero, se i suoi valori si abbassassero troppo».
In questo momento, «l’autonomia che a 9 anni, ragionevolmente, si stava conquistando, ha bisogno di essere rivista. E dobbiamo stare attenti a non farglielo pesare. E fare in modo che lei sia “bambina”, prima ancora che “bambina con diabete”».
Tutto questo non sarà per sempre. È vero, Sofia imparerà. E noi anche. Ce lo ripetono tutti», sbuffa la mamma. «Non fanno che ripeterci che i bambini hanno mille risorse. Lo sappiamo anche io e il papà. Ne siamo convinti al cento per cento. Ma in questo momento mi sento come quando Sofia era appena nata e tutti dicevano: “vedrai che crescerà in fretta e a 18 anni ti mancherà”. Oggi come allora considero queste frasi un modo per annacquare una fatica che sentiamo come molto forte. Io oggi ho proprio desiderio di dire invece che è dura. Che mi sento fragile, stanca. Talvolta, in punta di piedi, delicatamente, condivido questo mio sentire con Sofia, affinché anche lei si senta legittimata a mostrare le sue fatiche, le sue paure. Poi ci abbracciamo, ci diamo il cinque, ci stringiamo al papà e ci ricordiamo a vicenda che siamo una squadra fortissima».
Talvolta, in punta di piedi, delicatamente, condivido questo mio sentire con Sofia, affinché anche lei si senta legittimata a mostrare le sue fatiche, le sue paure. Poi ci abbracciamo, ci diamo il cinque, ci stringiamo al papà e ci ricordiamo a vicenda che siamo una squadra fortissima
Francesca, mamma di Sofia
La classe si fa comunità
A scuola le maestra di Sofia stanno facendo un lavoro eccezionale con lei e i compagni. «Hanno anche invitato una ragazza più grande, Irene, che pratica uno sport in serie A, che ha ricevuto una diagnosi di diabete 1 quando frequentava le scuole medie, affinché raccontasse la sua esperienza e, attraverso la sua testimonianza, incoraggiasse i bambini a non aver paura della malattia», racconta Francesca. «Per prepararsi all’incontro, le maestre hanno raccolto le domande della classe: alcune più impegnative, come “hai mai avuto paura di morire?”, altre più leggere “come fai a fare il pigiama party dalle amiche?”. È stata una bellissima occasione per stanare curiosità e preoccupazioni. Sofia è tornata a casa molto contenta, serena direi. Si è sentita capita, si è sentita meno sola. E i suoi compagni le sono stati molto vicino. Le maestre di Sofia ripetono sempre: “siamo una comunità e nelle comunità ci si sorregge a vicenda”. E io mi commuovo».
Fondamentale il sostegno degli altri genitori
«Quando si riceve una diagnosi di diabete per il proprio figlio ci si sente smarriti, impotenti», racconta ancora Francesca. «Immediatamente ci si rende conto, però, che non c’è il tempo di cedere alle proprie ansie e alle proprie insicurezze perché a farne le spese sarebbe proprio quel figlio che si deve proteggere e tutelare». È un momento difficile dal punto di vista psicologico e il fatto di poter contare su altre persone che vivono un problema analogo è di grande aiuto.
«Al San Raffaele abbiamo conosciuto subito l’associazione SOStegno70, nata nel 2001 per iniziativa di un gruppo di genitori di bambini e giovani con diabete che hanno sentito la necessità di avere un punto di riferimento e una possibilità di scambio di informazioni ed esperienze. Uno degli scopi principali di SOStegno70 è quello di dare supporto ai giovani con diabete provenienti da qualunque centro di diabetologia del territorio nazionale, e alle loro famiglie, mediante un’attività di formazione e informazione. Le attività sono proposte in collaborazione con i medici delle Cliniche Pediatriche nelle quali l’Associazione è presente a Milano presso il Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale San Raffaele, Centro di riferimento Regionale per la patologia diabetica in età evolutiva, e a Brescia presso l’Azienda Ospedaliera “Spedali Civili”.
L’Associazione inoltre organizza specifici campi scuola, per le diverse fasce d’età, dedicati a bambini con diabete per educarli a una gestione autonoma e consapevole della loro terapia. (Per info). Promuove inoltre incontri informativi per maestre e docenti sulla gestione in ambito scolastico del diabete in età pediatrica.
Leggi qui l’intervista al dottor Giulio Frontino, medico pediatra specializzato in Endocrinologia e Diabetologia presso l’Unità di Pediatria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Diabete di tipo 1: una diagnosi ogni tre giorni nei bambini
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